2025-05-21
Nella lista della Salis spunta un indagato per furto di corrente
Matteo Zedda, candidato civico, avrebbe allacciato l’impianto del dehor del suo ristorante a quello di un parco pubblico.Se cercate a Genova un uomo che ha sinceramente detestato il Pd e, anche, il possibile futuro vicesindaco in quota centro-sinistra, beh, non dovete cercarlo nel centrodestra, ma nella coalizione che sostiene la candidata progressista e, più precisamente nella lista civica «Silvia Salis sindaca». E il fiero avversario dei dem è pure stato recentemente denunciato dalla Polizia municipale genovese alla Procura della Repubblica. Ma forse questo preoccupa meno la candidata Salis, dal momento che è, a sua volta, sotto inchiesta. La notizia l’ha data questo giornale e l’assessore genovese alla Sicurezza, Antonino Gambino, ha dato l’ufficialità al nostro scoop: «È stata la stessa Salis ad ammettere di aver investito una donna di 42 anni che l’ha querelata», ha sottolineato il politico, ribadendo l’accusa: «Lesioni colpose stradali ai sensi dell’articolo 590 del codice penale». Gambino ha anche precisato che «il procedimento, con numero 946/25, è stato trasmesso al giudice di pace». Sempre La Verità ha scoperto che alla Salis era anche stata sospesa la patente per due mesi, a partire da 5 ottobre 2024, data della notifica, «per la mancata precedenza a un pedone», la donna investita. Il provvedimento in questo caso è 67398 del 23 settembre 2024. Ora viene a galla che nella sua coalizione non è l’unica con qualche grana giudiziaria. Nella lista civica che porta il suo nome c’è, infatti, un altro indagato. Il suo nome è Matteo Francesco Zedda, classe 1977, personaggio molto conosciuto nel centro storico genovese, presidente dei Centri integrati di via Sarzano-Sant’Agostino e ideatore della riuscitissima manifestazione Tartufando. Attivo, visibile e noto, soprattutto per le passate posizioni critiche nei confronti del Partito democratico. Soprattutto sui social. Il 22 febbraio 2017, in vista delle elezioni amministrative, scriveva: «L’unica possibilità per un candidato Pd? Se alla prima dichiarazione dicesse «mi dono alla città per la sua rinascita tagliando i ponti con la vecchia dirigenza Pd e ogni assessore dell’attuale giunta». Mentre solo qualche mese prima, a dicembre 2016, aveva scritto: «E adesso pensiamo al prossimo sindaco, caro Pd incominciano a traballare le vostre sedie?». Sempre prima delle elezioni se la prese con il segretario dem Alessandro Terrile (il vicesindaco in pectore della Salis, almeno secondo le indiscrezioni): «Caro Terrile, ricapitoliamo la campagna elettorale del Pd in mancanza di un candidato a pochi mesi dal voto». E giù un lunghissimo elenco di punti critici, tra i quali «migranti via XX Settembre, gestione dell’allerta meteo, mercato del pesce, fiera di Genova». E non poteva mancare qualcosa che gli sta a cuore: «Ordinanza movida». Facendo qualche passo indietro spunta la campagna elettorale delle Regionali 2015. Raffaella Paita, all’epoca candidata del Pd renziano e oggi esponente di punta di Italia viva, viene sconfitta da Giovanni Toti e lui scimmiotta Ciao amore del genovese d’adozione Luigi Tenco: «Provate a cantare questa, ciao Paita, ciao Paita, ciao Paita, ciao». Passano un po’ di anni e se la prende con l’allora segretario nazionale Nicola Zingaretti, che in tv aveva dichiarato: «Nel 2020 torneremo a governare la Regione Liguria». Zedda lo rimette al suo posto: «Ricordiamoci queste affermazioni. Ennesima campagna elettorale demonizzando l’avversario. Cose viste e riviste e il risultato è scontato». Poi fa emergere il suo lato giustizialista. Ad aprile 2020 se ne esce con un: «Io non vado a votare, facciamo che si possa votare solo nelle Regioni in cui non ci siano in atto indagini della Procura». E, quattro anni dopo, mentre infuria l’inchiesta sul governatore, lui mette Giovanni Toti nel mirino: «Mi dispiace ma il garantismo con certi personaggi l’ho proprio abbandonato». Parole che oggi qualcuno potrebbe rinfacciargli, visto che proprio lui è protagonista di un caso giudiziario