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2025-05-06
L’effetto Simion scuote la Romania. Si dimette il premier socialista
Chi l’ha detta meglio è probabilmente Marine Le Pen che, esclusa – almeno per ora – dalla competizione elettorale per iniziativa dei magistrati in Francia, scrive su X: «La Romania ha appena regalato alla signora Ursula von der Leyen un bel boomerang». Il giorno dopo del primo turno delle presidenziali a Bucarest è tristissimo per Bruxelles e agitatissimo nell’immenso Palatul Parlamentului, sede della politica rumena, il secondo palazzo più grande al mondo in stile sovietico. Si è dimesso il primo ministro Marcel Ciolacu, socialdemocratico, che è stato sfiduciato dal suo partito dopo la durissima sconfitta che la fu maggioranza di governo (Psd, Partito liberale e partito filo ungherese) ha subìto al primo turno delle presidenziali domenica con il trionfo del candidato di destra George Simion (Aur, unione dei rumeni). A scrutinio ancora aperto uno degli esponenti di punta del Psd Robert Sighiartau, aveva liquidato il premier: «È evidente che ci deve essere un governo senza Marcel Ciolacu, poiché egli non ha più alcuna legittimità». Dopo una serie di vertici ieri pomeriggio Ciolacu si è recato dal presidente della Repubblica ad interim Ilie Bolojan e ha rassegnato le dimissioni con tutti i ministri socialdemocratici, che restano in carica per l’ordinaria amministrazione per i prossimi 45 giorni, quando si dovrà nominare un nuovo governo. Con tutta probabilità a nominarlo sarà George Simion visto che il ballottaggio per il presidente della Repubblica si terrà il 18 maggio. E, quasi una nemesi, presidente del Consiglio sarà allora quel Calin Georgescu che al primo turno delle presidenziali del novembre scorso aveva sconfitto proprio Ciolacu , che anche allora aveva presentato le dimissioni poi respinte. Rientrate però a seguito dell’intervento a gamba tesa della Corte Costituzionale rumena che aveva annullato quelle elezioni impedendo a Georgescu anche di ricandidarsi perché sarebbero state inficiate da ingerenze russe.
Viene da dire che quei giudici hanno fatto un favore a Simion e alla destra. Georgescu a novembre aveva vinto con circa il 22% dei voti. Ieri Simion ne ha presi quasi il doppio perché i rumeni si sono ribellati. Peraltro George Simion - si è presentato al seggio in compagnia di Georgescu - ha dichiarato già domenica sera: «Farò di tutto per nominare Georgescu primo ministro». Le dimissioni di Ciolacu spianano la strada, tant’è che i liberali fino all’ultimo hanno cercato di far nascere un governo di emergenza presieduto da Ilie Bolojan che – con una forzatura costituzionale – avrebbe retto la presidenza della Repubblica e quella del consiglio dei ministri.
In Romania dunque è successo ciò che l’Ue si augurava che non accadesse: il candidato di destra, trumpiano convinto tanto da ispirarsi al Maga, George Simion, ha stravinto con il 41% dei consensi. Hanno provato anche questa volta ad agitare il sospetto degli hacker russi, ma senza esito. Al ballottaggio avrà di fronte il sindaco di Bucarest Nicusor Dan, che corre da solo e ha preso il 20,9% dei voti, dunque la metà del suo sfidante. Dan giura fedeltà all’Ue e la sua prima dichiarazione è stata: «Al ballottaggio sarà una sfida tra chi crede nell’Europa, noi, e chi vuole portare la Romania allo sbando». Pare però argomento debole; analizzando il voto emerge che Dan ha raccolto consensi solo nella capitale e dalla componente magiara (in Romania c’è una forte presenza di ungheresi), ma non ha un seguito ampio (il voto all’estero gli ha dato appena il 19%). Simion ha stravinto tra i rumeni all’estero (quasi il 61% degli 860.000 voti espressi), in tutte le zone rurali e anche nelle regioni di confine con la Moldavia (Paese che lo ha espulso come l’Ucraina), che lui sogna di riunificare alla Romania. Può recuperare i voti di Viktor Ponta (14%), anche lui approdato su posizioni nazionaliste. Una sorpresa potrebbe venire dall’elettorato socialdemocratico, che sta abbandonando fin dalle prime ore dopo lo scrutinio Crin Antonescu che era sostenuto dalla triade dei partiti di governo: il Pnl (Partito nazional liberale), il Psd (Partito socialdemocratico) e il partito filo ungherese. Antonescu è arrivato terzo con il 20,4% dei voti e questo segna la fine di un lungo periodo di potere dei socialdemocratici.
