2024-09-04
Altro che sanzioni allo zar. L’Europa fa scorpacciate di gas russo e Gazprom gode
Gazprom è la multinazionale russa attiva nell'estrazione e vendita di gas naturale (Getty)
Nel primo semestre l’Unione ha importato 26,4 miliardi di metri cubi (+25%). E gli utili del colosso di Mosca salgono a 11 miliardi di dollari. Grazie anche alla regia di Ankara.Brics, il sultano Recep Tayyip Erdogan vuole entrare nel club di Vladimir Putin e Xi Jinping e Bruxelles non ha nulla da dire.Lo speciale contiene due articoli A dispetto dei proclami e nonostante la guerra in Ucraina in pieno corso, il cordone ombelicale che unisce l’Europa alla Russia è ancora pieno di gas. Nel primo semestre di quest’anno l’Unione europea ha importato gas dalla Russia per complessivi 26,4 miliardi di metri cubi (8 dal gasdotto ucraino, 7,7 dal Turkstream e 10,6 di Lng), pari a un secco +25% rispetto allo stesso periodo del 2023.Nel solo secondo trimestre di quest’anno nell’Unione europea sono entrati 12,8 miliardi di metri cubi di gas russo (somma di Lng e di gas via gasdotti), mentre il gas in arrivo dagli USA è risultato poco sotto (12,3 miliardi di metri cubi, tutto Lng).Siamo lontani dai livelli pre guerra, quando dalla Russia arrivavano 40 miliardi di metri cubi a trimestre. Tuttavia, si tratta di volumi ancora importanti, soprattutto per i Paesi dell’Est riforniti dal Turkstream e per il gas liquido che approda nel Nord Europa.Per quanto riguarda l’Italia, in questo 2024 anche il nostro Paese ha importato di più dalla Russia rispetto allo scorso anno. È vero che il rigassificatore di Piombino è entrato in funzione e sta lavorando bene, avendo immesso nei gasdotti italiani tra gennaio e agosto circa 2,2 miliardi di metri cubi di gas. Ma in contemporanea il rigassificatore di Livorno è andato in manutenzione già dallo scorso marzo, lasciando un buco di 2 miliardi di metri cubi rispetto allo scorso anno. Non è un caso che proprio da marzo siano tornati ad aumentare i volumi di gas russo in ingresso in Italia da Tarvisio, tanto che tra gennaio e agosto da lì sono arrivati circa 3,7 miliardi di metri cubi, pari al 9,5% delle importazioni totali nel periodo. Si tratta di una variazione del +76% rispetto allo stesso periodo del 2023.Dunque, l’Europa sta importando più gas dalla Russia rispetto allo scorso anno, pure in un contesto di minori importazioni complessive. La cosa ha avuto un impatto sui conti del gigante russo del gas, Gazprom, che dopo aver fatto registrare importanti perdite nel 2023, nel primo semestre ha visto un utile di circa 11 miliardi di dollari (frutto anche di una congiuntura favorevole sul petrolio, con il price cap del G7 facilmente aggirato).Troncato di netto il collegamento diretto con la Germania, il Nord Stream, nel cuore dell’Europa arriva ancora gas dal gasdotto ucraino, che al momento porta circa 40 milioni di metri cubi al giorno in Slovacchia e da lì ad Austria e Italia. L’accordo di trasporto a tre tra Ucraina, Ue e Russia per l’utilizzo di tale gasdotto termina però a dicembre di quest’anno e l’Ucraina ha già avvisato gli europei che non intende rinnovarlo. A questo punto sono due i fronti dai quali il gas russo continua a fluire in Europa in maggiori quantità. Il primo è il fronte marittimo a Nord, dove il gas naturale liquefatto siberiano approda dalla Russia nei rigassificatori di Francia, Olanda e Belgio. Il secondo è il fronte sudorientale, con il gasdotto Turkstream. Proprio quell’area rappresenta oggi un punto di vulnerabilità dell’Europa rispetto alla questione del gas dalla Russia. In Turchia approda il gasdotto Turkstream che passa sotto il Mar Nero trasportando il gas russo verso Bulgaria e Ungheria. Proprio questi due governi non hanno intenzione di abbandonare le forniture russe, dati i rapporti storici consolidati ma data soprattutto la mancanza di alternative. La direzione di flusso del gas è sempre stata da Est verso Ovest e non c’è la possibilità di invertire i flussi, almeno senza corposi investimenti cui al momento nessuno sta pensando.Ne consegue che la Turchia sta cercando di ricavarsi un ruolo di regista dei flussi di gas nella zona, con l’obiettivo dichiarato di diventare il centro di smistamento del gas nell’Europa orientale. La Turchia riceve anche il gas dall’Azerbaijan, con il gasdotto Tanap, che poi si unisce al gasdotto Tap che arriva in Italia con approdo in Puglia. Da lì In Italia quest’anno (gennaio-agosto) sono arrivati 6,7 miliardi di metri cubi. L’Unione europea ha chiesto all’Azerbaijan di aumentare i flussi, con un accordo siglato nel luglio 2022 per portare i volumi a 20 miliardi di metri cubi l’anno, dai poco più di 10 attuali. Come abbiamo spiegato sulla Verità del 23 luglio scorso, però, nessuna azienda europea ha siglato contratti di lungo termine con gli azeri, che considerano questo un passo necessario prima di fare ulteriori investimenti sul gasdotto. Risultato: nessun aumento di capacità in vista verso l’Europa.Di questa situazione di stallo sembra approfittare proprio la Turchia, che ha dichiarato di essere in grado di esportare fino a 8 miliardi di metri cubi di gas all’anno, frutto di una miscela che l’operatore turco Botas, ha ribattezzato «Turkish blend», composta da gas di estrazione turca (poco) e gas russo e azero. Le spine dall’Est per Bruxelles, dunque, permangono. Il gas di Gazprom circola nei tubi europei, a dispetto dei proclami. Del resto, se il gas russo non è mai stato sanzionato ufficialmente, un motivo ci sarà.