2018-03-19
L'Europa bluffa sui paradisi fiscali: black list studiata a tavolino
Dopo anni di battaglie di principio contro il fisco offshore emerge chiaramente la volontà dell'Unione europea di sradicare i vecchi equilibri tra grandi potenze e piccole nazioni a zero tasse per crearne di nuovi favorevoli a Bruxelles. I 19 documenti visionati dimostrano che prima si sono decise le amicizie politiche e poi sono stati stabiliti i criteri normativi. Alla faccia delle dichiarazioni di comodo dopo Panama papers e altri presunti scandali. Lo speciale contiene tre articoli Opacità e pressioni politiche sono state le protagoniste indiscusse del processo che ha portato il 5 dicembre 2017 l'Unione europea ad annunciare l'elenco dei 17 Paesi extracomunitari considerati paradisi fiscali. I 19 documenti del Consiglio europeo che La Verità è riuscita a visionare in esclusiva mostrano come tutto il processo di analisi e selezione non sia stato guidato da aspetti tecnici, quanto più da intromissioni politiche da parte del Regno Unito, della Francia, del Lussemburgo e dell'Irlanda. Questi Paesi hanno fatto rimuovere alcuni territori, che storicamente sono sotto la loro ala protettiva, e annacquato le posizioni più forti prese dal gruppo del codice di condotta. In pratica, prima si sono individuate le nazioni amiche e da lì si è proceduto a costruire un quadro normativo in grado di soddisfare le esigenze politiche. Anche lo stesso Pierre Moscovici, commissario europeo per gli Affari economici, aveva dichiarato, durante la conferenza stampa del 20 novembre 2017: «Voglio essere chiaro sulle responsabilità, questa lista non è una proposta della Commissione. La black list dei paradisi fiscali è scritta dagli Stati e loro sono i responsabili». Parole che già potevano far presagire come il processo di screening non sarebbe stato altro che un gioco forza fra i vari stati membri. Un decennio di dichiarazioni politiche e inchieste giornalistiche hanno visto dunque il loro epilogo, non in processo trasparente e tecnico, ma in un braccio di ferro fra gli Stati dell'Ue. Il caso britannico Il rappresentante del Regno Unito all'interno del Gruppo del codice di condotta (organismo preposto alla creazione della lista dei Paesi extra Ue non fiscalmente collaborativi) si è opposto fin dal principio all'introduzione del criterio della «bassa tassazione». Questo criterio andava a designare come paradisi fiscali, senza se e senza ma, tutte quelle giurisdizioni che avevano una corporate tax (imposta sulla società) «vicina o pari allo 0%». Come mai l'opposizione? Perché, secondo i documenti trapelati dal Consiglio, undici Paesi sarebbero rientrati sotto questo criterio. Anguilla, Bahamas, Bahrain, Bermuda, Isole Vergini Britanniche, Isole Cayman, Guernsey, Isola di Man, Jersey, Palau e Vanuatu. Molte di queste giurisdizioni sono da sempre sotto la protezione del Regno Unito, oltre che note per essere state coinvolte nei recenti scandali fiscali (Panama papers e Paradise papers). L'opposizione dell'esponente inglese ha raggiunto l'obiettivo di «esclusione» perché il gruppo del codice di condotta, a ottobre 2017, ha deciso che ogni tipo di decisione si sarebbe presa «secondo il criterio dell'unanimità». INFOGRAFICA !function(e,t,n,s){var i="InfogramEmbeds",o=e.getElementsByTagName(t)[0],d=/^http:/.test(e.location)?"http:":"https:";if(/^\/{2}/.test(s)&&(s=d+s),window[i]&&window[i].initialized)window[i].process&&window[i].process();else if(!e.getElementById(n)){var a=e.createElement(t);a.async=1,a.id=n,a.src=s,o.parentNode.insertBefore(a,o)}}(document,"script","infogram-async","https://e.infogram.com/js/dist/embed-loader-min.js"); Da sottolineare come la posizione inglese sia stata spalleggiata anche dal Lussemburgo e dall'Irlanda. Secondo i documenti