Simion ieri ha confermato la sua fedeltà atlantica e ha detto di non voler uscire dall’Europa, ma di voler cambiare l’Europa. Del resto è anche vicepresidente di Ecr, il gruppo dei conservatori a cui appartiene Fdi e che fino a qualche mese fa era guidato da Giorgia Meloni. Tant’è che ieri accanto a Simion c’era Carlo Fidanza, capodelegazione a Bruxelles per FdI, che ha ribadito: «Voglio congratularmi con l’amico George Simion per il suo fantastico lavoro. Ma mi congratulo soprattutto col popolo rumeno, perché riafferma il suo diritto alla libertà, alla democrazia e alla sovranità».
Per una strana coincidenza Bruxelles deve temere il 18 maggio, perché assieme al ballottaggio rumeno si tiene anche il primo turno delle presidenziali in Polonia. E anche lì la destra prepara la sorpresa.
«Ora nessuno osi più interferire»
La vittoria del leader di Aur George Simion al primo turno delle elezioni presidenziali rumene divide il continente europeo: l’entusiasmo ha contagiato i partiti di destra, mentre il risultato preoccupa Bruxelles e il Ppe.
Una tendenza che è in qualche modo già visibile all’interno degli stessi confini italiani. C’è chi ha celebrato il trionfo come il vicepremier Matteo Salvini e chi ha avuto una reazione contenuta come il vicepresidente del Consiglio Antonio Tajani.
Il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti ha infatti subito commentato su X: «In Romania il popolo ha finalmente votato, liberamente, con testa e cuore. Con buona pace dei signori di Bruxelles e dei loro sporchi trucchi». E ieri il leader della Lega, facendo riferimento alle elezioni annullate alla fine dello scorso anno, ha specificato: «Spero che nessuno osi più interferire con la democrazia in un Paese membro dell’Unione europea. Fermare le elezioni a urne aperte e arrestare un candidato è roba da regime, non da Europa». Invece, il segretario di Forza Italia non ha voluto commentare le parole di Salvini, sostenendo che «ognuno fa quello che vuole». Tajani, pur sottolineando che la Romania «è un Paese libero» e che «bisogna sempre rispettare il voto», si augura che nel secondo turno non ci sia «troppo antieuropeismo», visto anche che «la Romania ha avuto tanto dall’Unione europea».
È interessante notare che è proprio dai cittadini rumeni presenti in Italia che Simion ha ricevuto un vasto consenso. Lo stesso Salvini ha ricordato che «oltre il 70%» della comunità rumena che vive nel nostro Paese «ha sostenuto George Simion».
Il partito dei conservatori e dei riformisti europei (Ecr), di cui Simion è vicepresidente, si è subito congratulato per il risultato ottenuto. Anzi, il vicepresidente di Ecr e capodelegazione di Fratelli d’Italia a Bruxelles Carlo Fidanza era proprio a fianco di Simion sul palco per celebrare il «voto di libertà». Con il leader di Aur che si trova «nelle condizioni concrete di poter vincere al ballottaggio», la speranza è che «questa breve campagna per il ballottaggio non veda interferenze esterne né da Bruxelles né da altrove e i rumeni possano votare liberamente», ha detto Fidanza. E ha ricordato anche: «Per la nostra famiglia politica si tratterebbe di una grande vittoria, vorrebbe dire anche avere il quarto membro del Consiglio europeo (insieme a Meloni e ai premier di Belgio e Repubblica Ceca) superando addirittura i socialisti».
