
Intervista del «Corriere» a Jaki dopo l’inchiesta della Gabanelli sugli aiuti agli Agnelli.Pagina 23 del Corriere della Sera di ieri. Sezione dedicata alle cronache. Preceduta da un articolo sulle ultime foto di Giulia Cecchettin nel telefono del suo assassino e seguita da uno sulle verifiche del ministero sull’orale «muto» alla maturità al liceo di Venezia. Una pagina intera - non in economia ma tra due fatti di cronaca, appunto – dedicata all’intervista a John Elkann, presidente della Ferrari, e firmata da ben due inviati del quotidiano a Maranello. «Persone e tecnologia, la Ferrari diventerà elettrica senza perdere l’anima». E sotto: «Lapo ed io da bambini andavamo nel garage del nonno e di nascosto accendevamo le Rosse, sentivamo il rumore». A corredo, una grande foto del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, insieme a Elkann davanti a una Ferrari all’inaugurazione del nuovo e-building avvenuta lo scorso 21 giugno. Già da titolo, sommario e foto, si capisce che non sarà una chiacchierata in stile Woodward e Bernstein. Sensazione confermata dalle domande dei due inviati. La prima: «John Elkann, quale è il suo primo ricordo della Ferrari?», poi si prosegue con altri ricordi, gli insegnamenti di Michael Schumacher, e con un’incalzante «Sei anni fa è diventato presidente. Entrato in carica in momenti drammatici da dove è partito?», poi le auto sportive e il pianeta, le competizioni, («lei è obbligato a vincere in ogni campo, un onore, un peso, una sfida?»), la vela, «la sinfonia dei cilindri Ferrari». Mentre chi legge controlla se davvero abbia comprato il Corriere della Sera e non la Stampa, arriva la sedicesima domanda: «In Italia c’è scetticismo sulle auto elettriche, perché dovrebbe avere successo?«. Risposta di Elkann: «Dipende da cosa viene proposto, da qui al 2030 avremo vetture elettriche molto meno care, e quando arriverà quel momento non ci porremo neanche il problema della scelta. Tornando alla Ferrari, non ci sogneremo mai di togliere il motore dodici cilindri a chi lo vuole». Seguono poi domande su Enzo Ferrari, sui figli di Elkann, sulla Formula1 e su Adrien Newey (l’ingegnere della Red Bull che starebbe per trasferirsi alla scuderia del Cavallino). Stop. Nessuna domanda a Elkann, che è presidente della Ferrari ma anche del gruppo Stellantis, sul destino di Melfi o Mirafiori (dove negli ultimi mesi è cresciuto il numero dei dipendenti in cassa integrazione perché diminuisce la produzione). Sulla lenta delocalizzazione. O su come Elkann immagina il futuro dell’industria automobilistica in Italia. Niente. O sugli incentivi pubblici per le auto elettriche concessi al gruppo nati tra la fusione di Fca e Peugeot. Nemmeno un accenno. Solo una lunga intervista tra l’amarcord e il celebrativo della Ferrari e del nipote dell’Avvocato. Che tra le varie società possiede anche quella Juventus rivale del Torino di Urbano Cairo, editore del Corriere. Ma in questo caso, le tensioni calcistiche potrebbero essere state superate dalla necessità di riparare a un’altra pagina pubblicata dal quotidiano di via Solferino. Dai toni meno indulgenti, di certo giornalistici. Ovvero la Dataroom a cura di Milena Gabanelli che lunedì 24 giugno era dedicata a tutti gli aiuti di Stato ricevuti dagli Agnelli-Elkann, «da Fiat a Stellantis». Un conto salatissimo per lo Stato, perché dal 1990 al 2019 su dieci miliardi di investimenti, scriveva Gabanelli cofirmando l’articolo con Rita Querzé, ben quattro sono soldi pubblici. Inoltre, veniva aggiunto. Sono stati spesi 887 milioni per la cassa integrazione negli ultimi dieci anni. Non solo. «10mila posti di lavoro sono stati persi dal 2021, e dividendi per 16 miliardi». Tutto documentato con tabelle e grafici. Chissà se quella mattina al giovane Elkann è andato di traverso il caffè leggendo il Corsera. E chissà se qualcuno, dalla scuderia della comunicazione del gruppo o magari lo stesso presidente, ha alzato il telefono per chiamare l’editore. E chissà se l’editore ha deciso di rimediare mandando due inviati a Maranello a fare l’intervista pubblicata ieri. Sicuramente non è andata così. E chi lo pensa è malizioso.
La sede olandese di Nexperia (Getty Images)
Il governo olandese, che aveva espropriato Nexperia, deve a fare una brusca marcia indietro. La mossa ha sollevato Bruxelles visto che l’automotive era in panne a causa dello stop alla consegna dei semiconduttori imposto come reazione da Pechino.
Vladimir Putin (Ansa)
Il piano Usa: cessione di territori da parte di Kiev, in cambio di garanzie di sicurezza. Ma l’ex attore non ci sta e snobba Steve Witkoff.
Donald Trump ci sta riprovando. Nonostante la situazione complessiva resti parecchio ingarbugliata, il presidente americano, secondo la Cnn, starebbe avviando un nuovo sforzo diplomatico con la Russia per chiudere il conflitto in Ucraina. In particolare, l’iniziativa starebbe avvenendo su input dell’inviato statunitense per il Medio Oriente, Steve Witkoff, che risulterebbe in costante contatto con il capo del fondo sovrano russo, Kirill Dmitriev. «I negoziati hanno subito un’accelerazione questa settimana, poiché l’amministrazione Trump ritiene che il Cremlino abbia segnalato una rinnovata apertura a un accordo», ha riferito ieri la testata. Non solo. Sempre ieri, in mattinata, una delegazione di alto livello del Pentagono è arrivata in Ucraina «per una missione conoscitiva volta a incontrare i funzionari ucraini e a discutere gli sforzi per porre fine alla guerra». Stando alla Cnn, la missione rientrerebbe nel quadro della nuova iniziativa diplomatica, portata avanti dalla Casa Bianca.
