2021-07-20
Telefonino-gate, le ombre sull’Onu in Etiopia
Addis Abeba accusa le agenzie umanitarie di aver fatto trasportare delle armi assieme agli aiuti diretti alla regione del Tigray. E spunta una partita di 70 apparecchi satellitari arrivati ai ribelli con il placet del capo dell'Oms (e membro del loro partito).Armi nascoste tra gli aiuti umanitari. Il governo etiope lo dice da settimane, da quando ha deciso una tregua unilaterale con i ribelli del Tplf, il Tigray People Liberation Party alla guida dell'omonima regione nel Nord. L'ha ribadito pochi giorni fa il ministro degli Esteri, Redwan Hussein: «L'Etiopia non può tollerare interferenze non richieste travestite da operazioni umanitarie». Accuse pesantissime che se confermate sono il punto più grave di una lunga serie di atteggiamenti, da parte delle agenzie Onu, poco chiari e spesso non certo super partes. Nonostante per la ricostruzione del Tigray il governo etiope abbia dichiarato di essersi fatto carico del 70% degli aiuti, di aver speso più di 2.3 miliardi di dollari, il 20% dell'intero budget nazionale, da mesi le agenzie umanitarie, con l'Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari in primis, lo accusano di affamare la popolazione e usare la fame come arma di guerra contro i propri stessi cittadini. «Accesso, accesso, accesso», ripete la portavoce dell'Oms Margaret Harris ma il governo etiope non ha mai vietato l'ingresso alle agenzie umanitarie, anzi, dal 5 luglio ha dato il via libera anche ai voli ma previ controlli da Addis Abeba. Già a giugno infatti il governo etiope ha dichiarato di avere prove che - nascosti tra gli aiuti alimentari - vi fossero armi destinate ai ribelli del Tplf. Secondo l'agenzia pubblica etiope Esat su alcuni camion del World Food Program sarebbero stati trovati anche telefoni satellitari, quanto mai utili in una regione da mesi senza linee telefoniche. Sempre il Wfp si è trovato al centro di un «incidente diplomatico» con il suo responsabile per le emergenze, Tommy Thompson, immortalato insieme ad uno dei leader del Tplf rimasti, il pluriricercato Ghetachew Reda, attuale portavoce dei ribelli, di ritorno nella capitale Mekellé con tanto di telefono satellitare in mano dopo mesi passati a nascondersi tra le montagne. Se è vero che le agenzie Onu possono dialogare con tutte le parti in conflitto indipendentemente dalla loro affiliazione, alla richiesta di informazioni sul contesto in cui siano state scattate le foto e sull'opportunità di ospitare nel proprio compound quello che di fatto è considerato un terrorista, il Wfp ha risposto con un laconico «no comment». A tingere ancora più di giallo il ruolo delle agenzie umanitarie è arrivato l'audit finanziario commissionato dall'Oms. Frodi e irregolarità in aumento, illeciti e inosservanze degli standard professionali, tant'è che la Aids Healthcare Foundation, il più grande fornitore mondiale di cure per la sindrome da Hiv, ha accusato Tedros Adhanom Gebreyesus di «una gestione pessima della pandemia» auspicando che non venga riconfermato. Tra le 81 pagine del report spunta anche una strana fornitura di 70 telefoni satellitari destinati all'Etiopia che ha rinfocolato i dubbi di quanti sono convinti che il direttore dell'Oms sia stato particolarmente distratto dalla crisi in Tigray e che più che di Covid si sia occupato di politica. Tedros infatti è membro di lungo corso del Tplf, già nel Global Terrorism Database dagli anni Ottanta e classificato gruppo terrorista anche dal governo etiope. Inizialmente i satellitari vengono richiesti dall'ufficio regionale dell'Oms di Addis Abeba «alla luce della crisi politica nel Paese», quindi verosimilmente non prima di novembre, quando il Tplf attacca una base militare federale. Poi, per spiegare l'acquisto effettuato con procedura d'emergenza, si ricorre ad una giustificazione più neutra: «Preparativi per il Covid». Inoltre, in difformità rispetto alle procedure di acquisto dell'Oms, sarebbe stata indicata una marca specifica, Thuraya, nota per garantire un'ottima ricezione nei luoghi più impervi. Perché questo acquisto in fretta e furia? A chi erano destinati i telefoni? Contattato da La Verità l'ufficio regionale dell'Oms fa riferimento alla necessità di dotare di satellitari tutte le 80 macchine previste per le missioni in Etiopia come richiesto dalle linee guida sulla sicurezza e le telecomunicazioni delle Nazioni Unite (UNDSS -TESS) a inizio 2020, ma allora non si capisce perché gli amministratori dell'Oms si siano poi precipitati all'acquisto solo a fine anno. Punti interrogativi che gettano ombre su quale ruolo stiano giocando la agenzie umanitarie nel conflitto in Etiopia anche alla luce di una comunicazione ancorata ai report di analisti tutt'altro che indipendenti; clamoroso il caso di Alex de Waal, direttore del World Peace Foundation che tra i collaboratori vanta un noto membro del Tplf come Mulugeta Gebrehiwat. Se in un contesto di guerra ci si aspetterebbe che venissero considerate le versioni di entrambe le parti, le agenzie Onu seguite a ruota da Ue e dal segretario di Stato Usa, Antony Blinken, da mesi puntano il dito contro il governo omettendo sistematicamente le responsabilità del Tplf. Nulla ad esempio è ancora stato detto sull'utilizzo da parte dei ribelli di bambini soldato e i tentativi di rinfocolare la guerra civile. Curiosamente infatti, dopo che lo scorso 28 giugno il governo ha ritirato le proprie truppe sul confine «per motivi umanitari e permettere ai contadini di non perdere la stagione del raccolto», il Tplf si è presto dimenticato delle carestie e ha intensificato i combattimenti contro le etnie confinanti. Nessun chiaro riferimento ai responsabili dell'uccisione di centinaia di eritrei nei campi profughi del Tigray nemmeno dall'Unhcr che si unisce al coro di quanti premono per un accesso incondizionato nella regione e quindi a una riduzione dei controlli sul materiale trasportato.Considerando che il Tplf è l'erede del governo che per 27 anni ha gestito la grande macchina umanitaria in Etiopia, e non nel modo più specchiato dato che secondo un report del Global Financial Integrity ogni anno avrebbe sottratto alle casse dello Stato oltre 2,6 miliardi di dollari, è comprensibile che l'attuale politica internazionale faccia perno sui vecchi legami che oggi si trovano in guerra contro il premier Abiy. In un clima quanto mai teso, c'è da sperare che l'utilizzo della fame come strumento di manovra politica sia solo un brutto ricordo risalente al 1985 quando per far cadere il regime di Mengistu, i ribelli del Nord erano stati riforniti di armi sotto forma di aiuti umanitari. Diversamente da allora, oggi infatti in Etiopia c'è un premier democraticamente eletto e un governo decisivo per la stabilità dell'intero Corno d'Africa e la stessa Europa, a rischio di un nuovo allarme migranti.