A lanciare una stoccata direttamente contro il presidente della Commissione Ue è stata Marine Le Pen, che su X, entusiasta dell’esito, ha scritto: «La Romania ha appena regalato alla signora Von der Leyen un bel boomerang». Anche il presidente di Vox, Santiago Abascal, non si è risparmiato nelle valutazioni, spiegando che «la libertà di espressione e la democrazia si stanno facendo strada».
Che Simion piaccia poco a Bruxelles pare assodato. E proprio dalle fila del Ppe, il suo vicepresidente, l’eurodeputato rumeno, Siegfried Muresan, ha commentato la vittoria del primo turno: «L’elezione di George Simion a presidente della Romania sarebbe una cattiva notizia non solo per la Romania, ma per l’Europa», visto che «sarebbe una vittoria strategica della Russia». L’eurodeputato ha attaccato Simion su diversi fronti, dalle posizioni anti Ue a quelle ritenute filorusse. Muresan ha sottolineato che al candidato presidenziale «è stato vietato di entrare in Ucraina e in Moldavia per aver minacciato l’integrità territoriale di questi due Paesi candidati all’Ue». Simion, a detta del vicepresidente del Ppe, è colpevole di aver teso una mano all’ex candidato Calin Georgescu, ma anche di aver paragonato l’Ue «all’Unione Sovietica».
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Il sovranista ottiene il 41% dei voti, il doppio di quelli presi a novembre da Georgescu, poi eliminato dai giudici Il 18 maggio. Ballottaggio con Dan, sindaco della capitale, che già chiama in soccorso «chi crede nell’Unione».Salvini: «Arrestare un candidato è da regime». Fidanza (Fdi): «Al secondo turno il voto sia libero». Le Pen: «Un boomerang per Ursula». Freddi il Ppe e Forza Italia.Lo speciale contiene due articoli.Chi l’ha detta meglio è probabilmente Marine Le Pen che, esclusa – almeno per ora – dalla competizione elettorale per iniziativa dei magistrati in Francia, scrive su X: «La Romania ha appena regalato alla signora Ursula von der Leyen un bel boomerang». Il giorno dopo del primo turno delle presidenziali a Bucarest è tristissimo per Bruxelles e agitatissimo nell’immenso Palatul Parlamentului, sede della politica rumena, il secondo palazzo più grande al mondo in stile sovietico. Si è dimesso il primo ministro Marcel Ciolacu, socialdemocratico, che è stato sfiduciato dal suo partito dopo la durissima sconfitta che la fu maggioranza di governo (Psd, Partito liberale e partito filo ungherese) ha subìto al primo turno delle presidenziali domenica con il trionfo del candidato di destra George Simion (Aur, unione dei rumeni). A scrutinio ancora aperto uno degli esponenti di punta del Psd Robert Sighiartau, aveva liquidato il premier: «È evidente che ci deve essere un governo senza Marcel Ciolacu, poiché egli non ha più alcuna legittimità». Dopo una serie di vertici ieri pomeriggio Ciolacu si è recato dal presidente della Repubblica ad interim Ilie Bolojan e ha rassegnato le dimissioni con tutti i ministri socialdemocratici, che restano in carica per l’ordinaria amministrazione per i prossimi 45 giorni, quando si dovrà nominare un nuovo governo. Con tutta probabilità a nominarlo sarà George Simion visto che il ballottaggio per il presidente della Repubblica si terrà il 18 maggio. E, quasi una nemesi, presidente del Consiglio sarà allora quel Calin Georgescu che al primo turno delle presidenziali del novembre scorso aveva sconfitto proprio Ciolacu , che anche allora aveva presentato le dimissioni poi respinte. Rientrate però a seguito dell’intervento a gamba tesa della Corte Costituzionale rumena che aveva annullato quelle elezioni impedendo a Georgescu