
Arriva il sì alla legge sul suicidio assistito, che prevede la somministrazione del farmaco letale in tempi record. E ora altre Regioni vogliono intervenire. Il presidente veneto, nonostante la bocciatura della sua proposta, pensa a un regolamento. La sinistra esulta.Richiesta del malato aspirante suicida da prendere in carico, esaminare, eventualmente approvare avvisandolo entro 40 giorni, più altri sette per procedere con «l’accesso al percorso finalizzato all’autosomministrazione» del farmaco letale. Non sono i tempi express di consegna dell’Amazon di Jeff Bezos, ma certo c’è una macabra efficienza, nelle disposizioni del disegno di legge sul suicidio assistito approvato ieri alle 17.27 nel Consiglio regionale della Toscana. Composta di sei articoli e varata con 26 voti favorevoli, 13 contrari e un non voto, la norma era approdata nove mesi fa in Regione come d’iniziativa popolare, forte di 10.000 firme raccolte dall’associazione Luca Coscioni; nel suo iter sono interventi ritocchi che hanno però lasciati inalterati dei punti fermi.Il primo è quello delle tempistiche, assai strette, che la legge approvata stabilisce per garantire il suicidio assistito; il secondo punto fermo è la gratuità del farmaco letale, per garantire la quale la legge prevede uno stanziamento di 10.000 euro per tre anni, stanziamento che risulta attinto dai fondi per i «Diritti sociali, politiche sociali e famiglia» alla voce «Interventi per la disabilità»; infine, la norma prevede l’istituzione di una commissione medica multidisciplinare nelle aziende sanitarie, col compito di vagliare la sussistenza delle condizioni di accesso del paziente al trattamento. Una norma che i suoi promotori hanno presentato come mera applicazione di due sentenze della Corte costituzionale: la 242 del 2019 e la 135 del 2024. Peccato che queste due sentenze dessero carattere prioritario, anzitutto, alle cure palliative. Si legge infatti nella sentenza 135 del 2024 che «deve essere confermato lo stringente appello, già contenuto nella sentenza n. 242 del 2019 (punto 2.4. del Considerato in diritto), affinché, sull’intero territorio nazionale, sia garantito a tutti i pazienti […] una effettiva possibilità di accesso alle cure palliative appropriate per controllare la loro sofferenza, secondo quanto previsto dalla legge n. 38 del 2010, sul cui integrale rispetto giustamente insiste l’Avvocatura generale dello Stato», assicurando, innanzitutto, «la previsione delle necessarie coperture dei fabbisogni finanziari». Dove sia tutto ciò nella legge toscana è un mistero. Che non impensierisce però il governatore Eugenio Giani, il quale intervenendo prima del voto ha elogiato la norma come «salto di qualità, che la Regione Toscana compie prima del Parlamento». Nonostante i richiami dei vescovi, che hanno bocciato il «triste primato» toscano, i cattolici del Pd hanno votato col partito non solo senza fiatare, ma pure con convinzione; Marco Martini ha rilanciato il tormentone della laicità («da cattolico, rispetto la laicità dello Stato»), mentre Cristiano Benucci l’ha buttata sul primato della democrazia: «Tutti sanno quali sono i miei valori e la mia storia. Ma 10.000 toscani hanno chiesto di discutere del fine vita, e la politica non può tirarsi indietro e voltarsi dall’altra parte». Marco Stella di Forza Italia, che ora teme il peggio («assisteremo ai viaggi della morte in Toscana da altre regioni»), ha pure provato a citare brani contro l’eutanasia di san Giovanni Paolo II, ma nulla ha fermato quella che il cardinale Paolo Augusto Lojudice ha definito «non un traguardo, ma una sconfitta per tutti». Reazioni di sdegno dal mondo pro life, con Toni Brandi di Pro Vita & Famiglia furioso («legge omicida e incostituzionale»); e come lui, nel centrodestra, Maddalena Morgante, parlamentare responsabile del Dipartimento Famiglia e valori non negoziabili di Fdi secondo cui il voto di ieri è «incostituzionale e gravissimo sotto il profilo etico, umano, giuridico e sociale, non dà adeguate risposte di aiuto a chi soffre, ma preferisce aiutare il malato a suicidarsi».Festeggiamenti, invece, da Marco Cappato («oggi grande vittoria!»), Marco Furfaro («un bel giorno per i diritti»), Riccardo Magi («un risultato prezioso») e Filomena Gallo, avvocata e segretaria dell’Associazione Luca Coscioni. «È una legge di civiltà perché impedisce il ripetersi di casi - da ultimo quello di Gloria, proprio in Toscana», ha dichiarato la Gallo, «di persone che hanno dovuto attendere una risposta per mesi, o addirittura per anni, in una condizione di sofferenza insopportabile e irreversibile». Immancabile, infine, l’esultanza della storica leader radicale, Emma Bonino, la quale ha salutato quello che per lei è un «enorme passo avanti per la libertà di scelta su come vivere e come morire, uno spartiacque importante che occorre replicare anche in altre Regioni». La speranza dei fautori della morte on demand è quindi che leggi simili a quella toscana possano ora riprendere l’iter decaduto col cambio legislatura in alcune regioni (Umbria e Basilicata), continuare il percorso in altre (Valle D’Aosta, Lazio, Campania, Sardegna, Abruzzo, Calabria, Puglia, Marche, Sicilia), e magari tornare in pista dove rinviate in commissione, cioè in Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto. A proposito di Veneto, il governatore Luca Zaia - ripresosi dalla batosta del gennaio 2024, quando il Consiglio regionale in cui vanta una maggioranza ferrea affossò un ddl sul suicidio assistito per cui si era speso - ha deciso di far rientrare dalla finestra quel che era uscito dalla porta. «Stiamo lavorando a un regolamento per dare attuazione alla sentenza della Corte Costituzionale sul fine vita», ha infatti detto lunedì in conferenza stampa, «aggiungendo però tempi certi di risposta e un’indicazione rispetto a chi deve somministrare il farmaco». Parole che hanno subito incassato il placet Vanessa Camani, capogruppo del Pd nel Consiglio regionale veneto, secondo la quale l’annuncio del governatore «va valutato positivamente». Le aperture dei dem sono certezze, se si sposa la loro agenda bioetica.
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