2025-08-01
Equalize, dalle carte meno accuse. Il Riesame: no all’arresto di Pazzali
«Indizi gravi», ma il tribunale nega i domiciliari per l’ex vertice di Fondazione Fiera.Hacker internazionali o centrali segrete? L’inchiesta Equalize, dopo mesi di clamore e ipotesi da spy story, sembra ridimensionarsi. Il tribunale del Riesame di Milano ha respinto la richiesta di domiciliari per Enrico Pazzali, ex presidente di Fondazione Fiera Milano, escludendo il rischio di reiterazione del reato, pur riconoscendo indizi gravi.L’immagine che emerge è molto più semplice - e italiana -: una chiavetta Usb custodita da un ex carabiniere, due pubblici ufficiali che accedevano ai database statali dietro compenso, e una rete spacciata per intelligence. Niente cyber-spionaggio, né attacchi informatici: solo un sistema che, secondo la Procura, aggirava le regole con metodi anche vecchi, promettendo molto più di quanto fosse in grado di offrire. Dossier venduti come frutto di sofisticate operazioni di cyber intelligence erano spesso composti da frammenti veri, dati ottenuti abusivamente e, in non pochi casi, persino da conversazioni false, ricostruite a tavolino.Il tono cambia, insomma, rispetto all’allarme iniziale: il caso resta grave, ma lo scenario tratteggiato dagli inquirenti è ben diverso da quello che aveva dominato per settimane i titoli di giornali e talk show. L’accusa chiama in causa 14 indagati, tra imprenditori, consulenti e tecnici informatici, tutti accusati di aver fatto parte di un’associazione con finalità illecite. Al centro dell’indagine c’è la società Equalize srl, con sede operativa a Milano, affiancata da Mercury advisor e Dag srl. Ma il metodo usato, a ben vedere, non ha nulla del cyberspionaggio: per accedere ai dati custoditi in banche dati come lo Sdi, il Sistema d’indagine interforze utilizzato dalle forze dell’ordine, o Punto Fisco, portale dell’Agenzia delle entrate con i profili fiscali dei contribuenti, non venivano usati virus o malware. Bastava rivolgersi a due funzionari in servizio, il maresciallo della Guardia di finanza Giuliano Schiano, assegnato alla Dia di Lecce, e il sovrintendente della polizia Marco Malerba, operativo al commissariato di Rho-Pero, che effettuavano le ricerche richieste con le loro credenziali.Una pratica certamente illecita, ma basata su accessi tecnicamente legittimi: nessuna forzatura esterna, nessun sistema violato, nessun attacco da remoto. I dati così ottenuti venivano, poi, rielaborati in report «mascherati», dove le informazioni riservate erano mimetizzate tra elementi di dominio pubblico o apparentemente tratti da fonti aperte. Quando i dispositivi dei soggetti da monitorare non erano disponibili, si ricorreva talvolta a contenuti simulati: chat, email e documenti falsificati per non deludere il cliente, più che per alterare davvero la realtà. Nessuna prova, inoltre, di installazioni da remoto di software-spia: solo un tentativo citato negli atti, su incarico di Leonardo Maria Del Vecchio, per monitorare l’attrice Jessica Serfaty ma, secondo le difese, non andò mai a buon fine. Un altro elemento chiave riguarda Vincenzo De Marzio, ex carabiniere ed ex appartenente ai Servizi, che avrebbe consegnato al gruppo una chiavetta Usb con dati Sdi accumulati durante il servizio.La posizione di De Marzio contribuisce a smontare l’idea di una regia istituzionale dietro Equalize. Il Riesame ha escluso il suo coinvolgimento nell’associazione a delinquere: pur vantando contatti e millantando legami con ambienti istituzionali e dell’intelligence, il suo ruolo appare ridimensionato. Agiva più da intermediario che da membro strutturato, commissionando esfiltrazioni per clienti «illustri» e introducendo nel gruppo personaggi legati ai servizi israeliani (contatti, non appartenenze).Quanto alla fantomatica centrale estera, evocata nelle prime fasi, si è rivelata una finzione: lo stesso Nunzio Samuele Calamucci, in un interrogatorio, ha ammesso di aver inventato la storia degli analisti inglesi per impressionare un cliente e coprire i veri autori dei report. Lo stesso Pazzali è descritto dai giudici come centrale ma privo di competenze tecniche: era un uomo di relazioni, non un esperto informatico. Richiedeva informazioni su concorrenti, politici e persino figure istituzionali come Ignazio La Russa, grazie alle sue numerose entrature, anche «romane», presso alti vertici delle forze dell’ordine e delle istituzioni. Giulio Cornelli, tra i principali indagati, ha patteggiato 3 anni e 10 mesi di pena: un epilogo che appare più contenuto.
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