Francobollo sovietico commemorativo delle missioni Mars del 1971 (Getty Images)
Nel 1971 la sonda sovietica fu il primo oggetto terrestre a toccare il suolo di Marte. Voleva essere la risposta alla conquista americana della Luna, ma si guastò dopo soli 20 secondi. Riuscì tuttavia ad inviare la prima immagine del suolo marziano, anche se buia e sfocata.
Dopo il 20 luglio 1969 gli americani furono considerati universalmente come i vincitori della corsa allo spazio, quella «space race» che portò l’Uomo sulla Luna e che fu uno dei «fronti» principali della Guerra fredda. I sovietici, consapevoli del vantaggio della Nasa sulle missioni lunari, pianificarono un programma segreto che avrebbe dovuto superare la conquista del satellite terrestre.
Mosca pareva in vantaggio alla fine degli anni Cinquanta, quando lo «Sputnik» portò per la prima volta l’astronauta sovietico Yuri Gagarin in orbita. Nel decennio successivo, tuttavia, le missioni «Apollo» evidenziarono il sorpasso di Washington su Mosca, al quale i sovietici risposero con un programma all’epoca tecnologicamente difficilissimo se non impossibile: la conquista del «pianeta rosso».
Il programma iniziò nel 1960, vale a dire un anno prima del lancio del progetto «Gemini» da parte della Nasa, che sarebbe poi evoluto nelle missioni Apollo. Dalla base di Baikonur in Kazakhistan partiranno tutte le sonde dirette verso Marte, per un totale di 9 lanci dal 1960 al 1973. I primi tentativi furono del tutto fallimentari. Le sonde della prima generazione «Marshnik» non raggiunsero mai l’orbita terrestre, esplodendo poco dopo il lancio. La prima a raggiungere l’orbita fu la Mars 1 lanciata nel 1962, che perse i contatti con la base terrestre in Crimea quando aveva percorso oltre 100 milioni di chilometri, inviando preziosi dati sull’atmosfera interplanetaria. Nel 1963 sorvolò Marte per poi perdersi in un’orbita eliocentrica. Fino al 1969 i lanci successivi furono caratterizzati dall’insuccesso, causato principalmente da lanci errati e esplosioni in volo. Nel 1971 la sonda Mars 2 fu la prima sonda terrestre a raggiungere la superficie del pianeta rosso, anche se si schiantò in fase di atterraggio. Il primo successo (ancorché parziale) fu raggiunto da Mars 3, lanciato il 28 maggio 1971 da Baikonur. La sonda era costituita da un orbiter (che avrebbe compiuto orbitazioni attorno a Marte) e da un Lander, modulo che avrebbe dovuto compiere l’atterraggio sulla superficie del pianeta liberando il Rover Prop-M che avrebbe dovuto esplorare il terreno e l’atmosfera marziani. Il viaggio durò circa sei mesi, durante i quali Mars 3 inviò in Urss preziosi dati. Atterrò su Marte senza danni il 2 dicembre 1971. Il successo tuttavia fu vanificato dalla brusca interruzione delle trasmissioni con la terra dopo soli 20 secondi a causa, secondo le ipotesi più accreditate, dell’effetto di una violenta tempesta marziana che danneggiò l’equipaggiamento di bordo. Solo un’immagine buia e sfocata fu tutto quello che i sovietici ebbero dall’attività di Mars 3. L’orbiter invece proseguì la sua missione continuando l’invio di dati e immagini, dalle quali fu possibile identificare la superficie montagnosa del pianeta e la composizione della sua atmosfera, fino al 22 agosto 1972.
Sui giornali occidentali furono riportate poche notizie, imprecise e incomplete a causa della difficoltà di reperire notizie oltre la Cortina di ferro così la certezza dell’atterraggio di Mars 3 arrivò solamente dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Gli americani ripresero le redini del successo anche su Marte, e nel 1976 la sonda Viking atterrò sul pianeta rosso. L’Urss abbandonò invece le missioni Mars nel 1973 a causa degli elevatissimi costi e della scarsa influenza sull’opinione pubblica, avviandosi verso la lunga e sanguinosa guerra in Afghanistan alla fine del decennio.
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Il presidente torna dal giro in Francia, Grecia e Spagna con altri missili, caccia, radar, fondi energetici. Festeggiano i produttori di armi e gli Stati: dopo gli Usa, la Francia è la seconda nazione per export globale.
Il recente tour diplomatico di Volodymyr Zelensky tra Atene, Parigi e Madrid ha mostrato, più che mai, come il sostegno all’Ucraina sia divenuto anche una vetrina privilegiata per l’industria bellica europea. Missili antiaerei, caccia di nuova generazione, radar modernizzati, fondi energetici e contratti pluriennali: ciò che appare come normale cooperazione militare è in realtà la struttura portante di un enorme mercato che non conosce pause. La Grecia garantirà oltre mezzo miliardo di euro in forniture e gas, definendosi «hub energetico» della regione. La Francia consegnerà 100 Rafale F4, sistemi Samp-T e nuove armi guidate, con un ulteriore pacchetto entro fine anno. La Spagna aggiungerà circa 500 milioni tra programmi Purl e Safe, includendo missili Iris-T e aiuti emergenziali. Una catena di accordi che rivela l’intreccio sempre più solido tra geopolitica e fatturati industriali. Secondo il SIPRI, le importazioni europee di sistemi militari pesanti sono aumentate del 155% tra il 2015-19 e il 2020-24.





