2018-11-24
«Epidemie» e vaccini: i conti non tornano
La jihad scatenata da Beatrice Lorenzin rischia di proseguire con il ministro Giulia Grillo. Ma la correlazione tra casi di morbillo e coperture, su cui si basa la grancassa mediatica, non regge. E non giustifica gli altri nove obblighi imposti anche per malattie poco trasmissibili.rifiutata non già di vaccinarsi, ma di farlo contro alcune malattie verso cui era già immunizzata. Mentre decine di migliaia di bambini sono esclusi dai servizi per l'infanzia o sbattuti sulle prime pagine dei giornali sotto l'etichetta di «untori», apprendiamo che una task force del ministro della Salute, Giulia Grillo, starebbe lavorando a un «piano straordinario» contro il morbillo per convincere non meno di 800.000 giovani e adolescenti a vaccinarsi offrendo loro incentivi fantasiosi e in certi casi preoccupanti, come l'aggiunta di punti sulla patente o «facilitazioni nei meccanismi collegati... all'accesso ai concorsi pubblici» (fonte Sole 24 Ore). Tutto ciò mentre in Senato si discute il disegno di legge n. 770 che, se approvato nel suo testo base, supererebbe il decreto Lorenzin prevedendo la possibilità di sospendere gli studenti non conformi anche da scuole elementari, medie e superiori, e di estendere il numero dei vaccini obbligatori ben oltre il dettato lorenziniano, per tutte le fasce di età.I lettori ricorderanno che questa improvvisa escalation di intolleranza e di rimedi draconiani si è innescata non prima dell'anno scorso, quando nel nostro Paese sono stati segnalati 4.991 casi di morbillo. Quei numeri fecero parlare le autorità sanitarie di un'«epidemia» in corso che, secondo un tempestivo comunicato del ministero della Salute del 18 marzo, sarebbe stata «in gran parte dovuta al numero crescente di genitori che rifiutano la vaccinazione» e alle «coperture vaccinali che si sono abbassate pericolosamente nel corso degli ultimi anni». Ora, se è vero che le percentuali di «copertura» vaccinale contro il morbillo diffuse dall'Istituto superiore di sanità (Iss) sono passate dal 90% del 2012 all'85,2% del 2015 (per poi risalire fino al 91,6% nel 2017), laddove «il valore soglia necessario ad arrestare la circolazione del virus» sarebbe pari al 95%, questa facile e pronta correlazione tra «coperture» ed «epidemie» merita di essere indagata con uno sguardo più critico, perché addotta a duplice fondamento di provvedimenti che incidono traumaticamente sull'inclusione sociale dei più piccoli (e in prospettiva, di tutti) e demonizzano chi si sottrae in tutto o in parte all'atto vaccinale.La prima incongruenza, la più macroscopica e grossolana anche ad occhi poco esperti, è che l'eventuale «epidemia» di una malattia (il morbillo) non può causare l'introduzione o l'inasprimento di altri nove obblighi vaccinali contro altrettante malattie diverse, non epidemiche e, in certi casi, scarsamente o affatto trasmissibili. La prontezza con cui si è sfruttato il singolo dato epidemiologico per decuplicarne il potenziale ha quindi fatto sorgere in molti il sospetto che gli eventi del 2017 non siano stati altro che l'atteso pretesto per onorare impegni più antichi, come quello siglato a Washington nel 2014, con cui il ministro Beatrice Lorenzin impegnava gli italiani a farsi «capofila per le strategie vaccinali a livello mondiale».Una seconda incongruenza, ugualmente grossolana, ma non altrettanto lampante, riguarda appunto la solidità della correlazione citata. Chi consultasse il sito dell'Iss scoprirebbe ad esempio che nel 2008 l'Italia fu colpita da un'altra «epidemia» di morbillo ancora più virulenta di quella del 2017, con 5.312 casi. In quel caso però la «copertura» vaccinale aveva toccato, per la prima volta, il valore massimo che avrebbe preceduto il «pericoloso» calo denunciato dal ministero: il 90,1%. Un'altra «epidemia» ugualmente silenziosa si ripeté nel 2011 (4.671 casi), ancora con il 90,1% di «copertura». Andando poco più indietro nel tempo si osserverebbe invece il fenomeno inverso, con gli 826 casi del 2001 a fronte di una «copertura» di soli 76,9 punti o, poco più avanti, con i 254 casi del 2015 (85,2 punti).La stessa incoerenza emerge dal dato regionale. Citando un commento del professor Roberto Burioni, il 13 novembre Il Messaggero scriveva che «da noi solo il Lazio (con il 95,34% di profilassi contro questa malattia esantematica) supera il livello di sicurezza... La peggiore, incredibile, è la provincia di Bolzano, dove peraltro la sanità è ben organizzata». Per completezza di informazione, sarebbe stato utile aggiungere che nel 2017 il Lazio, unica Regione che «supera il livello di sicurezza» è stata anche la prima in Italia per incidenza di morbillo, e nel 2018 la terza. E che negli stessi anni la «peggiore, incredibile» provincia altoatesina