del Consiglio dell'8 novembre 2016, questi due Paesi avrebbero infatti sostenuto la non introduzione, nei criteri di selezione, della corporate tax pari o vicina allo 0%. C'è anche da dire che Lussemburgo e Irlanda avevano come punto di forza una corporate tax molto bassa (basti pensare al caso Apple). Per questo più volte le due giurisdizioni sono state oggetto dell'attività parlamentare del gruppo a Strasburgo dei Verdi attraverso indagini che poi sono state sottoposte al commissario europeo alla Concorrenza. Il Lussemburgo, oltre che spalleggiare il Regno Unito, si è opposto anche a qualsiasi regime sanzionatorio. Dai documenti emerge, infatti come (il Lussemburgo) «fin dal principio non dava il proprio supporto a sanzioni» per i Paesi che sarebbero finiti nella black list fiscale dell'Unione europea. Il caso francese Il Regno Unito non è stato l'unico Paese a esercitare pressioni politiche. La Francia ha infatti spinto affinché il Marocco fosse tolto dalla black list fiscale prima dell'annuncio del 5 dicembre 2017. C'è da dire, però, che la sua intromissione è stata più «tecnica» rispetto al Regno Unito. Il Marocco, dopo aver ricevuto una prima lettera di ammonizione da parte dell'Ue, ha inviato una risposta il 22 novembre dove però non figurava «l'impegno politico». Il 29 novembre invia, dunque, una seconda missiva dove c'è l'impegno politico ma non viene specificato come si sarebbe posto rimedio al regime fiscale contestato dall'Ue. Lo scenario prefigurava dunque il Marocco dentro la lista nera. Il 2 dicembre, però, il Marocco invia una terza lettera, molto diversa dalle prime due. In questa viene infatti affrontata la questione fiscale sollevata dal gruppo del codice di condotta, vengono specificate le scadenze che si intendono rispettare per porre fine al «regime (fiscale) dannoso» e si offre «un dialogo costruttivo» per poter risolvere tutti i problemi. La lettera viene discussa il 4 dicembre e il Marocco viene tolto dalla lista nera. Il giallo dei Paesi esclusi Brasile e Georgia attualmente non sono né nella lista nera né nella lista grigia dell'Ue. Secondo i documenti del Consiglio questi due Paesi sarebbero dovuti rientrare almeno nella lista grigia. Il 31 ottobre il segretario generale del Consiglio informa gli Stati membri sullo stato dei lavori di 59 giurisdizioni. Tra queste figurano anche il Brasile e la Georgia. Al Brasile il gruppo del codice di condotta aveva inviato una lettera il 19 giugno 2017, per chiedere informazioni sul regime fiscale «export processing zone». In base alle informazioni ricevute il gruppo del codice di condotta decide che il regime fiscale risulta essere dannoso e invita il Brasile a modificarlo o abolirlo. La presenza di un regime fiscale dannoso implica due conseguenze. Se ci fosse stata la volontà di modificarlo, il Brasile sarebbe stato classificato nella lista grigia, nel caso in cui si fosse opposto (alla decisione europea) il Brasile sarebbe stato inserito nella lista nera. Attualmente però il Brasile non è presente né nella prima né nella seconda. Che il Portogallo abbia esercitato pressioni per escludere il suo protetto? Il caso Georgia è molto simile al Brasile. Il codice di condotta ha inviato una lettera alla giurisdizione l'8 giugno 2017 dove chiedeva informazioni su due regimi fiscali: il «free industrial zone» e lo «special trade company». Sulla base delle informazioni ricevute si è ritenuto che i due regimi fiscali fossero dannosi e dunque è stato chiesto alla Georgia di modificarli o abolirli. Anche in questo caso la Georgia non figura in nessuna lista Ue. Criteri a lunga scadenza Nell'ottobre del 2017 gli stati membri hanno deciso che, non avrebbero considerato «dannosi» tutti quei regimi fiscali, in contrasto con il principio della tassazione