
Ha rapporti freddi con il governo e la nomina chiude alla possibilità di altri incarichi europei. Aver sbaragliato la concorrenza dell'irlandese Sharon Donnery ha innescato un effetto a cascata che non ci favorirà.A succedere a Danièle Nouy al vertice della Vigilanza bancaria, la seconda poltrona più importante dopo quella occupata da Mario Draghi, il Parlamento Ue aveva indicato a pari merito Andrea Enria, con passaporto italiano, attuale presidente dell'Eba, autorità bancaria europea, e la vice governatrice della banca centrale di Dublino, Sharon Donnery, banchiere irlandese molto vicino a Draghi. La parità tra i due concorrenti nasce dal fatto che il governo italiano ha sollecitato gli eurodeputati gialloblù a non dare il voto a Enria. Il deputato Marco Zanni, la scorsa settimana, si è addirittura astenuto. Assumendo una posizione di fatto inutile, visto che la candidatura è arrivata comunque sul tavolo del consiglio direttivo della Bce e ha, alla fine, sbaragliato la parte irlandese. Ieri sera, con la maggioranza dei voti, Enria è diventato capo della Vigilanza, dando il via a un effetto a cascata che in alcun modo favorirà l'Italia. Partendo dal presupposto che l'antipatia del Carroccio verso il candidato sarebbe dovuta all'opinione che Enria di italiano mantenga quasi esclusivamente il passaporto. Ieri, Il Sole 24 Ore titolava «l'italiano super partes» un modo gentile per dire che non ha alcuna simpatia per questo governo. Vero, il capo della Vigilanza deve essere indipendente, ma allo stesso tempo possiamo asserire che la Nouy ha riservato all'Italia una attenzione che difficilmente poteva definirsi super partes. Di lui lo scorso anno La Repubblica tesseva strane lodi. «Nato a La Spezia 56 anni fa, lavora da tutta una vita nelle istituzioni di regolazione finanziaria, e ha interiorizzato ormai alla perfezione il compito di un ente “terzo" al di sopra delle parti che punta all'interesse del sistema anche quando sembra remargli contro qualche esponente politico anche di altissimo rango oppure il mercato». Va specificato che dopo la formazione in Bankitalia, Enria collabora con Lamberto Dini e soprattutto con Tommaso Padoa-Schioppa con il quale lavora alle prima bozze di ragionamento sulla stabilità finanziaria europea. Insomma, il background è chiaro, ma c'è di più.La sua nomina non è una vittoria perché verrà conteggiata a Bruxelles come poltrona di peso a favore dell'Italia. Mentre si avvicina il semestre durante il quale il nostro Paese dovrà rinunciare al ruolo di presidente del Parlamento Ue (attualmente ricoperto da Antonio Tajani), alla poltrona di governatore della Bce e all'incarico di ministro degli Esteri, pessimamente ricoperto da Federica Mogherini. Sebbene nessuno potrà piangere per l'addio di Lady Pesc (basti pensare alle sanzioni alla Russia e accordo con l'Iran), la successione e il riassesto dei puzzle sarà complicato per l'Italia. Ricoprire nuovamente incarichi di rilievo non sarà facile. Anche perché oltre al conteggio di Enria, i gialloblù non hanno tenuto conto che ci sono due pedine che remeranno al 100% contro il nostro Paese e sono da pochi giorni ritornate ai rispettivi incarichi proprio grazie al governo Conte o al Parlamento a maggioranza gialloblù. Il primo si chiama Mario Nava e si è dimesso «spintaneamente» dalla Consob su pressioni della Camera. Avendo scelto il distacco dal suo ruolo di direttore per il monitoraggio del sistema finanziario, la sua nomina (targata Paolo Gentiloni) è stata valutata dalla nuova maggioranza come un atto di scarsa indipendenza dall'Ue. Solo che adesso Roma si ritrova un nemico giurato che, visto il ruolo, avrà modo di interagire con lo stesso Enria. Soprattutto, c'è da scommettere che Bruxelles valuterà pure la pedina Nava solo in base al passaporto. E quindi ci sarà un'altra possibilità in meno per puntare a nuove «cadreghe». Una delle più difficili da raggiungere è quella del Commissario all'agricoltura, attualmente nelle mani dell'Irlanda. Si libererà presto. Un irlandese andrà sicuramente a ricoprire