si è invece piazzata nona e quindicesima, su 21. Scorrendo i dati europei si scoprirebbe che nel 2017 la Danimarca, con una «copertura» del 94-85% (prima-seconda dose) ha avuto un'incidenza della malattia pari a un tredicesimo della Svezia (97-95%), e così anche la Francia (90-79%) rispetto alla Grecia (97-83%). Fuori Europa va citato il caso dell'Ucraina, che nonostante una «copertura» superiore al 95% per più di 10 anni (dal 1997 al 2007) ha sempre registrato tassi elevati di contagio fino a sfiorare un caso su 1.000 nel 2006, con il 98% di «copertura». O più ancora quello della Mongolia che, pur ininterrottamente «coperta» per ben oltre il 95% dal 2001 ad oggi, è stata nel 2015 (7 casi su 1.000) e nel 2016 (un caso su 100) il Paese più colpito al mondo dalla malattia. Questi dati non sorprendono chi studia le dinamiche complesse di un patogeno altamente contagioso come il virus del morbillo e del suo vaccino. Ma risulterebbero molto meno sorprendenti anche ai non esperti se qualcuno, nelle more della propaganda, si degnasse di spiegare loro almeno un dettaglio: che cioè le «coperture», ossessivamente invocate e impugnate a mo' di malleus maleficarum contro gli spregiati No vax, non registrano le coperture (senza virgolette) vaccinali della popolazione, ma solo la percentuale, anno per anno, dei bambini che si sottopongono alla prima o seconda dose del vaccino. Nel dibattito italiano si citano di norma i dati Iss sulla percentuale di vaccinati entro i 24 mesi di età (prima dose) in ciascun anno, a partire dal 1986. Quando ad esempio si legge che nel 2016 la «copertura» è stata dell'87,3%, ciò significa che l'87,3% dello 0,84% (tale era la quota dei duenni sulla popolazione in quell'anno) è stato vaccinato nei tempi prescritti: cioè lo 0,73%. Per approssimare la copertura complessiva occorrerebbe cumulare la serie dei tassi annui reali aggiungendo i ritardatari (una tantum). Il dettaglio non è irrilevante, perché se da un lato suggerisce che la copertura complessiva è certamente inferiore a quella spacciata per tale, dall'altro smentisce sonoramente il preteso nesso tra «calo delle coperture» ed «epidemie». Se infatti l'età media degli italiani è di 45 anni (classe 1973) e prima degli anni Ottanta la copertura a 24 mesi era meno del 5% (prima degli anni Settanta, zero), al dichiarato «calo» relativo del quadriennio 2013-2016 è corrisposto in ogni caso un aumento della copertura assoluta, con almeno l'85% o più dei piccolissimi che ogni anno ingrossavano le fila dei vaccinati sostituendosi ai non vaccinati più anziani. In altri termini, l'«epidemia» del 2017 è avvenuta in un contesto non di calo, ma di aumento - ancorché leggermente rallentato - della copertura complessiva, e nonostante esso.Da qui si possono trarre due conclusioni. La prima è che l'opacità delle argomentazioni troppo spesso portate a sostegno dell'urgenza degli obblighi presenti e futuri non può non essere citata tra i motivi importanti della crescente sfiducia di una parte del pubblico. La seconda riguarda in modo più specifico la retorica dell'eradicazione del morbillo, irrazionalmente utilizzata, come si è visto, per sdoganare la diffusione o imposizione di qualsivoglia vaccino. La persistenza di questa malattia, anche in Paesi molto vaccinati, dimostra che la sua eliminazione, qualora possibile, reclamerebbe l'estensione della profilassi ben oltre la fascia pediatrica fino a raggiungere la totalità dei soggetti suscettibili e vaccinabili. Non mancherebbero naturalmente i problemi. Tra questi, la necessità di replicare un programma di immunizzazione altrettanto severo in tutti i Paesi del mondo, con evidenti problemi pratici e di giurisdizione, specialmente in aree interessate da intensi traffici di persone. O ancora, la possibilità che la protezione offerta dal vaccino non sia sufficientemente efficace o durevole, come si è ad esempio ipotizzato in una recente epidemia ospedaliera a Porto (Portogallo) della primavera di quest'anno, dove ben 126 dei 211 contagiati avevano ricevuto la vaccinazione anche in seconda dose. Non mancano le preoccupazioni sui possibili effetti avversi di una somministrazione così massificata, secondo alcuni sottostimati, e il cui studio, si legge in un'importante review Cochrane del 2012, sarebbe ancora «largamente inadeguato». Ma più di tutto inquieta il veicolo politico di un'azione letteralmente totalitaria - perché, appunto, rivolta a tutti - già oggi disposta a sacrificare coesione e diritti sociali -dall'istruzione al lavoro, fino alla libertà scientifica e oltre -per sopprimere ogni resistenza o dissenso. Il timore è che il virus possa così non essere il soccombente, ma la testa di ariete di un futuro ben più patologico e pericoloso.
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