2023-08-28
Elisabetta Trenta: «Sì, forse Vannacci paga le sue denunce sull’uranio»
L’ex ministro della Difesa: «In passato fu trasferito dalla Folgore all’Istituto geografico. Eppure aveva prestato servizio nelle zone più “calde”: si meritava un ruolo operativo».«Vannacci? Non andava rimosso. Così facendo, ne hanno fatto un martire. E comunque ha il diritto di esprimere le sue idee». Elisabetta Trenta, ex ministro della Difesa nel governo Conte I e oggi componente della Democrazia Cristiana (la nuova formazione centrista guidata da Antonio Cirillo), difende l’ex capo della Folgore autore del libro del momento, Il mondo al contrario: «Quel libro è legittimo. Una punizione per le denunce sull’uranio impoverito? Ci ho pensato. Ancora oggi le vittime attendono le scuse da parte dei responsabili. Invece in Italia si è preferito negare tutto. Ma i fatti raccontano una storia diversa».Si aspettava un tale polverone intorno al generale?«La situazione è un po’ sfuggita di mano a chi l’ha gestita. Evidentemente Vannacci ha toccato alcune corde importanti, argomenti sensibili in sintonia con la pancia del Paese».Condivide i contenuti del libro contestato?«No, anche se il generale ha ragione quando sottolinea l’importanza di non smarrire le proprie radici. In ogni caso, come diceva Voltaire, pur non condividendo le sue idee, mi batto perché possa esprimerle. Vannacci ha tutto il diritto di esternare il suo pensiero, e penso l’abbia fatto senza superare il segno. Temo che molti abbiano letto il suo libro accecati dal pregiudizio».Se lei fosse stata al posto del ministro Crosetto, come si sarebbe comportata?«Non avrei rimosso il generale dall’incarico, ma non lo ha fatto neanche lui. La decisione attiene alle competenze dei vertici delle forze armate».Dunque il caso poteva essere gestito meglio?«Questa vicenda è apparsa, agli occhi dei più, come un processo sommario. E alla fine, non volendo, di Vannacci hanno fatto un martire».Esiste un problema di opportunità rispetto alle frasi pubblicate da Vannacci? Parliamo pur sempre di un rappresentante delle istituzioni.«L’opportunità non è sanzionabile, e comunque sarebbe bastato avviare un’indagine interna, per stabilire se le frasi di Vannacci fossero contrarie ai principi costituzionali. In base a ciò che leggo, non lo sono».Ha conosciuto personalmente Vannacci?«Sì, l’ho incontrato in veste di ministro della Difesa, in occasione della sua denuncia sugli effetti dell’uranio impoverito sui nostri militari in zone di guerra. Mi sono occupata a lungo della questione. È sempre stato un tema drammatico, che ancora oggi resta irrisolto: una pagina vergognosa per la Difesa».Vannacci viene punito oggi per le sue vecchie denunce sull’uranio?«L’ho pensato, è una delle ipotesi possibili».Trasferirlo dalla guida della Folgore all’Istituto Geografico può essere considerata anch’essa una punizione per certe uscite scomode del passato?«Anche questo passaggio andrebbe valutato. Vannacci ha prestato servizio nelle zone più “calde” del mondo: sarebbe stato opportuno garantirgli un ruolo operativo, in linea con le qualità dimostrate sul campo. Si chiama meritocrazia».Insomma, sulla vicenda dell’uranio impoverito sente il bisogno di chiarezza, di una verità storica?«La commissione parlamentare d’inchiesta Scanu, qualche anno fa, ha tratto delle conclusioni molto chiare sulle responsabilità dei vertici militari in merito alla mancata protezione dei nostri soldati. Non escludo ci sia stata una sottovalutazione generale, anche sul versante politico. Ma ciò che mi indigna di più è il fatto di essersi disinteressati, per anni, ai bisogni delle famiglie dei militari colpiti».Sono passati anni. Qual è la sua soluzione?«Mettere in galera una o dieci persone non risolve nulla. Sul tema uranio impoverito la priorità oggi è prendersi cura dei militari malati e delle loro famiglie. La mia proposta è questa: depenalizziamo eventuali reati, ma a una condizione: i responsabili chiedano scusa. Sarebbe un grande atto di civiltà. L’unico modo per recuperare fiducia».Fiducia?