anche di ricandidarsi perché sarebbero state inficiate da ingerenze russe. Viene da dire che quei giudici hanno fatto un favore a Simion e alla destra. Georgescu a novembre aveva vinto con circa il 22% dei voti. Ieri Simion ne ha presi quasi il doppio perché i rumeni si sono ribellati. Peraltro George Simion - si è presentato al seggio in compagnia di Georgescu - ha dichiarato già domenica sera: «Farò di tutto per nominare Georgescu primo ministro». Le dimissioni di Ciolacu spianano la strada, tant’è che i liberali fino all’ultimo hanno cercato di far nascere un governo di emergenza presieduto da Ilie Bolojan che – con una forzatura costituzionale – avrebbe retto la presidenza della Repubblica e quella del consiglio dei ministri. In Romania dunque è successo ciò che l’Ue si augurava che non accadesse: il candidato di destra, trumpiano convinto tanto da ispirarsi al Maga, George Simion, ha stravinto con il 41% dei consensi. Hanno provato anche questa volta ad agitare il sospetto degli hacker russi, ma senza esito. Al ballottaggio avrà di fronte il sindaco di Bucarest Nicusor Dan, che corre da solo e ha preso il 20,9% dei voti, dunque la metà del suo sfidante. Dan giura fedeltà all’Ue e la sua prima dichiarazione è stata: «Al ballottaggio sarà una sfida tra chi crede nell’Europa, noi, e chi vuole portare la Romania allo sbando». Pare però argomento debole; analizzando il voto emerge che Dan ha raccolto consensi solo nella capitale e dalla componente magiara (in Romania c’è una forte presenza di ungheresi), ma non ha un seguito ampio (il voto all’estero gli ha dato appena il 19%). Simion ha stravinto tra i rumeni all’estero (quasi il 61% degli 860.000 voti espressi), in tutte le zone rurali e anche nelle regioni di confine con la Moldavia (Paese che lo ha espulso come l’Ucraina), che lui sogna di riunificare alla Romania. Può recuperare i voti di Viktor Ponta (14%), anche lui approdato su posizioni nazionaliste. Una sorpresa potrebbe venire dall’elettorato socialdemocratico, che sta abbandonando fin dalle prime ore dopo lo scrutinio Crin Antonescu che era sostenuto dalla triade dei partiti di governo: il Pnl (Partito nazional liberale), il Psd (Partito socialdemocratico) e il partito filo ungherese. Antonescu è arrivato terzo con il 20,4% dei voti e questo segna la fine di un lungo periodo di potere dei socialdemocratici. Simion ieri ha confermato la sua fedeltà atlantica e ha detto di non voler uscire dall’Europa, ma di voler cambiare l’Europa. Del resto è anche vicepresidente di Ecr, il gruppo dei conservatori a cui appartiene Fdi e che fino a qualche mese fa era guidato da Giorgia Meloni. Tant’è che ieri accanto a Simion c’era Carlo Fidanza, capodelegazione a Bruxelles per FdI, che ha ribadito: «Voglio congratularmi con l’amico George Simion per il suo fantastico lavoro. Ma mi congratulo soprattutto col popolo rumeno, perché riafferma il suo diritto alla libertà, alla democrazia e alla sovranità». Per una strana coincidenza Bruxelles deve temere il 18 maggio, perché assieme al ballottaggio rumeno si tiene anche il primo turno delle presidenziali in Polonia. E anche lì la destra prepara la sorpresa.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/effetto-simion-scuote-romania-2671897290.