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/europa-incamera-gas-russo-2669122369.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="turchia-nei-brics-lue-cala-le-braghe-puo-avere-le-alleanze-che-desidera" data-post-id="2669122369" data-published-at="1725391598" data-use-pagination="False"> Turchia nei Brics, l’Ue cala le braghe: «Può avere le alleanze che desidera» Nuova mossa spregiudicata di Recep Tayyip Erdogan. Secondo Bloomberg News, la Turchia ha fatto richiesta di essere ammessa nei Brics. Il gruppo - storicamente composto da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica - si era recentemente aperto ad altri Paesi, come Emirati arabi, Iran, Egitto ed Etiopia. Qualora si concretizzasse, l’ingresso di Ankara rappresenterebbe una svolta notevole e, sotto certi aspetti, piuttosto preoccupante. La Turchia è infatti un Paese membro della Nato e ha attualmente una procedura aperta per aderire all’Unione europea. Guarda caso, secondo quanto sottolineato dal Daily Sabah, la mossa del sultano nascerebbe anche dalla sua irritazione per le lungaggini relative all’adesione turca all’Ue, oltre che dai disaccordi con i vertici della Nato per i suoi stretti legami con Mosca: negli scorsi anni, Erdogan ha infatti rafforzato i rapporti con Vladimir Putin nel settore della Difesa e sta al contempo cercando di avviare una partnership strategica con Pechino nel delicato settore delle terre rare. Stupisce quindi la reazione di Bruxelles alla notizia della richiesta turca di entrare nei Brics. Il portavoce della Commissione europea, Peter Stano, ha detto che Ankara resta comunque candidata a entrare nell’Unione europea, che ha il diritto a fare le sue scelte, purché rispetti i valori dell’Ue stessa. Una posizione un po’ difficile da capire. Innanzitutto, non è chiaro come la Turchia possa rispettare i valori europei, facendosi ammettere in un consesso che include Russia e Cina. In secondo luogo, emerge un problema in termini di sicurezza: e questo vale tanto per l’Ue quanto per l’Alleanza atlantica. Quella stessa Alleanza atlantica che, a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, è sempre più ai ferri corti con Mosca e che ha anche progressivamente messo nel mirino la minaccia cinese. Dal canto suo, Erdogan sa di potersi permettere una tale spregiudicatezza. Bruxelles non ha alcun peso geopolitico e non tocca palla in alcuno scenario decisivo (a partire dal Medio Oriente). Gli Stati Uniti sono invece guidati da un presidente, Joe Biden, che, ritiratosi dalla competizione elettorale per la riconferma, è attualmente un’anatra zoppa. Non solo. La credibilità internazionale dell’attuale inquilino della Casa Bianca era già compromessa prima dell’addio alla ricandidatura. Quando entrò in carica, disse che voleva tenere una linea dura nei confronti di Erdogan: addirittura, durante la campagna elettorale del 2020, lo aveva definito un «autocrate». Poi, quel proposito si è sciolto come neve al sole. Tanto che la sua amministrazione ha alla fine approvato la vendita dei caccia F-16 ad Ankara, ritirando inoltre l’appoggio americano al progetto del gasdotto Eastmed. Non va infine dimenticato che, per lungo tempo, il sultano si era rivelato in grado di tenere in scacco la Nato, con il suo veto sull’ingresso della Svezia nell’Alleanza stessa. Insomma, il presidente turco non teme né la Commissione Von der Leyen né l’amministrazione Biden. Questo gli consente di continuare a muoversi con spregiudicatezza. E spiega, in definitiva, la sua richiesta di entrare nei Brics. A complicare ulteriormente la situazione sta il fatto che, l’altro ieri, due marines statunitensi sono stati aggrediti da un’associazione giovanile turca nazionalista e antiamericana nei pressi del porto di Izmir. Si tratta di una questione che potrebbe entrare nella campagna elettorale in vista delle presidenziali di novembre. «Kamala Harris deve esigere che la Turchia si assuma le proprie responsabilità per coloro che intendevano far del male ai nostri marines», ha tuonato l’ex ambasciatrice statunitense all’Onu, Nikki Haley, che ha dato il proprio endorsement alla candidatura presidenziale di Donald Trump. L’ombra del sultano incombe, insomma, anche sulle elezioni americane.
Il valico di Rafah (Getty Images)
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa del 15 ottobre con Flaminia Camilletti