Ora veste i panni della Protezione civile. Ma è anche ferroviere, operaio e fattore.
Ora veste i panni della Protezione civile. Ma è anche ferroviere, operaio e fattore.«Non avevamo mai registrato così tanta pioggia in così pochi minuti. Quello che è avvenuto stanotte in Toscana ha un nome chiaro: cambiamento climatico. Dobbiamo impegnarci tutti per contrastarlo, senza rinunciare davanti al disinteresse altrui». All’1.27 di giovedì notte il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, ha postato sui social questo messaggio dalla grafica tutta colorata. Mentre la furia della piena portava via le macchine nel Pratese allagando campi e piccoli Comuni della zona, il presidente si faceva prendere dall’ecoansia. Vestendo i panni del Giani Thunberg. Perché i’Giani - come si dice a Firenze - è come un Playmobil. C’è il Giani ferroviere, il Giani pilota d’elicotteri, il Giani controllore del bus, il Giani calciatore, il Giani sul trattore, il Giani con la carriola, il Giani cambiamento climatico e in queste ore anche il Giani Protezione civile. Instancabile, pure quando non ci sono calamità o altre emergenze riesce a partecipare a una moltitudine di eventi sparsi nella Regione in 24 ore. Sette giorni su sette. E a essere sempre operativo. Perché quando il gioco si fa duro, come è successo giovedì con la terribile alluvione che ha colpito molte zone della Toscana, il Giani comincia giocare. Sempre in prima linea. E sempre a portata di obiettivo (dell’iPhone, della macchina fotografica, della telecamera).Ieri, pur stremato dalla notte terribile, ha aggiornato i toscani sui suoi canali Facebook, Instagram, X e Whatsapp. Con tanto di video e decine di foto. Con il gilet blu della Protezione civile o con la giacca arancione fluo mentre telefona e dice «grazie presidente Sergio Mattarella». Giacca indossata anche quando è rimasto al chiuso in un ufficio - al fianco di operatori in maglietta a maniche corte - in collegamento zoom con prefetti, Vigili del fuoco e trasmissioni tv. Il Giani non ha chiuso occhio, ha mandato gommoni, ha chiesto elicotteri per il trasporto urgente di persone in codice rosso. E ha fatto la cronaca sui social. Ma molti lo criticano perché la narrazione funziona sì mediaticamente ma nei fatti, dice un amico pratese, «indica un sacco di cose e poi a lavorare sono gli altri». Per non parlare delle polemiche sul fatto che i grandi interventi di realizzazione di canali e vasche di contenimento risalgono agli anni Ottanta e negli ultimi anni, in Toscana, non sono stati fatti interventi importanti su questo fronte. Insomma, c’è il sospetto che politicamente il cambiamento climatico diventi una scusa per sottrarsi alle responsabilità. Classe 1959, nato a Empoli ma trasferito ai tempi delle elementari a Firenze, appassionato di storia medievale e contemporanea, Eugenio Giani fa il politico da 30 anni. Si definisce «socialista, riformista, liberale». Aggiungendo però che il Pd è la sua casa. Già negli anni Ottanta, passeggiava nelle stanze della Signoria come segretario cittadino del Psi, fedelissimo di Valdo Spini. Laureato in giurisprudenza, entra in consiglio comunale nel 1990 e tre anni dopo, con la giunta Morales, diventa assessore alla mobilità. Poi presidente della Firenze parcheggi, quindi assessore allo sport e alla cultura e presidente del Consiglio comunale. È stato presidente della Società dantesca italiana, presidente dell’Ente casa Buonarroti e dal 2015 è presidente del Museo casa di Dante. Ma i’Giani voleva fare il sindaco di Firenze. Alla vigilia della sua sesta legislatura, quando Matteo Renzi ha lasciato Palazzo Vecchio per Palazzo Chigi la missione gli sembrava quasi compiuta. Poi è arrivato il deputato Dario Nardella, che a Firenze non è nato ed è pure tifoso del Napoli, ma gli ha soffiato il posto per volere di Matteo. Lo stesso Renzi da premier in visita a Firenze gli ordinò di togliersi la fascia con lo stemma regionale. Una beffa per il povero Eugenio. Che cambia palazzo. Nel giugno 2015 diventa presidente del Consiglio regionale (indicato da Renzi poco prima di lasciare il Pd). Quando si insedia avanza subito due proposte: tagliare le ferie a tutti e permettere anche al presidente della Regione, agli assessori e ai consiglieri regionali di