2024-03-16
La Cgil rompe con la Cisl per i soldi degli edili
Il segretario della Cgil Maurizio Landini con il segretario della Cisl Luigi Sbarra (Ansa)
Durissima lettera inviata con la Uil ai segretari territoriali per attaccare la Filca. Nel mirino ci sono i milioni delle casse bilaterali distribuiti anche in base ai numeri del 2000 sulla rappresentatività. Negli anni il sindacato di Luigi Sbarra è cresciuto e chiede nuovi patti.«Care compagne e compagni, amiche e amici, è con sincero dispiacere ma anche con grande serenità e serietà che vi scriviamo queste poche pagine. Il comportamento irresponsabile da parte dell’attuale dirigenza della Filca Cisl ha ormai raggiunto un punto tale di tensione da obbligarci a scelte determinate e adeguate che vincolano tutte e tutti noi, dirigenti, funzionari, delegati, militanti della FenealUil e Fillea Cgil». È questo l’incipit della durissima lettera inviata dai leader degli edili di Cgil e Uil ai loro segretari generali regionali e territoriali per invocare una sorta di chiamata alle armi contro i colleghi della Cisl che negli ultimi mesi si sarebbero macchiati delle colpe, dal punto di vista sindacale, più efferate. Quali? «Una costante azione della Filca Cisl», si legge ancora nella missiva che la Verità ha potuto leggere, «in questi ultimi anni ha messo spesso all’ultimo posto l’unità di azione e gli interessi dei lavoratori edili e al primo posto, invece, solo vantaggi e tornaconti di organizzazione e qualche volta financo personali». E ancora. «È il momento di evidenziare», si legge, «quanto all’attuale gruppo dirigente della Filca Cisl poco interessi delle condizioni dei lavoratori nei cantieri, quanto poco interessi la comune battaglia di contrasto al lavoro nero e irregolare, alle imprese edili scorrette, quanto poco interessi il buon funzionamento degli enti bilaterali e le competenze necessarie a presidio della formazione, della sicurezza, delle prestazioni per gli edili». Certo. Ma nel concreto cosa avrebbe fatto di così grave la Cisl? Nell’elenco degli atti deplorevoli rientra per esempio la mancata firma dell’accordo per istituire il Durc di congruità, che attesta la coerenza tra i lavoratori utilizzati in un cantiere edile e l’entità del lavoro da realizzare. Che poi però alla fine la Cisl ha firmato. E allora? Le si contesta anche di non aver siglato, almeno inizialmente, gli accordi che hanno ampliato le tutele del fondo prepensionamenti per gli operai edili. Inizialmente, appunto, perché poi si è risolto tutto. Insomma, cosa c’è davvero dietro a quella che per i toni usati può ritenersi una rottura lacerante tra i tre sindacati di categoria? Scava, scava alla fine le divisioni nascono sempre sui numeri e sui soldi e mai come in questo caso, l’ordine dei fattori non va invertito. Al centro di una discussione che prosegue da mesi, ci sono infatti, le casse edili. Si tratta di enti bilaterali, formati cioè dalle imprese datoriali (Ance e artigiani) e i tre principali sindacati di categoria: Fillea Cgil, FilcaCisl e FenealUil, appunto. Cosa fanno? Hanno diverse funzioni. Per esempio, i datori di lavoro versano loro una parte della retribuzione relativa all’anzianità professionale. Motivo? Il turn over in edilizia è un fenomeno rilevante e attraverso questo sistema le Casse garantiscono al lavoratore una prestazione di anzianità congrua rispetto alle ore effettivamente lavorate sul territorio. Non solo. Le imprese pagano anche un contributo per la formazione e la sicurezza. La Cassa, quindi, trasmette questi importi alle scuole professionale del territorio garantendo anche alle pmi delle costruzioni formazione e supporto per la sicurezza nei cantieri. Gli esempi potrebbero continuare, ma il senso è che le Casse svolgono un ruolo di compensazione tra le diverse esigenze di operai e datori di lavoro e proprio per questo sarebbe è auspicabile che i sindacato almeno sull’organizzazione e la governance andassero d’accordo. Mentre i toni usati da Cgil e Uil non vanno proprio in questa direzione. E qui veniamo ai numeri e ai soldi. Imprese e lavoratori, infatti, corrispondo quote territoriali di adesione pari allo 0,43% ciascuno. E queste quote vengono suddivise tra i tre sindacati attraverso percentuali stabilite nel 2000. Un quarto di secolo fa. È previsto che il 70% dell’importo venga attribuito per il 41% alla Fillea Cgil, per il 33% alla FIlca Cisl e il 26% alla Feneal Uil, mentre il restante 30% è distribuito in base alla «rappresentatività» di ogni organizzazione. Da anni però la Filca Cisl aumenta in modo progressivo il numero degli iscritti. E in sostanza, da anni riceve meno di quello che per il «peso» sindacale le spetterebbe. Un anno, due, il terzo e la confederazione guidata oggi da Enzo Pelle ha deciso di disdettare il patto che risale a 24 anni anni fa. Obiettivo? Chiedere che tutta la torta venga ripartita sulla base della effettiva rappresentanza. Tanto per fare degli esempi. Nell’ultimo semestre disponibile la rappresentatività della Filca Cisl in Casse di grande rilevanza come quelle di Genova, Bergamo, Venezia, Firenze e Perugia oscilla tra il 40 e il 50% contro una forchetta che per la Uil è ricompresa tra il 15 e il 20%. Parliamo di milioni di euro. Anche perché i numeri del settore a livello nazionale sono notevoli. Circa 800.000 operai per un monte salari da quasi 10 miliardi. Di questo il 14%, un miliardi e 400 milioni, finisce nelle casse che poi lo utilizzano per pagare le ferie e le gratifiche natalizie dei lavoratori. Insomma dietro le questioni di principio e di tutela della sicurezza si nascondono, come spesso capita, questioni di numeri e soldi. Con i primi, intesi come rappresentatività, che in questo caso non corrispondono con i secondi. Per questo Cgil e Uil vanno alla guerra.
Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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