«Conosco tante storie dolorose. Militari che si sono ammalati gravemente, o che hanno trasmesso malattie genetiche ai figli. Che combattono da anni altre battaglie, di natura psicologica, per non affondare. Sono uomini dello Stato che dallo Stato si sentono traditi. Il colonnello Carlo Calcagni è diventato un simbolo. Rimasto intossicato da metalli pesanti in Bosnia, è stato messo da parte, ed anche il suo richiamo nel Ruolo d’Onore è stato revocato. Ma non si arrende».Non la infastidisce l’idea che i responsabili di eventuali mancanze possano aver fatto carriera nella Difesa?«Non possiamo degradarli tutti. La giustizia si fa anche ammettendo le colpe, facendo chiarezza, e supportando le vittime. Alcune delle quali hanno ricevuto zero tutele, e sono costrette ad assumere un avvocato anche solo per certificare la presenza di veleni nel proprio sangue».Su questa storia lei ha parlato di «silenzio spaventoso». Sospetta che dietro ci siano anche ragioni strategiche, legate al mantenimento di buoni rapporti con gli alleati?«Non c’entra la Realpolitik. Gli altri Paesi proteggevano le loro forze armate prendendo precauzioni: l’Italia no. Ci sono state incompetenze e sottovalutazioni in ambito italiano».Quando, da ministro, sollevò il problema, trovò collaborazione a livello istituzionale?«Ne parlai anche al presidente Mattarella, che mi disse di proseguire, pur con grande cautela. Ma so che a livello politico c’erano persone che non volevano si arrivasse alla verità». C’è stata dunque una copertura politica sugli errori legati all’uranio impoverito?«Diversi ministri della Difesa prima di me hanno negato il problema. E sono stati smentiti dai fatti».Ai tempi del conflitto in Bosnia, l’allora ministro della Difesa Mattarella si ritrovò a rispondere in parlamento sugli effetti dell’uranio. Gli errori politici risalgono fino a quella gestione?«I fatti non li ricordo esattamente. Quel che è certo è che nessun ministro prima di me ha mai voluto occuparsi davvero della questione. C’è sempre stato un tentativo di negare e giustificare, anche attraverso indagini male amministrate».E lei, quando era al governo, come intervenne?«Convocai un tavolo di lavoro e preparammo un disegno di legge, d’accordo con i vertici militari. Si basava sull’inversione dell’onere della prova. Oggi il soldato deve dimostrare di essersi ammalato per attività sul campo: non è giusto. Dev’essere piuttosto il ministero a dimostrare di aver preso tutte le precauzioni necessarie per tutelare la salute dei militari. E il principio non vale solo per l’uranio: i fattori di rischio per salute dei soldati in missione e nella vita operativa sono numerosi».Come andò a finire?«La proposta di legge non venne neanche discussa. E la legislatura finì».Andiamo sul fronte russo-ucraino. Il jet con a bordo il capo della Wagner Prigozhin è stato abbattuto su ordine di Putin?«È la prima cosa che mi viene in mente. Ma potrei farmi venire altre idee».Cioè?«Potrebbero essere stati gli ucraini, ma non solo. L’ultimo video di Prigozhin era girato in Africa: prometteva un reclutamento per “rendere la Russia ancora più grande”. Qual è il Paese più insofferente per la presenza russa in Africa? La Francia».Sospetta un coinvolgimento francese?«No, è probabilmente fantapolitica, ma le ipotesi vanno tutte considerate. Perché mai Putin avrebbe dovuto eliminare Prigozhin così platealmente, sul proprio territorio, contravvenendo peraltro alla tradizionale “riservatezza” russa”? Qualcosa non quadra. Ma adesso, più che il dibattito sui responsabili, è importante chiedersi cosa succederà».Appunto, chi raccoglierà l’eredità della Wagner?«Si potrebbe dissolvere, ma la cosa più probabile è che resti in piedi con un altro capo. Putin ha bisogno della Wagner, o comunque di qualcuno che presidi l’Africa. Non solo per lo sfruttamento delle materie prime, ma anche per perpetuare un’opera di destabilizzazione energetica e geopolitica. Contribuendo alla creazione di uno Stato fallito in Niger, Mosca potrebbe far esplodere la bomba migratoria contro di noi».E in Ucraina?«La pace mondiale ha un valore assoluto, superiore alla pace in un singolo Paese. L’Ucraina va certamente aiutata a recuperare i suoi territori, ma non credo che l’unica strada sia la vittoria militare sul campo. Una vittoria peraltro problematica, visto il possibile coinvolgimento della Nato. Continuo a pensare che esistano altre strade di natura diplomatica. Il rischio è l’Ucraina si trasformi nel nuovo Afghanistan: e in questo caso, a pagarne il prezzo sarebbe ancora una volta il popolo ucraino».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.