2025-08-12
Pagano gli impianti eolici per non funzionare
Parco eolico nelle Highlands scozzesi (IStock)
Solamente nella prima parte dell’anno, gli operatori scozzesi sono stati costretti a distaccare le turbine il 37% delle volte. La cattiva programmazione, i mancati interventi nelle reti e l’eccesso di produzione costano caro ai consumatori britannici.Anche in Gran Bretagna qualcuno si è accorto che nella tanto strombazzata transizione energetica qualcosa non funziona. Anche lì emergono i guasti dell’inefficienza negli investimenti per sostituire generazione elettrica con fonti rinnovabili, senza tenere in minimo conto il contesto.Ieri il Financial Times riportava la notizia secondo cui nella prima metà dell’anno gli operatori di impianti eolici in Scozia sono stati pagati per distaccare dalla rete le loro turbine il 37% delle volte. Questo significa che una quantità pari a circa 4 miliardi di kWh di energia elettrica è stata prodotta ma non immessa in rete a causa dell’eccesso di offerta rispetto alla domanda, oltre che per la mancanza di adeguate infrastrutture di rete in grado di portare l’energia verso i centro di consumo. I quali in gran parte sono nel sud dell’isola britannica.Secondo il Ft, la quota di energia tagliata dalle turbine eoliche in Scozia ha rappresentato l’86% del totale delle riduzioni in tutta la Gran Bretagna nei sei mesi da gennaio a giugno. Questo rappresenta un aumento del 15% rispetto alla riduzione registrata nel primo semestre dell’anno scorso.Con questi curtailment (tale è il nome della procedura, cioè del taglio della produzione) il gestore della rete tiene in equilibrio il sistema elettrico, che non riesce ad evacuare verso i centri di consumo tutta l’energia prodotta. Questo anche perché nei giorni festivi o durante l’estate l’aumento della produzione fotovoltaica ed eolica causa un eccesso di offerta, rispetto ad una domanda che resta stabile o è bassa. Le reti insufficienti inaspriscono il problema. Un problema che nasce perché gli impianti eolici vanno fatti dove c’è vento (in Scozia e nel Mare del Nord, ad esempio), ma i consumi non sono certo in quelle zone.Un altro esempio della miopia con cui la transizione viene condotta: l’importante era fare impianti e iniziare a produrre per incassare i lauti incentivi statali. Poi, la gestione degli eccessi di produzione non era un problema degli sviluppatori di impianti. Infatti, ora il problema è del sistema elettrico britannico e quindi dei consumatori, che si vedono addebitati in bolletta milioni di sterline ogni anno per una energia che nessuno ha consumato.Non ci sono ancora stime di valore di questo meccanismo nel Regno Unito, ma l’alternativa è sostenere gli investimenti necessari alla rete. Altrimenti, si pagano gli oneri in bolletta per riconoscere la mancata produzione ai produttori. Sì, perché l’inefficienza di questo sistema è doppia: da una parte si taglia la produzione rinnovabile (cioè letteralmente si butta via l’energia prodotta), ma dall’altra quell’energia viene comunque pagata come se fosse stata regolarmente immessa in rete. È il meccanismo della compensazione per la mancata produzione eolica, che dipende dal fatto che il gestore della rete, in certi giorni e in certe ore, non è in grado di evacuare tutta l’energia prodotta, perché le reti non sono capienti. L’alternativa sarebbe il blackout.Di fatto, la cattiva programmazione della localizzazione degli impianti, i mancati investimenti nelle reti per gestire i nuovi flussi e l’eccesso di produzione rispetto alla domanda stanno costando carissimo ai consumatori britannici. Cosa non diversa da quanto accade già da tempo in altri Paesi. Anche in Italia, sia pure in misura minore, esiste un meccanismo per ripagare la mancata produzione eolica per cause di rete. E da poco questo meccanismo è stato allargato dall’Arera (l’Autorità di settore italiana) agli impianti fotovoltaici che vengono esclusi dall’immissione quando c’è eccesso di offerta. La pratica del curtailment degli impianti fotovoltaici è in aumento da parte del nostro gestore di rete, Terna, anche se non ci sono ancora dati ufficiali su questo. L’enorme inefficienza economica e di sistema che si genera a causa della mancanza di realismo della transizione e della sproporzione tra incentivi e investimenti di rete ricade insomma, come sempre, sulla mitica casalinga di Voghera. E di Southampton.Ma del resto, che la produzione eolica sia in difficoltà senza denaro pubblico è un dato di fatto. Ieri le azioni dell’azienda danese Orsted, il più grande sviluppatore di impianti eolici offshore, hanno subito un crollo del 25% dopo l’annuncio della rinuncia alla dismissione parziale pianificata del suo progetto Sunrise Wind al largo della costa di New York. Non avendo trovato compratori, la società ha annunciato un nuovo debito da 9,4 miliardi di dollari. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha tagliato incentivi e bloccato i permessi per nuovi impianti eolici offshore, frenando le attività di aziende come Orsted, già colpite in passato da pesanti svalutazioni del valore dei suoi progetti.Nel frattempo, lo stesso Financial Times parla in un lungo articolo della cannibalizzazione dei prezzi del fotovoltaico, fenomeno che in Spagna sta degenerando e azzerando i profitti dei produttori di energia solare. L’ennesima conferma della assurdità di questa transizione all’europea.
Silvia Salis (Imagoeconomica)
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Roberto Cingolani, ad di Leonardo (Getty Images)