2020-08-29
Esposto dei sindacati contro Arcelormittal. «Straordinari nonostante la Cig»
Trattativa con il governo sempre in panne. La crisi di Taranto ha dimezzato la produzione di lamiere nel nostro Paese.La crisi dell'Ilva sta creando un danno senza pari a tutta la filiera italiana dell'acciaio. Come ha spiegato il presidente di Federacciai, Alessandro Banzato, dal commissariamento del gruppo tarantino nel 2012 al 2019 la produzione di coils di acciaio (lamiere arrotolate) è passata da 9,3 a 4,5 milioni di tonnellate annue. In compenso, secondo Siderweb, le importazioni di prodotti piani sono quasi raddoppiate salendo da 5,6 a 9,6 milioni di tonnellate. La nostra produzione si è dimezzata e ora compriamo più acciaio dall'estero. A tutto vantaggio di cinesi, turchi, russi e indiani.Dopo anni di difficoltà non è stato fatto il minimo passo avanti. Da quando nel novembre 2018 il polo tarantino è finito nelle mani di Arcelormittal a seguito di una gara internazionale la situazione è persino peggiorata. Dopo un anno di gestione il colosso indiano, comunica l'intenzione di recedere dal contratto, procedendo alla restituzione di Ilva, in amministrazione straordinaria, entro 30 giorni. L'annuncio, vista anche la potenziale perdita di migliaia di posti di lavoro (l'azienda impiega quasi 11.000 persone), dà inizio a una battaglia tra azienda, sindacati e governo, a colpi di accuse e richieste di indennizzi.Del resto, tra la crisi aziendale e la pandemia mondiale, diverse centinaia di dipendenti di Taranto (circa la metà dei 10.700 totali) finiscono in cassa integrazione da luglio 2019 fino a marzo 2020, mese in cui l'azienda fa richiesta per accedere alla Cig per il Covd. Sul tema i sindacati hanno appena alzato il livello dello scontro: ieri Fim, Fiom e Uilm hanno presentato un esposto alla direzione provinciale dell'Inps in merito alla riduzione del personale tecnologico, che comporterebbe «una programmazione dello straordinario in presenza di cassaintegrazione». A marzo i commissari di Ilva e Arcelormittal firmano un accordo che cancella le cause civili in corso e modifica il contratto di affitto e acquisizione, con l'obiettivo di rinnovare il polo siderurgico con base a Taranto. In particolare, il nuovo contratto prevede l'ingresso nel capitale sociale, tramite un aumento di capitale, di investitori pubblici e privati. Dal canto uso, Arcelormittal potrà «esercitare il recesso, con una comunicazione da inviare entro il 31 dicembre 2020, nel caso in cui non sia stato sottoscritto il nuovo contratto di investimento entro il 30 novembre» a fronte di una «una caparra penitenziale di 500 milioni di euro». In caso contrario, il colosso si impegna a dare lavoro a 10.700 dipendenti. Nel frattempo, però, dovrà raggiungere entro il 31 maggio dell'anno prossimo un accordo con i sindacati per utilizzare anche la cassaintegrazione straordinaria fino al raggiungimento della «piena capacità produttiva». Nella realtà, però, l'accordo appare privo di grande valore, anche perché non viene esclusa la possibilità che Arcelormittal alzi i tacchi. La battaglia tra l'azienda e il governo, dunque, non accenna a finire. L'ultimo colpo di scena di agosto 2020 riguarda alcuni mancati pagamenti da parte di Arcelormittal. In primis quello legato alla seconda rata da 45 milioni dell'affitto dello stabilimento (la rata a marzo era stata dimezzata) e, in secundis, quello inerente a diversi fornitori che rivendicano mancati introiti per 40 milioni di euro. Così, dopo alcuni rinvii, il prossimo 2 settembre dovrebbe tenersi un incontro con i fornitori dopo che l'ad Lucia Morselli si era detta disponibile a parlarne «dopo le ferie». Il mancato pagamento di affitti e fornitori non sarebbe dovuto alla mancanza di liquidità, ma appare come un messaggio per ricordare chi ha il coltello dalla parte del manico.Sebbene l'impianto di Taranto sia al collasso e continui a inquinare ben più di quanto dovrebbe (le opere per rendere lo stabilimento meno inquinante non sono state portate a termine), il gruppo Arcelormittal continua ad avere conti molto solidi con 70 miliardi l'anno di ricavi. Il vero problema in questo caso è che la multinazionale dell'acciaio non vuole accollarsi gli elevati costi necessari per risanare l'impianto e spera che a farlo siano i contribuenti e lo Stato italiano. Il punto è che, all'interno di questo botta e risposta, il polo di Taranto continua sempre più a sgretolarsi. A oggi la produzione è al livello più basso di sempre: 3,5 milioni di tonnellate l'anno (su una capacità di 8 milioni a pieno regime). Senza contare che la gran parte degli impianti ormai è spento. C'è chi ipotizza il ricorso a fondi europei per le riconversioni sostenibili, ma anche in questo caso il problema sul lato occupazionale sarebbe tutt'altro che risolto.
Giorgia Meloni al Forum della Guardia Costiera (Ansa)
«Il lavoro della Guardia Costiera consiste anche nel combattere le molteplici forme di illegalità in campo marittimo, a partire da quelle che si ramificano su base internazionale e si stanno caratterizzando come fenomeni globali. Uno di questi è il traffico di migranti, attività criminale tra le più redditizie al mondo che rapporti Onu certificano aver eguagliato per volume di affari il traffico di droga dopo aver superato il traffico di armi. Una intollerabile forma moderna di schiavitù che nel 2024 ha condotto alla morte oltre 9000 persone sulle rotte migratorie e il governo intende combattere. Di fronte a questo fenomeno possiamo rassegnarci o agire, e noi abbiamo scelto di agire e serve il coraggio di trovare insieme soluzioni innovative». Ha dichiarato la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante l'intervento al Forum della Guardia Costiera 2025 al centro congresso la Nuvola a Roma.
Continua a leggereRiduci