2022-01-07
Trent'anni fa il sacrificio dei militari Italiani caduti a Podrute
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L'AB-205 (EI-305/mm 80557) in missione in Croazia nel 1992. Nel riquadro i resti dell'elicottero italiano dopo l'abbattimento. (courtesy Il Basco Azzurro)
Il 7 gennaio 1992, nel vivo della guerra serbo-croata, un elicottero italiano con le marche della Comunità Europea fu abbattuto volontariamente da un MiG serbo durante una missione per il mantenimento della fragile tregua. Quattro le vittime italiane e un francese. Per non dimenticarli.Cielo di Podrute (Croazia settentrionale). Ore 14:07 del 7 gennaio 1992. Il relitto fumante di un elicottero bianco giaceva contorto a ridosso di una zona boschiva nel cuore della Croazia, a poca distanza dal borgo rurale di Podrute, a circa 70 chilometri a Nord di Zagabria. Erano da poco passate le ore 14:00 del 7 gennaio 1992. L’aeromobile era italiano, un Agusta Bell AB-205 appartenente al 5° Reggimento “Rigel” dell’allora ALE (Aviazione Leggera dell’Esercito). Riversi sul terreno circostante, i corpi di quattro militari italiani e di un francese: Il tenente colonnello pilota Enzo Venturini, il sergente maggiore pilota Marco Matta, il maresciallo capo Silvano Natale e il maresciallo maggiore Fiorenzo Ramacci. Accanto ai loro corpi quello del tenente di vascello della Marina francese Jean-Loup Eychenne. A poca distanza dal relitto un altro elicottero italiano, un AB-206 che fino a pochi minuti prima volava in formazione con il 205 precipitato, atterrava fortunosamente in una radura di quella zona remota della Croazia in guerra. Non fu un incidente di volo: l’elicottero fu abbattuto deliberatamente nei giorni che segnarono la fine della prima fase della lunga e sanguinosa guerra nella ex-Jugoslavia, una tregua stabilita su pressione delle Nazioni Unite che molti dei signori della guerra avversavano.Antefatto: la Jugoslavia nel gennaio 1992La presenza di un contingente dell’Aviazione Leggera dell’Esercito italiano era dovuta alla tregua temporanea e al conseguente intervento degli osservatori Onu sulla Croazia, impegnata in una sanguinosa guerra civile contro i Serbi in seguito al disfacimento della federazione jugoslava dell’anno precedente. Anche la vicina Slovenia aveva combattuto contro Belgrado, ma le ostilità erano cessate dopo appena dieci giorni con la vittoria delle forze di Lubiana, che avevano dichiarato l’indipendenza del Paese. In seguito anche la Croazia iniziò a ribellarsi e ad organizzare le forze di resistenza, inizialmente costituite dal solo corpo di Polizia al quale andarono unendosi i disertori croati dell’esercito federale comunista. Il problema principale per la Croazia era costituito dalla presenza all’internop del territorio nazionale di molti cittadini di etnia serba, che dopo aver disertato il referendum per l’indipendenza, imbracciarono le armi spinti dal governo di Belgrado guidato allora da Slobodan Milosevic. In meno di un anno di scontri armati, circa un terzo del territorio croato corrispondente alle zone di massima presenza di popolazione di etnia serba fu occupato. Le forze di Belgrado nel tentativo di occupare nuovi territori non risparmiarono i civili asserragliati nei centri abitati lungo la linea del fronte. Alla fine del 1991 la cittadina di Vukovar, cinta d’assedio, fu praticamente rasa al suolo dall’artiglieria serba. I morti furono circa 5.500. Nel dicembre dello stesso anno le Nazioni Unite, dopo una serie di cessate il fuoco non rispettati, intervennero direttamente con una forza internazionale nei territori croati occupati dai Serbi. Tra le nazioni che parteciparono attivamente al contingente c’era anche l’Italia, che prese parte alla missione EUMM (European Union Monitoring Mission) per il controllo del cessate il fuoco nei Balcani occidentali. Mentre le forze europee organizzavano l’intervento, a Belgrado la situazione politica e strategica era tesissima. La tregua imposta aveva ulteriormente acuito i contrasti tra moderati e falchi, in particolare dopo lo «smacco» della sconfitta contro la Slovenia e lo stallo in Croazia. Milosevic e il ministro della difesa serbo Veliko Kadjevic, più inclini ad una futura risoluzione diplomatica del conflitto, furono violentemente attaccati dai falchi della guerra come Blagoje Adzic (promotore della guerra ad oltranza contro i «fascisti» croati) o come Milan Babic, criminale di guerra e presidente dell’autoproclamata Repubblica serba di Krajina, così come il famigerato generale Ratko Mladic, noto in seguito come il «macellaio di Bosnia». La tregua imposta dalle Nazioni Unite non fece altro che peggiorare la tensione e la frustrazione tra i comandi serbi, che rinfacciarono a Milosevic e ai suoi fedeli il mancato utilizzo in Slovenia e Croazia dell’arma del bombardamento aereo. In questo quadro drammatico appoggiarono i pattini gli elicotteri italiani dell’ALE stanziati in Ungheria sulla base aerea di Kaposvar, vicino al confine settentrionale della Croazia.Agusta Bell AB205 EI-305 (mm 80557): quell’ultimo volo.Il piano di volo dei due elicotteri italiani prevedeva l’atterraggio a Zagabria dopo il sorvolo della regione di Koprivnica, di cui anche le autorità serbe erano al corrente. Alle 13:30 circa il colonnello Venturini azionava la