equa (l'esistenza di meccanismi fiscali che favoriscono la creazione di strutture offshore) se avessero avuto al loro interno la clausola «grandfathering» fino al 2021. L'inserimento della clausola impegna i governi, dei Paesi terzi, a eliminare o modificare gradualmente i «regimi fiscali dannosi» entro il 2021. Questo significa però che anche nel caso in cui tutti gli Stati membri fossero d'accordo nel classificare un regime fiscale come «dannoso», se è presente la clausola «grandfathering», questo potrà rimanere in vigore per altri tre anni. Un calendario che nessuno rispetta Il 5 dicembre 2017 otto giurisdizioni sono state escluse dallo screening del gruppo del codice di condotta perché colpite dagli uragani di settembre. A ottobre 2017 gli Stati membri hanno dunque deciso di voler concedere a questi Stati più tempo per presentare i propri impegni in campo fiscale. E a febbraio 2018 il gruppo del codice di condotta avrebbe dovuto valutare gli impegni presi da questi Paesi. Data che non è stata rispettata perché si è dato tempo, alle otto giurisdizioni, fino al 28 febbraio 2018 per fornire le lettere di impegni. Questo ha spostato la decisione al 13 marzo 2018 durante l'Ecofin, ma la riunione non ha partorito nulla. Infine, il 5 dicembre 2017 nella stessa sede gli Stati membri si erano impegnati ad aggiornare l'elenco dei Paesi non fiscalmente collaborativi entro la fine del 2018. Anche questa scadenza non potrà essere rispettata. La presidenza bulgara a gennaio 2018 ha infatti ufficialmente segnalato come è stato concesso, ai Paesi terzi, tempo «fino alla fine del 2018» per attuare le promesse fiscali annunciate all'Ue. Questo porta con sé la conseguenza che «un aggiornamento della lista nera non potrà ragionevolmente essere previsto prima del consiglio dell'Ecofin di febbraio 2019».Le lettere inviate dall'Ue.pdfPer leggere tutti i documenti, clicca qui<div class="rebellt-item " id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/europa-bluffa-paradisi-fiscali-2546940227.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="nella-lista-nera-dell-europa-restano-ormai-solo-17-nazioni" data-post-id="2546940227" data-published-at="1758170553" data-use-pagination="False"> Nella lista nera dell'Europa restano ormai solo 17 nazioni Il 5 dicembre 2017 durante l'Ecofin è stata annunciata la lista dei 17 Paesi classificati come paradisi fiscali da parte dell'Unione europea. Il gruppo del codice di condotta (organismo addetto al processo di selezione e screening dei Paesi terzi) ha esaminato tutti i Paesi fuori dall'Ue in base a tre criteri: trasparenza fiscale, tassazione equa e implementazione delle misure anti Beps (base erosion and profit shifting: misure adottate dall'Ocse per combattere i fenomeni di erosione della base imponibile e di trasferimento dei profitti a livello internazionale). Il processo di screening è durato due anni e ha mosso i primi passi a gennaio 2017 quando sono state inviate a 92 giurisdizioni extra Ue lettere dove venivano segnalati i regimi fiscali non allineati con gli standard Ue. Queste lettere non avevano il valore di una condanna definitiva, ma dovevano spingere i Paesi in questione ad aprire un dialogo con l'Unione europea. Le 92 giurisdizioni hanno dunque risposto spiegando la natura dei regimi fiscali che secondo l'Ue erano dannosi. In base ai chiarimenti 64 giurisdizioni sono state considerate in possesso di regimi fiscali non in linea con gli standard europei. Il gruppo del codice di condotta ha però effettuato una distinzione tra i 64 Paesi uscenti dallo screening. Da una parte ci sono le giurisdizioni che hanno preso impegni seri e concreti per modificare i regimi fiscali e dall'altra chi ha fornito una risposta insufficiente. I 17 Paesi (Bahrein, Barbados, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti, Granada, Guam, Isole Marshall, Macao, Mongolia, Namibia, Palau, Panama, Santa Lucia, Samoa, Samoa Americane, Trinidad e Tobago, Tunisia) sono dunque stati classificati come paradisi fiscali per l'Ue, mentre 47 sono stati inseriti in quella che è stata chiamata la lista grigia. Queste sono le giurisdizioni che non sono in linea con gli standard fiscali Ue ma si sono impegnate concretamente per modificare i propri regimi fiscali. A gennaio 2018 sono stati spostati dalla lista nera a quella grigia otto Paesi (Emirati Arabi Uniti, Barbados, Corea del Sud, Grenada, Macao, Mongolia, Panama e Tunisia) perché hanno preso nuovi impegni per porre fine ai loro regimi fiscali dannosi. Il 6 marzo 2018 il gruppo del codice di condotta ha deciso di togliere altri tre Stati (Bahrein, Isole Marshall e Saint Lucia) dalla black list per trasferirli nella lista grigia. Il 13 marzo durante l'Ecofin si è decisa la sorte delle otto giurisdizioni caraibiche lasciate in sospeso, a causa degli uragani di settembre. Quattro (Bahamas, le Isole Vergini americane e Saint Kitts e Nevis) sono finite nella lista nera e le rimanenti (Anguilla, Isole Vergini britanniche, Dominica e Antigua e Barbuda) in quella grigia. <div class="rebellt-item " id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/europa-bluffa-paradisi-fiscali-2546940227.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="panama-promossa-sulla-fiducia-impegni-precisi-da-san-marino-e-peru" data-post-id="2546940227" data-published-at="1758170553" data-use-pagination="False"> Panama promossa sulla fiducia. Impegni precisi da San Marino e Perù «Giurisdizioni che hanno instaurato un dialogo costruttivo con l'Ue sulle loro pratiche fiscali nocive». Questo è il criterio usato dal gruppo del codice di condotta per giustificare la presenza dei Paesi nella lista grigia. Il 5 dicembre 2017 furono 47 i Paesi inseriti nella grey list dell'Ue, in base alle risposte fornite al gruppo del codice di condotta. Il 12 marzo 2018 sono state rese pubbliche 25 di queste lettere. L'analisi delle lettere conferma come nelle decisioni finali le pressioni politiche hanno giocato un ruolo centrale piuttosto che gli impegni presi dagli Stati terzi. Panama, giurisdizione che inizialmente, era stata inserita nella lista nera ha messo nero su bianco come due dei regimi fiscali contestati erano già stati esaminati dal Forum of Harmfultax practices e «il nostro Paese si sta già impegnando ad affrontare le raccomandazioni». Per il «call centersregime» Panama si è impegnata a rivedere il regime entro la fine del 2018. Il Liechtenstein, da subito classificato nella lista grigia, nella lettera di impegni ha dichiarato di voler introdurre delle misure anti abuso (non meglio specificate) e che contano di presentare una prima lettura in parlamento prima della pausa estiva. Viene però anche specificato come nel caso di «modifica della legge» si è legittimati a richiedere un referendum. Che si ripeta il risultato della Svizzera con la riforma fiscale? Nonostante ciò il Liechtenstein è stato inserito nella lista grigia. Altro caso è il Marocco. Nella sua lettera di intenti il Paese si dichiara disponibile a un dialogo con il gruppo del codice di condotta e promette di adeguarsi agli standard Beps al più tardi nel 2019. Anche in questo caso il Marocco è stato classificato nella lista grigia. Analizzando le 25 lettere si nota come le uniche giurisdizioni che forniscono impegni concreti sono: San Marino, il Jersey e il Perù. Vengono infatti specificati, nel dettaglio, il nome delle manovre correttive e le tempistiche. Questo perché i due Paesi stavano già attuando modifiche fiscali, senza le pressioni Ue.
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