2021-11-11
Effetti collaterali sottostimati di 100 volte
Tra i numeri sulle reazioni avverse alle profilassi forniti dalla farmacovigilanza passiva e gli episodi reali può esserci un abisso. Per esempio, grazie al monitoraggio attivo, il Cdc americano ha registrato 69.400 eventi sospetti su 100.000 dosi. L'Aifa, solo 120.Perché quando si parla, al fine di promuoverli, degli attuali vaccini anti-Covid disponibili, in Italia si esibiscono i numeri sui sospetti effetti avversi provenienti dalla farmacovigilanza passiva, quando invece i dati scientifici ci dicono che il numero reale dei sospetti effetti avversi, se si guardano confrontandoli ai risultati di una farmacovigilanza attiva, è di centinaia di volte superiore? Tra numero di casi che vengono segnalati spontaneamente dai cittadini o dai loro medici e numero di casi che vengono segnalati nel corso di una vigilanza attiva (e cioè da operatori preposti a monitorare attivamente le condizioni del vaccinato), tutto ci fa pensare che ci sia un abisso: la letteratura scientifica ci dice che il rapporto è di uno a diverse centinaia. In numeri: se le segnalazioni per sospetti effetti avversi dei vaccini anti-Covid con la farmacovigilanza passiva sono state in Italia ad oggi più di 101.000, delle quali gravi oltre 14.000 (ultimi dati aggiornati Aifa), allora i sospetti effetti avversi che davvero si sono verificati potrebbero essere in totale almeno cento volte di più e cioè dieci milioni, mentre i sospetti effetti gravi o gravissimi almeno un milione e 400.000 e parliamo solo di effetti gravi o gravissimi e cioè invalidanti, in alcuni casi in maniera irreversibile o mortali, seppur questi ultimi in basso numero percentuale. La sottostima degli effetti avversi allarma vista la grandezza dei numeri assoluti, che ovviamente deriva dalla grandezza del numero delle dosi somministrate ma ciò non toglie che ci siamo moltissime vittime di eventi avversi gravi. Gli studi che lo dimostrano sono quelli svolti di recente sui vaccini anti-Covid dagli stessi produttori Pzifer e Moderna e anche uno studio italiano di farmacovigilanza fatto dalla Regione Puglia nel 2017, e dunque non sui vaccini anti-Covid, bensì sui vaccini destinati ai bambini per le malattie esantematiche. Lo studio fu svolto proprio allo scopo di sondare l'attendibilità della vaccino-vigilanza in Italia, che all'epoca come ora si basava sulla farmacovigilanza passiva. Ebbene, da quello studio si evinse che attraverso la farmacovigilanza passiva erano stati segnalati nella Regione, ogni 1.000 dosi di vaccino (su un totale di 296.617 dosi somministrate) 0,42 sospetti eventi avversi, mentre con la farmacovigilanza attiva, in un solo anno, erano stati registrati 656 casi sospetti avversi su 3.936 dosi ovvero 382 eventi avversi ogni mille dosi. Inoltre, se la sorveglianza attiva registrava 40 sospetti eventi gravi su mille dosi, la sorveglianza passiva ne registrava appena 0,12 su mille. In proiezione, 4.000 effetti avversi contro soli 12 effetti avversi ogni 100.000 dosi, con un rapporto di uno a 900. Il rapporto numerico scendeva a uno su 400 per gli eventi avversi gravi e anche se non è possibile fare un confronto automatico tra dati regionali di quattro anni fa e dati nazionali odierni, lo studio pugliese mostra una tale sproporzione tra i numeri emersi dalla farmacovigilanza passiva rispetto ai numeri di una farmacovigilanza attiva da farci ritenere oltre ogni ragionevole dubbio che anche i dati che si stanno raccogliendo sui vaccini anti-Covid dalla farmacovigilanza passiva siano solo sottomultipli dei dati reali. Che ci sia una sproporzione enorme tra farmacovigilanza attiva e passiva, d'altra parte, lo dimostra anche uno studio di Moderna proprio sul suo vaccino contro il Covid: in una delle tabelle pubblicate in appendice a questo studio, di L.R. Baden , pubblicato a gennaio del 2021, si legge a pagina 26 che su 14.677 seconde dosi somministrate sono stati registrati con una farmacovigilanza attiva 2.884 mila eventi avversi gravi e 14 gravissimi, dunque con una percentuale del 19,6 per cento sul totale delle dosi che significa in proporzione 19.600 sospette reazioni avverse gravi ogni 100.000 somministrazioni. Un numero, come è evidente, assai distante dai dati che ci mostra Aifa nell'ultimo report pubblicato, che ci indicano a pagina 11 che per il vaccino Moderna sono stati segnalati soltanto 15 sospetti eventi avversi gravi o gravissimi ogni 100.000 dosi. Quali sono le ragioni di tali abissali differenze? Soprattutto, quante sono davvero le persone in Italia che stanno patendo effetti avversi gravi post-vaccino che però non risultano segnalati all'Aifa? Fanno riflettere anche i dati che arrivano dagli Stati Uniti dal sistema V-Safe, messo in piedi dal Center of Disease Control and Prevention, ovvero l' organismo federale americano per il controllo delle malattie infettive che elabora i dati costantemente aggiornati frutto di un monitoraggio attivo su un campione di vaccinati che si basa su numeri importanti seppur parziali. Ebbene, il Cdc tramite V-Safe segnalava già alla data di febbraio 2021, dopo la seconda dose di Pzifer e Moderna, un numero di reazioni avverse «sistemiche» (escluse cioè quelle locali al braccio, le allergie e gli shock anafilattici) pari a 1.333.931 su un totale di 1.920.872 dosi somministrate, ovvero ogni 100 dosi si registravano 69,4 sospetti eventi avversi segnalati, il che significa, proiettando i numeri, 69.400 sospetti eventi avversi ogni 100.000 dosi: un dato lontanissimo dai dati pubblicati da Aifa, che registra nell'ultimo rapporto la percentuale inverosimile di soli 120 effetti