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ora-nessuno-osi-piu-interferire" data-post-id="2671897290" data-published-at="1746515986" data-use-pagination="False"> «Ora nessuno osi più interferire» La vittoria del leader di Aur George Simion al primo turno delle elezioni presidenziali rumene divide il continente europeo: l’entusiasmo ha contagiato i partiti di destra, mentre il risultato preoccupa Bruxelles e il Ppe. Una tendenza che è in qualche modo già visibile all’interno degli stessi confini italiani. C’è chi ha celebrato il trionfo come il vicepremier Matteo Salvini e chi ha avuto una reazione contenuta come il vicepresidente del Consiglio Antonio Tajani. Il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti ha infatti subito commentato su X: «In Romania il popolo ha finalmente votato, liberamente, con testa e cuore. Con buona pace dei signori di Bruxelles e dei loro sporchi trucchi». E ieri il leader della Lega, facendo riferimento alle elezioni annullate alla fine dello scorso anno, ha specificato: «Spero che nessuno osi più interferire con la democrazia in un Paese membro dell’Unione europea. Fermare le elezioni a urne aperte e arrestare un candidato è roba da regime, non da Europa». Invece, il segretario di Forza Italia non ha voluto commentare le parole di Salvini, sostenendo che «ognuno fa quello che vuole». Tajani, pur sottolineando che la Romania «è un Paese libero» e che «bisogna sempre rispettare il voto», si augura che nel secondo turno non ci sia «troppo antieuropeismo», visto anche che «la Romania ha avuto tanto dall’Unione europea». È interessante notare che è proprio dai cittadini rumeni presenti in Italia che Simion ha ricevuto un vasto consenso. Lo stesso Salvini ha ricordato che «oltre il 70%» della comunità rumena che vive nel nostro Paese «ha sostenuto George Simion». Il partito dei conservatori e dei riformisti europei (Ecr), di cui Simion è vicepresidente, si è subito congratulato per il risultato ottenuto. Anzi, il vicepresidente di Ecr e capodelegazione di Fratelli d’Italia a Bruxelles Carlo Fidanza era proprio a fianco di Simion sul palco per celebrare il «voto di libertà». Con il leader di Aur che si trova «nelle condizioni concrete di poter vincere al ballottaggio», la speranza è che «questa breve campagna per il ballottaggio non veda interferenze esterne né da Bruxelles né da altrove e i rumeni possano votare liberamente», ha detto Fidanza. E ha ricordato anche: «Per la nostra famiglia politica si tratterebbe di una grande vittoria, vorrebbe dire anche avere il quarto membro del Consiglio europeo (insieme a Meloni e ai premier di Belgio e Repubblica Ceca) superando addirittura i socialisti». A lanciare una stoccata direttamente contro il presidente della Commissione Ue è stata Marine Le Pen, che su X, entusiasta dell’esito, ha scritto: «La Romania ha appena regalato alla signora Von der Leyen un bel boomerang». Anche il presidente di Vox, Santiago Abascal, non si è risparmiato nelle valutazioni, spiegando che «la libertà di espressione e la democrazia si stanno facendo strada». Che Simion piaccia poco a Bruxelles pare assodato. E proprio dalle fila del Ppe, il suo vicepresidente, l’eurodeputato rumeno, Siegfried Muresan, ha commentato la vittoria del primo turno: «L’elezione di George Simion a presidente della Romania sarebbe una cattiva notizia non solo per la Romania, ma per l’Europa», visto che «sarebbe una vittoria strategica della Russia». L’eurodeputato ha attaccato Simion su diversi fronti, dalle posizioni anti Ue a quelle ritenute filorusse. Muresan ha sottolineato che al candidato presidenziale «è stato vietato di entrare in Ucraina e in Moldavia per aver minacciato l’integrità territoriale di questi due Paesi candidati all’Ue». Simion, a detta del vicepresidente del Ppe, è colpevole di aver teso una mano all’ex candidato Calin Georgescu, ma anche di aver paragonato l’Ue «all’Unione Sovietica».
