Ha peccato di precipitazione - come non di rado capita - la comunicazione di Palazzo Chigi, nei giorni scorsi, che si è affrettata a dare per chiusa e blindata la vicenda della verifica e della crisi strisciante di governo.
Può benissimo darsi - a onor del vero - che Matteo Renzi sia consapevole del fatto che anche la cinquantina di parlamentari che lo hanno seguito nell’avventura non fortunata di Italia Viva non vogliano correre alcun rischio (nemmeno ipotetico ed eventuale) di fine anticipata della legislatura, e che dunque l’ex premier fiorentino, in un modo o nell’altro, dovrà arretrare, accontentandosi di contropartite modeste e di pura facciata.
Forse, però, non è nemmeno da Renzi che Giuseppe Conte deve temere lo sgambetto definitivo. Il punto è che il governo in sé è paralizzato da una irrisolvibile fragilità di fondo, è prigioniero di una debolezza strutturale che - da settembre 2019 a oggi - non solo non è stata corretta ma è stata drammaticamente esposta e potenziata dallo stress test dell’emergenza Covid. Nel momento più difficile dal Secondo Dopoguerra ad oggi, l’Italia si è ritrovata con il governo più casuale e meno attrezzato, nato solo per impedire il successo elettorale degli avversari, ma assolutamente incapace di gestire le sfide ordinarie. Figuriamoci quelle straordinarie.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: dopo mesi di gargarismi autoconsolatori su un presunto (e inesistente) modello italiano, registriamo oggi un conclamato fallimento sanitario, con il record mondiale dei morti, e un quasi certo fallimento economico, con il 2021 che si annuncia come l’anno di uno tsunami di chiusure di imprese e perdite di posti di lavoro (non appena sarà rimosso il blocco normativo che per ora impedisce di licenziare).
Una coalizione che già nasceva con l’imprinting pauperista grillino e quello pro settore pubblico del Pd si è rivelata totalmente incapace perfino di comprendere il dramma a cui è esposto il settore privato. E gli ultimi due sfregi di queste ore, e cioè il blocco degli sfratti (un’altra mazzata ai proprietari) e la mancanza di intervento per stoppare i 31 milioni di atti in partenza da gennaio da parte dell’Agenzia dell’Entrate (colpo di grazia per molte famiglie, piccole imprese e partite Iva), testimoniano esattamente questa sordità politica.
Perfino i sondaggi Pagnoncelli-Corriere registrano per la prima volta, con numeri impressionanti, la sfiducia degli italiani, l’insofferenza verso le misure restrittive, la preoccupazione pesantissima per un orizzonte economico sempre più cupo. Eppure Palazzo Chigi sembra diventato un bunker da dove Conte e la sua comunicazione continuano a veicolare messaggi rassicuranti e a tinte rosa: ed è prevedibile che dal 27 si tenterà un’accelerazione propagandistica in coincidenza con le prime vaccinazioni simboliche. Ma perfino quella vicenda vede ormai l’opinione pubblica diffidente e scettica: nonostante le cortine fumogene alimentate dai media vicini al governo, appare chiaro che l’Italia è impreparata, e che il processo per consentire agli italiani di vaccinarsi sarà lento e incerto. Con ricadute devastanti su un’economia che già boccheggia.
E’ tutto questo che può portare Conte al capolinea, perfino al di là delle intenzioni del quadripartito che lo sorregge. Fino ad oggi, è stata la legge di bilancio, con la sua tempistica, a rendere materialmente impossibile un cambio di governo. E perfino su quel terreno, nonostante la mancanza di qualunque ostacolo proveniente da Bruxelles, Conte e i suoi sono riusciti nell’impresa di arrivare a un passo dall’esercizio provvisorio: mai si era visto un ramo del Parlamento licenziare in prima lettura la finanziaria solo il 27 dicembre (accadrà dopodomani alla Camera), di fatto precludendo all’altro qualunque intervento. Un’ennesima Caporetto.
Dopo che questo capitolo sarà stato chiuso, ogni esito va messo nel conto. Possibile che i quattro partiti incollino malamente i pezzi e vadano avanti così, per pura inerzia. Ma è anche possibile che un incidente o una consunzione sempre più evidente costringano Conte a farsi da parte, in un modo o nell’altro. La crisi resta irrisolta: non archiviata.