vestire una fascia, come quella tricolore dei sindaci, nei momenti di rappresentanza. Poi, nell’ottobre del 2020 vince la sfida contro Susanna Ceccardi della Lega e diventa presidente della Toscana. Con le foto che il Giani posta sui social network si potrebbe chiedere alla Panini di fare un album di figurine. La «Gronchi rosa» della collezione è quella scattata a luglio con il sindaco Nardella sul canotto in versione Indiana Jones alla scoperta del tunnel che collega le sponde dell’Arno. Di grande valore anche quella che lo immortala vestito con una tutina bianca a righe rosse mentre si tuffa nell’Arno dal molo del circolo dei Canottieri davanti al Ponte Vecchio. Come disse qualche tempo fa un commerciante di San Frediano: «Se si fosse fatto una foto col Papa avrebbero chiesto chi era quel signore vestito di bianco accanto a i’Giani». Presenzia qualsiasi tipo di evento sportivo-folkloristico-storico-mondano-culturale che scandisca la vita sociale del Granducato. Un avenger delle sagre, il magnifico messere delle tartine, il signore dei nastri da tagliare, l’Atreju del Pegaso (il cavallo alato simbolo della Regione Toscana). Partecipa a maratone, corse in bicicletta, partite del calcio storico. Pettinatissimo anche sotto sforzo. Spesso in abito blu e cravatte in palette, armocromista di sé stesso. Sempre pronto a sciorinare tutte le date della storia di Firenze. Che proprio oggi celebra il 57° anniversario dell’alluvione del ’66. Speriamo bene.
Il tocco è il copricapo che viene indossato insieme alla toga (Imagoeconomica)
La nuova legge sulla violenza sessuale poggia su presupposti inquietanti: anziché dimostrare gli abusi, sarà l’imputato in aula a dover certificare di aver ricevuto il consenso al rapporto. Muove tutto da un pregiudizio grave: ogni uomo è un molestatore.
Una legge non è mai tanto cattiva da non poter essere peggiorata in via interpretativa. Questo sembra essere il destino al quale, stando a taluni, autorevoli commenti comparsi sulla stampa, appare destinata la legge attualmente in discussione alla Camera dei deputati, recante quella che dovrebbe diventare la nuova formulazione del reato di violenza sessuale, previsto dall’articolo 609 bis del codice penale. Come già illustrato nel precedente articolo comparso sulla Verità del 18 novembre scorso, essa si differenzia dalla precedente formulazione essenzialmente per il fatto che viene ad essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito dall’articolo 609 bis nel testo attualmente vigente), ma anche, ed in primo luogo, quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.
Tampone Covid (iStock)
Stefano Merler in commissione confessa di aver ricevuto dati sul Covid a dicembre del 2019: forse, ammette, serrando prima la Bergamasca avremmo evitato il lockdown nazionale. E incalzato da Claudio Borghi sulle previsioni errate dice: «Le mie erano stime, colpa della stampa».
Zero tituli. Forse proprio zero no, visto il «curriculum ragguardevole» evocato (per carità di patria) dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega; ma uno dei piccoli-grandi dettagli usciti dall’audizione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler in commissione Covid è che questo custode dei big data, colui che in pandemia ha fornito ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi le cosiddette «pezze d’appoggio» per poter chiudere il Paese e imporre le misure più draconiane di tutto l’emisfero occidentale, non era un clinico né un epidemiologo, né un accademico di ruolo.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
Continua a leggereRiduci
Manifestazione ex Ilva (Ansa)
Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
Proteste, manifestazioni, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, annunci di scioperi. La questione ex Ilva surriscalda il primo freddo invernale. Da Genova a Taranto i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato sit-in per chiedere che il governo faccia qualcosa per evitare la chiusura della società. E il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto sull’acciaieria più martoriata d’Italia, che autorizza l’utilizzo dei 108 milioni di euro residui dall’ultimo prestito ponte e stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026.







