Il re della moda possedeva oltre 100 vani nel centro meneghino e dimore in tutto mondo. Ma su gran parte aveva solo l’usufrutto.
Il re della moda possedeva oltre 100 vani nel centro meneghino e dimore in tutto mondo. Ma su gran parte aveva solo l’usufrutto.Il testamento di Giorgio Armani verrà aperto dopo la celebrazione dei funerali, previsti per lunedì prossimo. Allo stilista piacentino, scomparso a 91 anni, viene attribuito un patrimonio personale superiore ai 12 miliardi di dollari. E c’è da scommettere che non avrà lasciato nulla al caso. Finora ha dimostrato di aver pensato a tutto nei minimi dettagli. Come gli accessi alla sua camera ardente, che aprirà questa mattina alle 9 all’Armani Teatro in via Bergognone, sede che ospitava le sue sfilate. Ci sarà un ingresso privilegiato per i dipendenti, mentre chi vorrà dare l’addio allo stilista potrà mettersi in fila. Lunedì i funerali in forma privata. Ma sono le carte catastali e i bilanci delle sue società a raccontare meglio di qualunque passerella come ha costruito e blindato il suo impero immobiliare: le società custodivano la proprietà, Armani manteneva l’usufrutto, i bilanci distribuivano i valori spalmandoli nel tempo. Il valore degli immobili direttamente riconducibili a lui è di oltre 33 milioni di euro. La roccaforte è a Milano, in via Borgonuovo 21. Ben 101 vani in un edificio del XVII secolo. I cornicioni sobri e il muro in pietra che orna tutto il piano terra trasmettono la stessa filosofia che Armani ha portato sulle passerelle: niente fronzoli, solo proporzione. Non c’è una targa con il logo, né il nome delle aziende. Solo chi sa cercare tra le carte può scoprire che questa non è una casa, è una cittadella. Le unità immobiliari sono quattro: oltre all’abitazione signorile accatastata come «A/1» da 101 vani (con base imponibile Imu, quella su cui si calcola la tassa comunale, da oltre 12 milioni di euro), ci sono un ufficio «A/10» da sette vani, un’autorimessa da 183 metri quadrati e un fabbricato «D/8», la categoria dei grandi negozi o dei centri commerciali. La nuda proprietà è intestata alla Immobiliare Tobor srl, mentre l’usufrutto Giorgio Armani lo aveva tenuto per sé, ma per metà. Significa che il titolo di proprietà è in mano alla società, ma l’uso e il godimento (per metà) erano rimasti a lui. Una regia che separava formalmente proprietà e utilizzo, così il bene restava al sicuro dentro una società controllata, ma Armani continuava ad abitarlo e a gestirlo. Il meccanismo è ancora più evidente leggendo il bilancio 2024 di Tobor, depositato l’8 luglio 2025. Dall’1 gennaio 2023 la società ha stipulato sull’immobile di via Borgonuovo 21 un «contratto di usufrutto vitalizio con diritto di accrescimento». Il corrispettivo incassato è stato contabilizzato come risconto passivo da spalmare su dieci anni, dal 2023 al 2032. La quota rinviata agli esercizi futuri vale 17,28 milioni di euro. In pratica i soldi entrano subito, ma gli utili si distribuiscono a rate fino al 2032. Un’operazione contabile che garantisce cassa e stabilità nei risultati. Tobor, infatti, nel 2024 ha registrato 2,16 milioni di ricavi e 1,8 milioni di utile netto. Vive di rendite e finanza. In cassa ha 23,92 milioni. Il profilo patrimoniale è imponente: oltre 260 milioni tra immobili e partecipazioni. Mentre il valore degli immobili che detiene è stimato al catasto per oltre 28 milioni di euro. Una società snella che custodisce mattoni di altissimo valore e mantiene un profilo finanziario molto solido. È la vera holding dei perimetri murari by Armani. Dentro Tobor ci sono partecipazioni che mostrano la strategia dello stilista. Per esempio c’è una partecipazione del 100 per cento nella Cigognola Rivara srl, 10.000 euro di capitale e interessi nella «vendita, permuta, costruzione, locazione e gestione di immobili». Ricavi da poco più di 1 milione di euro. Ma non è una scatola vuota: ha in pancia un intero complesso tra Broni e Cigognola, nell’Oltrepò pavese, intestato per intero alla società. Si tratta di capannoni e fabbricati produttivi, più un blocco residenziale di peso: un’abitazione da 91 vani e due abitazioni che al catasto risultano «di tipo economico», rispettivamente da otto e sei vani immersi in 24,66 ettari di terreni agricoli tra seminativo e arborato. È la tenuta di campagna che Armani descriveva come «una specie di Versailles en miniature». Ma non è l’unica. El Gadyr srl è un’altra immobiliare della galassia Armani: possiede a Pantelleria una proprietà da sei vani in contrada Cala Cottone, casette tipiche in pietra lavica, tetto bianco e muri spessi che qui chiamano «dammusi». Gioielli rurali fatti per durare. Ma la proprietà comprende anche due fabbricati industriali in via Arenella, oltre a 21 particelle tra vigneto (che produce il suo famoso passito che aveva chiamato «Oasi»), seminativo, coltivazione di fico d’India e bosco ceduo. Altri immobili sono detenuti dalla lussemburghese Société anonyme immobilière Ag, per 2,6 milioni di euro. Qui emerge il legame con l’hotellerie: garanzie per 5 milioni a favore di Emaar Hotels & Resorts, legate a un contratto di locazione del 2010 e garanzie ricevute per 1,2 milioni. E probabilmente è in questa società che si trovano la villa ad Antigua, quella a Saint-Tropez da 700 metri quadri, le case di Parigi e Saint Moritz e l’attico di New York dei quali Giorgio parlava con i giornalisti, ma che non sono rintracciabili per via catastale. La villa al mare, invece, è a Forte dei Marmi. Affaccia sulla strada con il suo intonaco rugoso color ruggine: persiane scure, un balconcino panciuto contenuto da ferro battuto, fioriere che strabordano e una tenda a sbalzo sopra il portone ad arco. I vani sono 24. Oltre il cancello a doghe verticali ci sono due edifici indicati come «stalle, scuderie, rimesse, acque curative e autorimesse», da 62 e 22 metri quadri. E c’è perfino un piccolo bosco. Qui l’usufrutto è pieno, intestato interamente a Giorgio. Era il buon retiro dello stilista, lontano da via Borgonuovo, ma sempre dentro la logica del lusso blindato.
