2025-01-18
Intelligenza artificiale alla fase 2: sbaglia come prima, ma ora è dappertutto
Dopo il rodaggio su base volontaria, l’Ia invade ogni sistema, dai social fino alle mail. Eppure le allucinazioni continuano.Nella fase uno dell’Intelligenza artificiale l’algoritmo di Google mi ha trasformata nella moglie del direttore della Verità, Maurizio Belpietro. Le informazioni sono state incrociate in maniera sbagliata, l’algoritmo è impazzito e anche il direttore e mio marito (quello vero) non si sono sentiti tanto bene. Impossibile correggere l’errore, o almeno io - da vera boomer - non ci sono riuscita. Nel frattempo, i mesi sono passati, qualcuno è ancora convinto che io sia moglie di Belpietro, ed è scattata la fase due (quella dell’evoluzione favorita dalla diffusione dei data center, dei chip e del cloud) dell’Intelligenza artificiale. Che ancora tanto intelligente, però, non è. Per Grok, l’assistente Ai della piattaforma social dove sono più attiva ovvero X, io sono una «giornalista fiorentina con un debole per il caos quotidiano», che «vive a Milano e si destreggia tra articoli, lavatrici rotte e la politica italiana». Qualche settimana fa ero pure cofondatrice di un’azienda. Buffo, no? No. Perché nella fase due non si scappa all’apprendimento dell’Ai. Se l’accesso a ChatGpt è volontario (cioè l’utente decide volontariamente se accedere alla chatbox di OpenaAi per fare un riassunto a scuola, cercare una ricetta o per scrivere un articolo) nella fase due l’Intelligenza artificiale sta invadendo la nostra vita quotidiana senza che ce ne accorgiamo. Sistemi come Alexa e Siri hanno già raccolto milioni di informazioni sulle nostre abitudini e ora ne sono arrivati altri. Come Gemini, creata da Google, in grado di generare video e audio più evoluti, che si avvale di «agenti intelligenti», un sistema progettato per elaborare testi, audio, video e immagini e agire in modo più autonomo anche nella navigazione online. L’obiettivo è «aiutare le persone a realizzare compiti e a portare a termine le cose». Come? Entrando anche nella nostra posta: l’assistente Ia del colosso di Mountain View nel corso dei mesi è così stato integrato nelle principali app dell’azienda e ciò ovviamente include anche Gmail dove si consente agli utenti di inserire delle risposte generate dall’Intelligenza artificiale alle bozze delle proprie email, riassumere discussioni, recuperare delle informazioni da vecchi messaggi e l’interazione con gli eventi di Google Calendar. Informazioni e dati che consentono a Gemini di «imparare». Stessa musica con Grok (che nel mio caso ha confuso l’ironia sul multitasking con un problema con la lavatrice). L’assistente di Intelligenza artificiale integrato in X è ora un’app indipendente. Questo vuol dire che per utilizzarlo non c’è più bisogno di entrare sul social network, ma basterà aprire l’app per iOs e Android e chattare, proprio come si fa con ChatGpt, Gemini e Microsoft Copilot. Quest’ultimo sistema - il «copilota» del colosso di Redmond - si è curiosamente attivato nel testo word di questo articolo (sul pc utilizzo Windows) mentre lo stavo scrivendo e il copilota spunta anche ogni volta che mi collego con Skype, app che utilizzo quasi quotidianamente per il lavoro che faccio. Anche nel caso di Microsoft, l’Ia viene offerta per scrivere mail, riassumere testi complessi, tradurre contenuti in molte lingue, creare itinerari di viaggio e altro. Ma quanto sono accurate le informazioni che ci vengono fornite da questi «assistenti» virtuali? Anche l’Intelligenza artificiale - come dimostra l’errore su mio marito e sulle lavatrici - può confondersi e avere delle «allucinazioni». Ovvero dare risposte plausibili alle richieste degli utenti, ma che in realtà contengono errori fattuali, logici o sono totalmente inventate. La quantità di contenuti sintetici in circolazione ha tra l’altro causato un altro problema, quello che gli esperti chiamano model collapse: ovvero il progressivo degradarsi della qualità delle informazioni che avviene quando la macchina utilizza come base i dati che essa stessa ha generato. Non proprio un dettaglio, anche perché passare dalle informazioni alla disinformazione è un attimo (e i miei due mariti, quello vero e quello con cui mi ha fatto sposare l’algoritmo di Google, lo sanno bene). Correggere gli errori è complicato e lo è anche discernere la realtà, per chi non la conosce, dall’allucinazione artificiale. Con la fase due della Ia aumentano le opportunità, e l’apprendimento degli «assistenti» virtuali, ma anche l’invasività e i rischi. Questi aumentano esponenzialmente se si ha accesso a un sistema ancora più potente come quello lanciato da Nvidia. Il colosso dei chip ha creato un super pc per l’Intelligenza artificiale che chiunque potrà utilizzare a casa o in ufficio, con un prezzo di partenza di 3.000 dollari. La nuova macchina, chiamata Digits, verrà messa sul mercato a maggio e ha le dimensioni di un piccolo libro. Contiene un «superchip» dotato di 128 gigabyte di memoria unificata e fino a 4 terabyte di immagazzinamento dei dati per la gestione di programmi di Ia particolarmente grandi. Per capirsi, sarà un po’ come passare da una vecchia 500 a una Ferrari. Dritti verso la fase tre: quando l’Ia diventerà per tutti e sarà ovunque. Sui telefoni, sul pc, sugli orologi, sugli occhiali, sugli anelli, su ogni dispositivo connesso. Mentre Internet ha impiegato quasi 30 anni per raggiungere oltre 4 miliardi di utenti grazie agli smartphone e 1,8 miliardi grazie ai personal computer, circa 2 miliardi di siti Web, oltre 4 milioni di app mobili e 181 zettabyte di dati prodotti, l’Ia raggiungerà e supererà questi risultati in cinque anni. E chissà, in quel momento, con chi sarò sposata e quante lavatrici avrò rotto.