l'incarico di capo economista Bce e la Lega avrebbe desiderato indicare un proprio uomo con l'obiettivo di tutelare un comparto a cui è storicamente vicina. Con l'arrivo di Enria e la conferma di Nava sarà tutto più difficile. Con il risultato che il tentativo o la speranza di riequilibrare lo strapotere tedesco sarà una strada tutta in salita. Negli ultimi anni la cancelliera Angela Merkel ha piazzato una serie di funzionari che gestiscono leve strategiche. Tanto per fare qualche esempio. In Commissione il ruolo decisivo è stato quello di Stefan Pflueger, che è il segretario del comitato economico e finanziario, del comitato di politica economica, e dell'Eurogruppo. Economista, lavorava nel ministero delle Finanze tedesco, dipartimento internazionale, al tempo della crisi dello Sme. Carsten Pillath, è stato direttore generale per gli affari economici e finanziari, prima ancora in Bei. Il segretario generale del Consiglio, è un uomo di strettissima fiducia di Berlino, non un funzionario europeo di carriera, ma un uomo dell'amministrazione tedesca dirottato nel 2011 all'amministrazione comunitaria come capo dell'istituzione politicamente più importante. Si chiama Uwe Corsepius e ha lavorato alla Cancelleria con Helmut Kohl, poi con Gerhard Schroeder e infine con la Merkel. Ma si sa che i tedeschi sono fedeli alla linea. Gli italiani distaccati sono quasi sempre tutt'altra pasta.
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Volodomyr Zelensky e Kyriakos Mitsotakis (Ansa)
Prima è stato in Grecia, oggi va a Parigi e domani in Spagna: il presidente ucraino ha la faccia tosta di pretendere gas, fondi e aerei dopo che i suoi hanno sperperato svariati miliardi per farsi i water d’oro.
Non indossa il saio del pentimento anche se assomiglia sempre più a Fra Galdino impegnato in una questua perenne. È Volodymyr Zelensky che ieri è andato in Grecia, oggi sarà a Parigi e domani in Spagna a chiedere soldi, energia e armi. Come il frate cercatore del Manzoni dice: noi siam come il mare che riceve acqua da tutte le parti e la torna a distribuire ai fiumi. Solo che i suoi fiumi sono gli oligarchi e gli amici dello stesso Zelensky, che si sono spartiti tangenti miliardarie mentre gli ucraini continuano a morire di guerra e di freddo. Lo scandalo sulla corruzione – che l’Europa conosceva dal 2021 attraverso una denuncia della sua Corte dei conti, ma che Ursula von der Leyen ha scelto di ignorare – non si placa e il presidente ucraino, mentre va in giro a fare la questua, ha annunciato profonde modifiche negli assetti istituzionali a cominciare da un radicale cambiamento della e nella Commissione per l’energia e ai vertici delle aziende di Stato, che ha chiesto al governo di presentare con urgenza alla Verkovna Rada, il Parlamento.
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Una tassa su chi non vota. L’idea l’ha lanciata il direttore della Stampa, Andrea Malaguti, per arrestare il calo della partecipazione popolare alle elezioni, sintomo - a suo dire - del declino della democrazia.
L’articolo 48 della Costituzione dice che votare è un dovere civico, cioè una specie di impegno morale, ma non un obbligo. Per l’illustre collega, invece, si dovrebbe essere costretti a partecipare alle elezioni. «Si va», ha spiegato, «con la forza». Non mi è chiaro se Malaguti preveda l’intervento dei carabinieri o, visto che «chi non va alle urne fa un danno alla collettività», quello degli esattori del fisco, per monetizzare il diritto a non esercitare un diritto (di voto). Quali che siano le procedure che il collega intende adottare per risolvere i problemi della crisi della democrazia, segnalo che il fenomeno dell’astensionismo riguarda ogni Paese occidentale.
Ansa
A San Siro gli azzurri chiudono in vantaggio i primi 45 minuti con Pio Esposito, ma crollano nella ripresa sotto i colpi di Haaland (doppietta), Nusa e Strand Larsen. Finisce 1-4: il peggior - e più preoccupante - biglietto da visita in vista dei playoff di marzo. Gattuso: «Chiedo scusa ai tifosi». Giovedì il sorteggio a Zurigo.






