2019-09-14
Esce con «La Verità» il primo fumetto sul lato più oscuro dell’immigrazione
Arriva Adam, un romanzo grafico politicamente scorretto che mostra quanto poco conosciamo chi facciamo entrare.Acquista il volumeLe graphic novel sono da tempo uscite dal rango di letteratura minore in cui erano relegate fino a qualche anno fa e, da quando il genere ha cominciato a essere preso sul serio, è stato inevitabilmente colonizzato dall'ideologia politica. Basta farsi un giro in qualche libreria, nel settore fumetti, per imbattersi in decine di pubblicazioni su Ong, accoglienza, sul razzismo, sull'antifascismo, sui cattivi populisti che rifiutano le gioie del mondo a colori, ora persino su Riace e il suo illuminante esempio di integrazione. In questo fiume in piena di conformismo a fumetti, un'opera che vada nella direzione opposta fa l'effetto di una pepita d'oro. In questo caso, la graphic novel non conforme è Adam, di Francesco Borgonovo, con disegni di Giuseppe Rava, frutto di una collaborazione tra la casa editrice Ferrogallico e La Verità. Il sottotitolo è «una storia di immigrazione» e si tratta, a tutti gli effetti, del primo fumetto contro l'invasione. Una storia cruda, dai forti tratti onirici, che fa i conti con un male ancestrale, con una diversità ontologica, con l'impossibile conciliazione di mondi, storie, persino spiriti incompatibili. Adam viene dall'Africa più oscura e violenta. È stato bambino soldato, ha compiuto eccidi negli squadroni della morte, ma prima ancora è stato a contatto con la potente e, per noi, incontrollabile spiritualità africana, con la sua forza di vita e di morte, con la sua animalità indomabile. Egli porta con sé una rabbia che affonda le radici in qualcosa che nessuna «mediazione interculturale» potrà mai spiegare. Finito su un barcone e preso in carico dai soliti professionisti dell'accoglienza, esploderà nel cuore di quella che avrebbe dovuto essere la sua nuova patria.Chi è, Adam? È il ventiquattrenne del Togo che lunedì scorso ha cominciato a pestare donne a casaccio nella stazione di Lecco. È Amine Aassoul, il marocchino che, ubriaco, nella notte tra il 12 e il 13 marzo 2015, sgozza con una bottiglia David Raggi dopo averlo casualmente incrociato per le vie di Terni. È il marocchino Said Machaouat , che il 23 febbraio 2019 sgozza a Torino Stefano Leo solo perché, dopo averlo visto passare in strada, gli «sembrava troppo felice». È, ovviamente, con un'omonimia non casuale, Adam Kabobo, il ghanese che l'11 maggio 2013 ammazza tre passanti a colpi di piccone, a Milano. Sono storie che certamente non rappresentano l'esito inevitabile di ogni biografia migrante, ma che costituiscono la punta di un iceberg, l'esplosione visibile di un fenomeno disseminato e sfuggente. Basta fare un giro per le vie dell'Esquilino, a Roma, o negli accampamenti improvvisati di fronte alla stazione Centrale di Milano per accorgersi che la pazzia, la solitudine, il rancore, la rabbia sono moneta corrente negli interstizi della presunta società aperta. Ed è proprio il meccanismo migratorio in sé che cela in sé potenti spinte alienanti, nella misura in cui priva milioni di persone di un suolo, di un fondamento, di un'identità. Alla fine, il senso di Adam è racchiuso nei versi di Rudyard Kipling ricordati all'inizio del volume: «Lo straniero in casa mia, può esser sincero e cortese, ma non parla il mio linguaggio... io non riesco a coglierne il pensiero. Vedo il suo volto, gli occhi e la bocca, ma non lo spirito che vi sta dietro». Adam è la storia dello «spirito che sta dietro» a quei ragazzoni che vengono traghettati qui dalle navi delle Ong. Uno spirito che può svilupparsi in modo armonico solo nel suo suolo naturale. E che, trapiantato altrove, rischia di diventare dinamite sociale pronta a esplodere.
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