Giovanni Malagò (Getty Images)
Adesso si trova in Campania, dopo esser passata tra Lazio, Umbria Toscana, Sardegna, Sicilia e Calabria. Molte regioni verranno ripercorse di nuovo, in lungo e in largo. Il 26 gennaio tornerà invece, dopo 70 anni esatti dalla Cerimonia d’Apertura dei Giochi, a Cortina d’Ampezzo e concluderà il suo tragitto a Milano facendo il suo ingresso allo Stadio di San Siro, la sera di venerdì 6 febbraio 2026. 10.000 tedofori la stanno conducendo tra volti noti e persone comuni. I primi volti noti dello spettacolo e dello sport sono il cantante Achille Lauro, Flavia Pennetta, icona del nostro tennis, vincitrice degli US Open 2015 e di 4 Billie Jean King Cup e Francesco Bagnaia, due volte campione del mondo di MotoGP e una in Moto2. Tantissimi altri ancora e altri ce ne saranno. Anche perché la storia del Viaggio della Fiamma è piena di leggende, come Muhammad Alì ad Atlanta 1996, Cathy Freeman a Sydney 2000 e poi ancora la fondista Stefania Belmondo, ultima tedofora di Torino 2006 vent’anni fa nell’ultima edizione invernale italiana, dopo le frazioni di altri campioni olimpici azzurri come Alberto Tomba, Manuela Di Centa, Silvio Fauner e Deborah Compagnoni (nella foto di copertina). Quattro anni prima, invece, l’intera squadra statunitense di hockey maschile del “Miracolo sul ghiaccio” di Lake Placid 1980 che accese il braciere di Salt Lake City 2002 tra la commozione del pubblico statunitense.
La fiamma olimpica nasce con le prime olimpiadi nell'antica Grecia, dove il fuoco sacro ardeva in onore degli dèi durante i Giochi originali. La tradizione moderna è stata reintrodotta con l'accensione del braciere ai Giochi Olimpici di Amsterdam nel 1928 e la prima staffetta della torcia a Berlino nel 1936. Le torce di #MilanoCortina2026 sono un omaggio al design italiano con uno stile che mette al centro la fiamma. Eleganti. Iconiche. Sostenibili. Si chiamano Essential e portano con sé lo spirito dei Giochi che verranno.
La fiamma paralimpica partirà invece il 24 febbraio 2026 e si concluderà il 6 marzo 2026, giorno della cerimonia di apertura dei Giochi paralimpici all’Arena di Verona. Sfilerà nelle mani di 501 tedofori per 2.000 chilometri in 11 giorni. “La fiamma paralimpica verrà accesa il 24 febbraio a Stoke Mandeville in Inghilterra, storico luogo di nascita dello sport Paralitico - dichiara Maria Laura Iascone, Ceremonies Director di Fondazione Milano Cortina 2026 -. L’arrivo in Italia coinciderà con l’inizio di un viaggio che focalizzerà l’attenzione e l’entusiasmo verso le Paralimpiadi, amplificandone i messaggi di rispetto e inclusività, e generando un volano di entusiasmo, attesa e partecipazione intorno agli atleti paralimpici”. Dopo l'accensione nel Regno Unito, la fiamma paralimpica animerà 5 Flame Festival dal 24 febbraio al 2 marzo a Milano, Torino, Bolzano, Trento e Trieste, con la cerimonia di unione delle Fiamme il 3 marzo a Cortina d’Ampezzo. Dal 4 marzo, la fiamma raggiungerà Venezia e Padova, per fare il suo ingresso il 6 marzo all’Arena di Verona per la cerimonia di apertura dei Giochi paralimpici.
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Tra Natale ed Epifania il turismo italiano supera i 7 miliardi di euro di giro d’affari. Crescono presenze, viaggi interni ed esperienze artigianali, con città d’arte e montagne in testa alle preferenze.
Le settimane comprese tra il Natale e l’Epifania si confermano uno dei momenti più redditizi dell’anno per il turismo italiano. Secondo le stime di Cna Turismo e Commercio, il giro d’affari generato tra feste, fine anno e Befana supera i 7 miliardi di euro. Un risultato che non fotografa soltanto l’andamento economico del settore, ma racconta anche un’evoluzione nelle scelte e nelle aspettative dei viaggiatori.
