2020-07-22
Evitate le alternative siamo finiti nel sacco. In 4 mesi no al Fmi e ai bond patriottici
Durante il lockdown il Mef non ha usato la leva delle aste né la strategia delle extra emissioni. Ora altri 18 miliardi per la cig.Sono trascorsi quattro mesi dall'avvio delle trattative per il mirabolante fondo europeo che dovrebbe aiutare il Vecchio continente a uscire dalle sabbie mobili del Covid. Quattro mesi nei quali il governo giallorosso non ha voluto saperne di cercare alternative o altre strade di finanziamento che potessero garantire alternative al Recovery fund. Non ha cercato di spingere per un ruolo ancora più importante della Bce (qualcosa oltre al già sostanzioso Pandemic emergency purchase programme).Il governo non ha nemmeno preso seriamente in considerazione l'idea di consustanziare un piano di emissioni da almeno 300 miliardi destinato in gran parte al retail italiano. E questo nonostante la vendita dei Btp Futura e delle altre obbligazioni straordinarie abbia da subito suscitato interesse sui mercati e tra i clienti degli sportelli bancari. A insistere su questa strada non è stata soltanto La Verità, ma un esponente della finanza cattolica che muove ancora tante leve. La politica non è fatta solo di cedole e tassi, ma anche di scelte strategiche. Come ha sintetizzato bene ad aprile in una lunga intervista Giovanni Bazoli che, ovviamente sul Corriere della Sera, ha sollecitato gli italiani a partecipare a una maxi emissione. E il presidente emerito di Intesa non si può certo tacciare di sovranismo. È un banchiere che ha fatto tanta politica. Non a caso sul tema è intervenuto anche il capo di Intesa, Carlo Messina. «L'eccellente esito del collocamento del Btp Italia, con una considerevole sottoscrizione da parte degli investitori istituzionali e retail, è la dimostrazione di quanto il debito italiano sia considerato sostenibile in un'ottica di medio e lungo periodo», ha spiegato, aggiungendo che «allo stesso tempo la forte domanda conferma l'elemento di forza rappresentato dal risparmio degli italiani. Tanto più in un contesto che può godere di maggiore fiducia nell'evoluzione delle politiche europee come quello attuale». Come dire: prima ci si rafforza in casa, poi si cerca un dialogo in Europa. In sintesi, è meglio chiedere soldi quando se ne ha meno bisogno rispetto a quando si ha l'acqua alla gola.Al contrario in piena pandemia, la cabina di regia del ministro Roberto Gualtieri si è mossa con il freno a mano tirato. Difficile comprendere l'inspiegabile esitazione nelle emissioni di titoli pubblici avvenuta a marzo. Con i rimborsi (58 miliardi) che hanno superato le emissioni (35 miliardi) per ben 23 miliardi. Nel momento del maggior bisogno, con titoli in scadenza per 58 miliardi, il Tesoro si è mosso controcorrente facendo leva sulle disponibilità liquide ridottesi al minimo dai tempi della crisi dello spread di fine 2011. Valutando anche i dati di maggio, si vede che il trend non è cambiato. Mentre gli altri Paesi mettevano fieno in cascina già da marzo e febbraio, noi siamo arrivati lunghi al termine del lockdown pur essendo stati colpiti duramente e prima di tutti.La distanza con Francia e Germania si è addirittura accentuata. Nel trimestre, quanto a emissioni, abbiamo superato solo la Spagna, che però nel primo trimestre di quest'anno si era data da fare con importanti emissioni di Bonos. La proposta di bussare al Fmi per incassare i diritti speciali di prelievo (la cui quota per l'Italia si sarebbe potuta aggirare sui 30 miliardi) è caduta nel vuoto. Nonostante fosse letteralmente a costo zero. Così siamo arrivati a fine luglio, il 29 per la precisione, a dover approvare nuovo deficit. Il Parlamento è chiamato a votare un nuovo sforamento di 18 miliardi per finanziare nuova cassa integrazione e altri bonus. Uno scostamento che servirà per due mesi di sussidi. Nulla di più. A quel punto, giunti a fine novembre l'Erario dovrà far ei conti con un crollo del gettito, che se il trend negativo fosse confermato, arriverebbe ad assottigliare le casse dello Stato di circa 100 miliardi. Tradotto la spesa corrente non è stata toccata al di là del deficit dedicato alla crisi del Covid e viaggia intorno agli 800 miliardi scarsi. Le entrate, dai soliti 500 miliardi, rischiano di scendere a 400. Come farà il governo a finanziare 400 miliardi di spesa e consueta e almeno un centinaio per il rilancio? I denari del Recovery fund non arriveranno prima del 2021 e non supereranno l'ammontare di 20 miliardi (praticamente lo scostamento di bilancio che il Parlamento vota a fine mese): è palese che la legge finanziaria sarà scritta direttamente dall'Unione europea. Chiederanno tagli ai servizi e alle pensioni. E maggiori tasse di successione, assieme a più alti prelievi sul denaro investito in banca. Insomma, ci siamo infilati in un cul de sac. O dovremmo dire che a metterci nel sacco è stato il premier. Che, dal canto suo, è riuscito a garantirsi la poltrona a Palazzo Chigi.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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