per un presunto furto aggravato di energia elettrica, per cui sarebbe indagato come si legge nella «comunicazione di notizia di reato», inviata alla Procura dall’ufficiale di polizia giudiziaria. La scena del crimine? Il suo ristorante-braceria. È stata la Polizia locale a scoprire l’inghippo e a «denunciarlo in stato di libertà» ai pm il 23 aprile scorso. «Dall’anno 2020» al giorno del blitz dei vigili, si sarebbero «verificati in prossimità delle giornate di venerdì e sabato, in orario serale (periodo temporale di maggiore affluenza del locale), consistenti carichi anomali sulla linea», annotano i «cantunè». Il ristorante, stando agli accertamenti, avrebbe usato un impianto a doppio binario: uno legale, collegato al contatore; l’altro abusivo, connesso direttamente alla rete pubblica di illuminazione dei giardini Luzzati. Le indagini partono da una segnalazione tecnica: ogni volta che si accendono le luci dei Luzzati, coincidenza, si accendono anche quelle del dehor del Tiflis. Nel corso del sopralluogo del 24 aprile, gli agenti rilevano tre lampade riscaldanti, fari per insegne, luci decorative e prese elettriche, tutte allacciate alla rete comunale. Il sistema è risultato completo di temporizzatori e interruttori, progettato per sfruttare la corrente pubblica senza pagare un centesimo. E, infatti, la segnalazione è per «possibile furto di energia elettrica […] per quanto concerne il dehor concesso su suolo pubblico all’interno dei giardini Luzzatti». A Zedda sono contestati l’articolo 624 e 625 (furto aggravato da mezzo fraudolento, ndr) del codice penale. Gli investigatori, probabilmente increduli, hanno effettuato alcune prove di accensione e spegnimento della pubblica illuminazione. «Risultava», annotano nella segnalazione, «subito evidente che l’impianto elettrico servente il dehor del ristorante risultasse in buona parte alimentato dall’impianto pubblico». A quel punto, seguendo i fili, «veniva identificato il punto in cui l’impianto privato del dehor era stato allacciato alla pubblica illuminazione». Ma c’è di più: «Le strumentazioni necessarie al funzionamento del ristorante in orario diurno» sarebbero risultate allacciate al contatore del ristorante, «mentre quelle destinate al servizio serale», è scritto nell’informativa, sarebbero state «collegate abusivamente, secondo una divisione precisa». E perfino le insegne succhiavano l’energia cittadina: «Risulta inverosimile», valutano gli investigatori, «che in cinque anni il titolare del locale non si sia mai occupato di accendere o spegnere le insegne e che non abbia notato l’anomalia». Infine, quella che per gli investigatori sarebbe la pistola fumante: «L’impianto abusivo risulta ancorato su quello regolare» e quindi sarebbe stato «necessariamente realizzato successivamente all’impianto legittimo». Gli agenti hanno anche analizzato le mappe di Google. E ritengono di aver scoperto che nelle immagini risalenti al 2018 l’impianto non c’era ancora. Quando gli investigatori chiedono a Zedda chi abbia realizzato l’impianto, lui si smarca: «Non ricordo. Non ho fatture. Non so chi abbia fatto il lavoro». Peraltro ben eseguito, con tanto di cablaggi fascettati. La risposta comoda del ristoratore, però, contrastava con l’evidenza. I dipendenti lo sapevano. Francesco, uno dei lavoratori ascoltati dalla polizia, riferisce: «Le luci si accendono da sole. Dopo la chiusura restano accese. Le lampade riscaldanti di giorno non funzionano». I frigoriferi, la cassa e le luci interne, invece, sì. Chissà se, in caso di vittoria, i candidati della lista Salis, compresa la candidata sindaca, andranno a festeggiare alla braceria, dove l’illuminazione, da cinque anni, secondo la Polizia municipale, è a spese dei contribuenti.
La neo premier giapponese Sanae Takaichi (Ansa)
Andrej Babis (Getty Images)
La Battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571 di Andries Van Eertvelt, dipinto del 1640 (Getty Images)
(Totaleu)
Lo ha dichiarato l'eurodeputato di Fratelli d'Italia in un intervento durante la sessione plenaria del Parlamento europeo di Strasburgo.