Nel periodo festivo sono attesi oltre 5 milioni di turisti che trascorreranno almeno una notte in una struttura ricettiva: circa 3,7 milioni sono italiani, mentre 1,3 milioni arrivano dall’estero. A questi si aggiunge una platea ben più ampia di persone in movimento: oltre 20 milioni di individui si sposteranno per escursioni giornaliere, soggiorni nelle seconde case o visite a parenti e amici.
Per quanto riguarda i flussi internazionali, la componente europea resta prevalente, con arrivi soprattutto da Francia, Germania, Spagna e Regno Unito. Fuori dal continente, si segnalano presenze significative da Stati Uniti, Canada e Cina. Le preferenze delle destinazioni confermano una tendenza ormai consolidata. In cima alle scelte ci sono le città e i borghi d’arte, seguiti dalle località di montagna. Due modi diversi di vivere le vacanze natalizie: da un lato l’attrazione per il patrimonio culturale, i mercatini e le atmosfere urbane illuminate dalle feste; dall’altro la ricerca della neve, degli sport invernali e di un contatto più diretto con l’ambiente naturale.
Alla base di questo successo concorrono diversi fattori. L’Italia continua a esercitare un forte richiamo quando si parla di tradizioni natalizie: dai presepi, in particolare quelli napoletani, ai mercatini dell’arco alpino, passando per i centri storici addobbati e le celebrazioni religiose che trovano a Roma uno dei loro punti centrali. Un insieme di elementi che costruisce un’offerta culturale difficilmente replicabile. Proprio la dimensione religiosa e identitaria del Natale italiano rappresenta un elemento di attrazione per molti visitatori nordamericani e per i turisti provenienti da Paesi di tradizione cattolica, spesso alla ricerca di un’esperienza percepita come più autentica rispetto a celebrazioni considerate eccessivamente commerciali. A questo si aggiunge la varietà climatica del Paese: temperature più miti al Sud e nelle isole per chi vuole evitare il freddo, condizioni ideali sulle Alpi per gli amanti dello sci e della montagna. Un segnale particolarmente rilevante arriva dalla crescita delle cosiddette esperienze, soprattutto quelle legate all’artigianato. Sempre più viaggiatori scelgono di affiancare alla visita dei luoghi la partecipazione diretta ad attività tradizionali: dalla preparazione della pasta fresca alle lavorazioni del vetro di Murano, fino alla ceramica umbra e toscana. È un approccio che indica un cambiamento nel modo di viaggiare, meno orientato alla semplice osservazione e più alla partecipazione.
Questo interesse incrocia diverse tendenze attuali: il bisogno di autenticità in un contesto sempre più standardizzato, la volontà di riportare a casa un’esperienza che vada oltre il souvenir e l’attenzione verso il “saper fare” italiano, riconosciuto come patrimonio immateriale di valore internazionale.
Sul piano economico incidono anche fattori più generali. La ripresa del potere d’acquisto delle classi medie in Europa e negli Stati Uniti, dopo anni di incertezza, ha sostenuto la propensione alla spesa per le vacanze. Il rafforzamento del dollaro favorisce i turisti statunitensi, mentre la fase di stabilizzazione successiva alla pandemia ha contribuito a ricostruire la fiducia nei viaggi. Il periodo natalizio rappresenta inoltre uno degli esempi più riusciti di destagionalizzazione, obiettivo perseguito da tempo dagli operatori del settore. Le strutture ricettive registrano livelli di occupazione elevati in settimane che in passato erano considerate marginali. Anche i collegamenti giocano un ruolo chiave: l’espansione dei voli low cost e il miglioramento dell’offerta ferroviaria rendono più accessibili non solo le grandi città, ma anche destinazioni meno centrali, favorendo una distribuzione più ampia dei flussi.