turbina dell’ AB-205 con le insegne dell’EUMM e così fece anche il tenente Renato Barbafiera ai comandi del secondo elicottero, l’AB-206 con a bordo osservatori civili tra cui il diplomatico belga Hans Kint. Il resto dell’equipaggio era formato dai sottufficiali William Paolucci e Silvio di Bernardo. Dopo circa venti minuti di volo sopra il territorio croato i due elicotteri venivano localizzati dai radar serbi di Bihac, che avrebbero dovuto riconoscere e permettere il volo dei due velivoli italiani. Invece, inspiegabilmente, alle 13:50, due caccia MiG-21 dell’Aviazione Serba rullavano sulla pista della base di Zeljava, una struttura militare completamente costruita nel cuore di una montagna e a prova di esplosione nucleare. Ai comandi sedevano i piloti Danijel Borovic ed Emir Šišić. I due aerei erano armati con mitragliatrici, cannoncini e missili aria-aria. Mentre il MiG pilotato da Borovic dovette rientrare quasi subito per un problema tecnico, quello di Šišić puntò dritto a Nord verso i due elicotteri segnalati dal radar. In meno di mezz’ora il caccia si trovava sulla verticale dei due velivoli italiani, ben riconoscibili dalla livrea bianca. Dopo una serie di manovre di avvicinamento il Mig argento con la bandiera jugoslava e la stella rossa in coda, si avventava sui due elicotteri inermi dopo avere ricevuto via radio l’ordine di abbattimento. Inizialmente attaccati con una raffica di cannoncino che li mancò di poco, Šišić armò i missili teleguidati R-3 e fece fuoco. Uno dei due razzi centrò in pieno il rotore dell’AB-205 che precipitò dall’altezza di circa 600 metri spezzato in due tronconi. L’AB-206 fu colpito dal cannoncino ma riuscì nonostante i danni ad effettuare una manovra di emergenza, scendendo quasi in picchiata in una radura. Tutti gli occupanti si salvarono, mentre il pilota Renato Barbafiera raccontò in seguito ai giornali di avere visto per un attimo la sagoma del MiG allontanarsi dopo l’incursione.Le reazioni in Italia e all’estero. Le conseguenze sul conflitto.L’eccidio di Podrute era un atto gravissimo, paragonabile ad un atto di guerra nei confronti dell’Italia e dell’Onu. Le autorità serbe, dopo un breve silenzio, ammisero la colpa con una fredda dichiarazione e altrettanto glaciali scuse. Quello che seguì l’attacco segnò la temporanea vittoria dei «falchi», perché la prima conseguenza furono le dimissioni «per motivi di salute» del braccio destro di Milosevic, Veliko Kadjevic. A sostituirlo era già pronto il sostenitore della guerra ad oltranza Blagoje Adzic: la trappola politica, costata la vita a cinque militari venuti per il mantenimento della tregua, aveva funzionato. Anche il Capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare serba Zvonko Jurjevic fu sospeso dalla carica. Chi non voleva la tregua, parve avere la meglio dopo l’abbattimento dell’elicottero italiano. Il giorno dell’eccidio fu richiamato a Roma l’ambasciatore italiano a Belgrado Sergio Vento, mentre dalla Cambogia il ministro degli Esteri Gianni De Michelis paventava gravi conseguenze sui negoziati di pace in corso. Mentre si svolgevano a Zagabria le prime esequie dei caduti (ripetute poi il giorno successivo a Udine con la partecipazione di Cossiga) la tregua pareva crollare virando verso un’escalation dalle conseguenze ancora ignote, nei giorni in cui si consumava la tragedia umana di Vukovar. Mentre a Belgrado si rincorrevano le voci di un golpe dei comunisti oltranzisti, le Nazioni Unite in seguito ai fatti di Podrute accelerarono il processo di riconoscimento del territorio croato non occupato dai Serbi, che fu ufficializzato appena una settimana dopo il sacrificio dei militari italiani e del collega francese. Il 15 gennaio 1992 la Comunità Europea riconosceva i due stati come sovrani, spinta soprattutto dalle pressioni diplomatiche tedesche. Se la Slovenia aveva già lasciato alle spalle il proprio legame con la Jugoslavia post-Tito, la Croazia era ancora zona di guerra, con la minoranza serba nel territorio che ebbe una momentanea assicurazione da parte delle Nazioni Unite per un riconoscimento all’interno della nuova costituzione croata. I primi caschi blu della missione UNPROFOR (United Nations Protection Force) si interposero tra il nuovo stato e la Repubblica Serba di Krajina, limitando gli scontri. Per quanto riguardò le responsabilità dell’eccidio di Podrute, saranno condannati Blagoje Adzic e i vertici del 5° Corpo aeronautico della base di Zeljava come Ljubomir Bajic, colui che comunicò al MiG di Šišić l’ordine di attacco. Il pilota serbo autore materiale della strage sarà arrestato in Ungheria nel 2001 e estradato in italia dove fu condannato a 15 anni di detenzione. Nel 2006 fu accettata la domanda di trasferimento in Serbia, dove Šišić fu scarcerato nel 2008, generando le proteste delle autorità italiane e dei familiari delle vittime. I membri dell’equipaggio dell’AB-205 sono ricordati per sempre presso la base dell’Aves “Rigel” di Casarsa della Delizia (Pordenone) dove è presente un cippo commemorativo, così come sul luogo della tragedia a Podrute i nostri caduti sono sempre celebrati in una cerimonia alla quale prendono parte le autorità militari italiane e francesi, oltre all’associazione d’arma rappresentante l’Aviazione Leggera dell’Esercito (www.anae.it).