avversi segnalati ogni 100.000 dosi, comprendendo peraltro non solo Moderna e Pzifer ma anche le reazioni agli altri vaccini contro il virus . D'altra parte, che questa farmacovigilanza passiva sia inattendibile deriva già dal fatto che la procedura per le segnalazioni non sia alla portata di tutti. Quest'estate ai vaccinati non veniva consegnato negli hub alcun modulo e neppure veniva inviato loro un link per una eventuale segnalazione. A moltissimi vaccinati non veniva neppure spiegato dai medici vaccinatori che il cittadino avesse la possibilità di segnalare. I pazienti si sono piuttosto affidati ai medici di famiglia o a quelli ospedalieri, che però spesso, evidentemente, non segnalano, come provano questi studi, che tra l'altro confermano la realtà che sta emergendo, già da qualche mese, sul campo: i gruppi di aiuto tra persone danneggiate presumibilmente dal vaccino a cui il medico ha detto che «non c'è' correlazione» si stanno moltiplicando. Gente che chiede di capire cosa sta succedendo al loro corpo, perché ha sintomi non abituali che non si collegano a condizioni di salute pregresse e che si sono verificati sempre dopo la vaccinazione.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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Oltre quaranta parlamentari, tra cui i deputati di Forza Italia Paolo Formentini e Antonio Giordano, sostengono l’iniziativa per rafforzare la diplomazia parlamentare sul corridoio India-Middle East-Europe. Trieste indicata come hub europeo, focus su commercio e cooperazione internazionale.
È stato ufficialmente lanciato al Parlamento italiano il gruppo di amicizia dedicato all’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC), sotto la guida di Paolo Formentini, vicepresidente della Commissione Affari esteri, e di Antonio Giordano. Oltre quaranta parlamentari hanno già aderito all’iniziativa, volta a rafforzare la diplomazia parlamentare in un progetto considerato strategico per consolidare i rapporti commerciali e politici tra India, Paesi del Golfo ed Europa. L’Italia figura tra i firmatari originari dell’IMEC, presentato ufficialmente al G20 ospitato dall’India nel settembre 2023 sotto la presidenza del Consiglio Giorgia Meloni.
Formentini e Giordano sono sostenitori di lunga data del corridoio IMEC. Sotto la presidenza di Formentini, la Commissione Esteri ha istituito una struttura permanente dedicata all’Indo-Pacifico, che ha prodotto raccomandazioni per l’orientamento della politica italiana nella regione, sottolineando la necessità di legami più stretti con l’India.
«La nascita di questo intergruppo IMEC dimostra l’efficacia della diplomazia parlamentare. È un terreno di incontro e coesione e, con una iniziativa internazionale come IMEC, assume un ruolo di primissimo piano. Da Presidente del gruppo interparlamentare di amicizia Italia-India non posso che confermare l’importanza di rafforzare i rapporti Roma-Nuova Delhi», ha dichiarato il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea.
Il senatore ha spiegato che il corridoio parte dall’India e attraversa il Golfo fino a entrare nel Mediterraneo attraverso Israele, potenziando le connessioni tra i Paesi coinvolti e favorendo economia, cooperazione scientifica e tecnologica e scambi culturali. Terzi ha richiamato la visione di Shinzo Abe sulla «confluenza dei due mari», oggi ampliata dalle interconnessioni della Global Gateway europea e dal Piano Mattei.
«Come parlamentari italiani sentiamo la responsabilità di sostenere questo percorso attraverso una diplomazia forte e credibile. L’attività del ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato a Riad sul dossier IMEC e pronto a guidare una missione in India il 10 e 11 dicembre, conferma l’impegno dell’Italia, che intende accompagnare lo sviluppo del progetto con iniziative concrete, tra cui un grande evento a Trieste previsto per la primavera 2026», ha aggiunto Deborah Bergamini, responsabile relazioni internazionali di Forza Italia.
All’iniziativa hanno partecipato ambasciatori di India, Israele, Egitto e Cipro, insieme ai rappresentanti diplomatici di Germania, Francia, Stati Uniti e Giordania. L’ambasciatore cipriota ha confermato che durante la presidenza semestrale del suo Paese sarà dedicata particolare attenzione all’IMEC, considerato strategico per il rapporto con l’India e il Medio Oriente e fondamentale per l’Unione europea.
La presenza trasversale dei parlamentari testimonia un sostegno bipartisan al rapporto Italia-India. Tra i partecipanti anche la senatrice Tiziana Rojc del Partito democratico e il senatore Marco Dreosto della Lega. Trieste, grazie alla sua rete ferroviaria merci che collega dodici Paesi europei, è indicata come principale hub europeo del corridoio.
Il lancio del gruppo parlamentare segue l’incontro tra il presidente Meloni e il primo ministro Modi al G20 in Sudafrica, che ha consolidato il partenariato strategico, rilanciato gli investimenti bilaterali e discusso la cooperazione per la stabilità in Indo-Pacifico e Africa. A breve è prevista una nuova missione economica guidata dal vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Tajani.
«L’IMEC rappresenta un passaggio strategico per rafforzare il ruolo del Mediterraneo nelle grandi rotte globali, proponendosi come alternativa competitiva alla Belt and Road e alle rotte artiche. Attraverso la rete di connessioni, potrà garantire la centralità economica del nostro mare», hanno dichiarato Formentini e Giordano, auspicando che altri parlamenti possano costituire gruppi analoghi per sostenere il progetto.
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