Accanto ai dati positivi emergono però alcune criticità. La concentrazione dei visitatori rischia di mettere sotto pressione alcune mete, mentre altre restano ai margini. Il turismo di prossimità, rappresentato dai milioni di italiani che si spostano senza pernottare in alberghi o strutture ricettive, costituisce un bacino ancora parzialmente inesplorato. Allo stesso tempo, la crescente domanda di esperienze personalizzate richiede investimenti in formazione e una maggiore integrazione tra operatori locali.
Le festività di fine anno restano comunque un motore fondamentale per l’economia del turismo, in grado di coinvolgere l’intera filiera: ristorazione, artigianato, trasporti e offerta culturale. Un patrimonio che, per continuare a produrre risultati nel tempo, richiede una strategia capace di innovare senza snaturare quell’autenticità che rappresenta il vero punto di forza del sistema italiano.
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I computer che guidano i mezzi non sono più stati in grado di calcolare come muoversi anche perché i sensori di bordo leggono lo stato dei semafori e questi erano spenti. Dunque Waymo in sé non ha alcuna colpa, e soltanto domenica pomeriggio è stato ripristinato il servizio. Dunque questa volta non c’è un problema di sicurezza per gli occupanti e neppure un pericolo per chi si trova a guidare, piuttosto, invece, c’è la dimostrazione che le nuove tecnologie sono terribilmente dipendenti da altre: in questo caso il rilevamento delle luci dei semafori, indispensabili per affrontare gli incroci e le svolte. Qui si rivela la differenza tra l’umano che conduce la meccanica e l’intelligenza artificiale: innanzi a un imprevisto, seppure con tutti i suoi limiti e difetti, un essere umano avrebbe improvvisato e tentato una soluzione, mentre la macchina (fortunatamente) ha obbedito alle leggi di controllo. Il problema non ha coinvolto i robotaxi Tesla, che invece agiscono con sistemi differenti, più simili ai ragionamenti umani, ovvero sono più indipendenti dalle infrastrutture della circolazione. Naturalmente Waymo può trarre da questo evento diverse considerazioni. La prima riguarda l’effettiva dipendenza del sistema di guida dalle infrastrutture esterne; la seconda è la valutazione di come i mezzi automatizzati hanno reagito alla mancanza di informazioni. Infine, come sarà possibile modificare i software di controllo affinché, qualora capiti un nuovo incidente tecnico, le auto possano completare in sicurezza il servizio. Dall’esterno della vicenda è invece possibile valutare anche altro: le tecnologie digitali applicate alle dinamiche automobilistiche non sono ancora sufficientemente autonome. Sia chiaro, lo stesso vale per navi e aeroplani, ma mentre per questi ultimi gli algoritmi dei droni stanno già portando a una ricaduta di tecnologia che viene trasferita ai velivoli pilotati, nel campo automobilistico c’è ancora molto lavoro da fare. Proprio ieri, sempre negli Usa, il pilota di un velivolo King Air da nove posti è stato colpito da un malore. La chiamano “pilot incapacitation” e a bordo non c’era nessun altro che potesse prendere il controllo e atterrare. Ed è qui che la tecnologia ha salvato aeroplano e occupanti: il passeggero che sedeva accanto all’uomo ha premuto il tasto del sistema “Autoland”, l’autopilota ha scelto la pista idonea per lunghezza più vicina alla posizione dell’aereo e alla rotta percorsa, ha avvertito il centro di controllo e anche messo il passeggero nelle condizioni di dichiarare la necessità di un’ambulanza sul posto. L’alternativa sarebbe stato un disastro aereo con diverse vittime. La notizia potrebbe sembrare senza alcuna correlazione con quanto accaduto a San Francisco, ma così non è: il produttore del sistema di navigazione dell’aeroplano è Garmin, ovvero il medesimo che fornisce navigatori al settore automotive. E che prima o poi vedremo fornire uno dei suoi prodotti a qualche costruttore di automobili.
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