2021-11-27
Eni al contrattacco: sequestrate il tesoro nascosto all’estero dal falso testimone
Conti correnti milionari e fondi immobiliari in Paesi extra Ue. I pm e la Finanza hanno snobbato il patrimonio di Vincenzo ArmannaAbbiamo già scritto del trattamento peculiare riservato dalle Procure di Roma, Milano e Perugia al faccendiere siracusano Piero Amara, al quale nessuno ha sequestrato i 100 e passa milioni ricevuti dell'Eni e financo una petroliera carica di greggio iraniano. Non pensavamo che analogo trattamento fosse stato riservato all'altro «teste d'accusa», rivelatosi altrettanto farlocco, Vincenzo Armanna. Ecco cosa emerge da una causa civile intentata dall'Eni presso il Tribunale di Roma. Risulta dagli atti che l'Eni, preso atto che la Procura di Milano non ha disposto il sequestro preventivo del patrimonio di Armanna - del quale possono beneficiare anche i creditori secondo il codice di procedura penale -, ha richiesto al Tribunale civile il sequestro conservativo fino alla concorrenza di 50 milioni di euro del patrimonio di Armanna occultato in parte in conti bancari esteri e in beni conferiti in un fondo patrimoniale.Scrive l'Eni che Armanna, nel corso dei vari procedimenti penali nei quali è coinvolto come imputato-testimone della Procura di Milano contro i dirigenti dell'azienda per le fantomatiche tangenti nigeriane e algerine «ha incominciato a “spogliarsi" o comunque a mettere al riparo il proprio ingente patrimonio» trasferendone «una considerevole parte all'estero, aprendo una serie di conti correnti bancari in Paesi extra-Ue tra cui Emirati arabi uniti, con un saldo pari a 1,6 milioni circa e costituito un fondo patrimoniale, significativamente in un periodo a dir poco sospetto, con un immobile sito in Porto Rotondo (Olbia) del valore di 600.000 euro circa».Negli atti della causa civile romana Eni precisa che «Armanna non dichiara di percepire alcun reddito e pertanto risulta fittiziamente un nullatenente» pur essendo documentato che «dalle indagini patrimoniali risulta evidente che nel corso degli anni l'ex manager Eni ha accumulato un ingente patrimonio. In particolare, fino ad almeno maggio 2019 ha percepito consistenti importi da parte di numerose entità nigeriane per un ammontare complessivo di oltre 8 milioni di dollari». Queste informazioni sono state raccolte da indagini difensive. Il 30 settembre scorso Armanna ha ammesso di lavorare per un'azienda rivale di Eni, si suppone non a titolo gratuito. A spiegarlo è stato lui stesso, con una mail alla procura di Milano, (gip Anna Magelli e pm Laura Pedio). Quest'ultima è titolare di due procedimenti dove Armanna è coinvolto (il falso complotto e la calunnia nei confronti del suo ex avvocato Luca Santamaria) ed è indagata a Brescia per omissione d'atti d'ufficio perché non avrebbe indagato per calunnia sull'ex manager Eni. Nella mail Armanna si opponeva alle richieste di Eni di acquisire copia dei contenuti dei telefoni che gli sono stati sequestrati. E spiegava: «Alcune informazioni contenute nel telefono non inerenti al procedimento in corso, qualora divulgate a terzi potrebbero essere fonte di gravi danni alla mia professione e all'azienda per cui lavoro che in molti Paesi è concorrente dell'Eni». E aggiungeva: «Altre informazioni sarebbero gravemente lesive della mia privacy e della privacy delle persone coinvolte». Alla fine di settembre, poi, il superteste del processo Opl 245 che il pm Fabio De Pasquale continua a ritenere credibile in vista dell'appello, si era barricato nella sua casa di Roma, quartiere Trieste, per evitare uno sfratto esecutivo dopo un pignoramento. Durante la trattativa con le forze dell'ordine era arrivato a lanciare benzina sulle scale. Alla fine la vicenda si è conclusa senza conseguenze. C'è persino il sospetto che l'abitazione non sia mai stata iscritta al catasto, proprio per la pendenza legale del precedente proprietario, che risulterebbe ancora intestatario della casa in cui vive Armanna. A ciò si aggiunge un'ulteriore causa legata all'immobile, fatta dello stesso manager contro il venditore, a sua volta oggetto di un pignoramento da parte dell'Agenzia delle entrate.In ogni caso Eni sostiene di aver subito danni di immagine causati da Armanna: il sostituto procuratore generale di Milano Celestina Gravina lo ha definito in udienza «un avvelenatore di pozzi bugiardo» così come risulta del resto dal famoso video del 28 luglio 2014, per il quale sono indagati il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e il sostituto Sergio Spadaro non avendolo mai depositato alle difese, dal quale risultano le calunnie organizzate da Armanna stesso e da Amara e dall'altro video del 18 dicembre 2014, ritenuto dall'Eni ancora più importante, ma trasmesso dalla Procura di Roma dopo molti anni e pure questo mai depositato alle difese. In esso si parlava del fratello di Giuseppe Pignatone e degli incarichi ricevuti da Amara oggetto dell'esposto dell'ex pm di Roma Stefano Fava al Csm. Vedremo quindi se la posizione fiscale di Armanna entrerà nei radar dell'Agenzia delle entrate: anche questo aspetto parrebbe essere sfuggito alla Procura di Milano e alla Guardia di Finanza, a caccia di prove a carico dei dirigenti dell'Eni.