Pier Carlo Padoan (Ansa)
Schlein chiede al governo di riferire sull’inchiesta. Ma sono i democratici che hanno rovinato il Monte. E il loro Padoan al Tesoro ha messo miliardi pubblici per salvarlo per poi farsi eleggere proprio a Siena...
Quando Elly Schlein parla di «opacità del governo nella scalata Mps su Mediobanca», è difficile trattenere un sorriso. Amaro, s’intende. Perché è difficile ascoltare un appello alla trasparenza proprio dalla segretaria del partito che ha portato il Monte dei Paschi di Siena dall’essere la banca più antica del mondo a un cimitero di esperimenti politici e clientelari. Una rimozione selettiva che, se non fosse pronunciata con serietà, sembrerebbe il copione di una satira. Schlein tuona contro «il ruolo opaco del governo e del Mef», chiede a Giorgetti di presentarsi immediatamente in Parlamento, sventola richieste di trasparenza come fossero trofei morali. Ma evita accuratamente di ricordare che l’opacità vera, quella strutturale, quella che ha devastato la banca, porta un marchio indelebile: il Pci e i suoi eredi. Un marchio inciso nella pietra di Rocca Salimbeni, dove negli anni si è consumato uno dei più grandi scempi finanziari della storia repubblicana. Un conto finale da 8,2 miliardi pagato dallo Stato, cioè dai contribuenti, mentre i signori del «buon governo» locale si dilettavano con le loro clientele.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Cambia l’emendamento alla manovra di Fdi sulle riserve di Bankitalia: appartengono al popolo italiano. Il ministro Giorgetti apre ad aiuti per accedere alle paritarie. Un’altra idea porta a finanziare gli istituti per acquistare i testi da dare in prestito agli studenti.
Fratelli d’Italia non molla sul tema delle riserve auree della Banca d’Italia e riformula l’emendamento alla manovra che era stato bocciato. Un fascicolo che rimette insieme i segnalati dai gruppi, infatti, contiene il riferimento al fatto che «le riserve appartengono allo Stato». Il nuovo emendamento prevede una interpretazione autentica dell'articolo riguardante la gestione delle riserve auree del testo unico delle norme di legge in materia valutaria che, si legge, «si interpreta nel senso che le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d'Italia appartengono al Popolo Italiano». Sparisce il riferimento al trasferimento della proprietà allo Stato.
Ansa
Al liceo Giulio Cesare di Roma spunta su un muro una «lista stupri», con accanto i nomi delle studentesse. Un gesto orribile, che viene subito cavalcato dalla sinistra per rilanciare la pasticciata norma sul consenso e le lezioni di «sessuoaffettività».
Ansa
Gli antagonisti, tra cui qualche ex brigatista, manifestano insieme a imam radicalizzati e maranza. Come Omar Boutere, italo marocchino ricercato dopo gli scontri a Torino, ritrovato a casa della leader di Askatasuna. Una saldatura evidente che preoccupa gli inquirenti.
La saldatura che preoccupa investigatori e intelligence ormai non è più un’ipotesi, è una fotografia scattata nelle piazze: gli antagonisti, compreso qualche indomito ex brigatista, manifestano contro Israele, marciano accanto agli imam radicalizzati comparsi in inchieste sul terrorismo jihadista e applaudono a predicatori salafiti che arringano la folla tra le bandiere rosse e quelle palestinesi. È tutto lì, in una sola immagine: anarchici, jihadisti, vecchio terrorismo rosso e sigle filopalestinesi fusi negli stessi cortei, con gli stessi slogan, contro gli stessi nemici. Una convergenza che non è spontanea: è il risultato di un’ideologia vecchia di 20 anni, quella di Nadia Desdemona Lioce, che aveva già teorizzato che «le masse arabe e islamiche espropriate e umiliate sono il naturale alleato del proletariato metropolitano».






