2020-11-18
È un giallo lo sblocco delle rivalutazioni. Il rischio è un nuovo schiaffo ai pensionati
Trattamenti fermi dal 2011. Nel turbinio di bozze della manovra il provvedimento appare e scompare o viene spostato in avantiLa Camera oggi dovrebbe iniziare il dibattito su un testo fantasma. Sparito pure il decreto Ristori ter Antonio Misiani e Paolo Gentiloni ammettono i ritardi. E tornano gli spettri: patrimoniale e tagli agli stipendi pubbliciLo speciale contiene due articoliGiallo sulle pensioni, che ovviamente non sarà chiarito fino a quando non sarà leggibile la versione definitiva della manovra, tuttora avvolta nella nebbia. In una delle bozze circolate nei giorni scorsi, era infatti stata inserita una maxi beffa, e cioè l'ulteriore slittamento in avanti di un anno (dal 1° gennaio 2022 al 1° gennaio 2023) del ritorno a un regime di piena rivalutazione dei trattamenti pensionistici. In una versione successiva, quella parte è stata sbianchettata, ma nessuno può garantire che la misura sia davvero destinata a sparire, e che invece non ricompaia o nel testo finale o in un provvedimento collegato, nel gran caos che si annuncia quest'anno. Vale in ogni caso la pena di fare un riassunto delle puntate precedenti, per prepararsi a quanto può accadere. Le rivalutazioni erano bloccate dal 2011, e il governo gialloverde (Lega-M5s) decise di provare a sbloccarle a fine 2018 per il 2019 (buona notizia). A seguito però di una trattativa spossante con la Commissione europea (cattiva notizia), le cose presero una piega negativa. All'epoca, come si ricorderà, il Quirinale lodò enfaticamente il negoziato con Bruxelles, descrivendo testualmente l'Ue non come un «vincolo esterno» ma come un «moltiplicatore» della nostra «capacità di espansione economica».Peccato che le richieste, anzi le imposizioni, venute da Jean-Claude Juncker, Pierre Moscovici e Valdis Dombrovskis fossero tutte di segno non espansivo, anzi chiaramente recessivo. Tra queste, c'era la precisa richiesta di attenuare la rivalutazione delle pensioni. Si trattò forse della mossa più odiosa venuta da Bruxelles, che di fatto colpì l'adeguamento periodico delle pensioni normali (altro che oro o platino!). Per il nuovo anno 2019, il tasso di rivalutazione reso noto dal ministero dell'Economia doveva essere dell'1,1%; ma, dopo la trattativa con Bruxelles, venne fuori la doccia fredda: una piena rivalutazione sarebbe scattata solo per i trattamenti fino a 1.521 euro (tre volte il minimo). Salendo nella scala dei trattamenti, la rivalutazione si sarebbe via via assottigliata: tra i 1.522 e i 2.029 euro, la rivalutazione sarebbe stata pari al 97% del tasso di riferimento, quindi all'1,067%; tra i 2.029 e i 2.537 euro, pari al 77% del tasso, quindi allo 0,847%;tra i 2.537 e i 3.042 euro, pari al 52% del tasso, quindi allo 0,572%; tra i 3.042 e i 4.059 euro, pari al 47% del tasso, quindi allo 0,517%; tra i 4.059 e i 4.566 euro, pari al 45%, quindi allo 0,495%; per i trattamenti superiori ai 4.566 euro (e qui si entra nel territorio delle cosiddette «pensioni d'oro»), pari al 40% del tasso, quindi allo 0,44%. Tappa successiva, e siamo all'anno scorso. Una volta subentrato al precedente gabinetto Lega-M5s, il governo giallorosso si era limitato a dare un contentino, estendendo la rivalutazione al 100% anche ai trattamenti fino a 4 volte il minimo (quelli che prima erano inchiodati a una rivalutazione del 97%). Al di sopra di quella soglia, restava una rivalutazione via via decrescente al crescere del trattamento: rispettivamente al 77% (fino a 5 volte il minimo), al 52% (fino a 6 volte il minimo), al 47% (fino a 8 volte il minimo), al 45% (fino a 9 volte il minimo), e al 40% (oltre 9 volte il minimo). In un contesto di questo genere, una decisione del governo - come si teme dall'andirivieni di bozze di questi giorni - volta a spostare ancora in avanti di un anno il ritorno alle rivalutazioni piene sarebbe uno schiaffo ai pensionati, a maggior ragione in un momento di crisi come questo, in cui ogni euro conta. Semmai, qualunque intervento peggiorativo dovrebbe essere spiegato con trasparenza, motivato adeguatamente, dibattuto ampiamente in Parlamento e nel paese, e non certo fatto comparire e poi sparire - in un gioco di specchi e di trabocchetti - in questo turbinio di bozze. Vale anche la pena di ricordare che, secondo le regole vigenti, la manovra (che tecnicamente è un disegno di legge governativo) dovrebbe essere consegnata alle Camere il 20 ottobre di ogni anno (e quindi avrebbe già dovuto iniziare da ben quattro settimane il suo iter), e invece oggi è la mattina del 18 novembre, e navighiamo ancora in un mare di incertezza. In questa situazione non chiara, alcune fonti di maggioranza tacciono e invitano ad attendere l'ultima versione della manovra. Altre, invece, provano a veicolare una qualche rassicurazione, sostenendo che il 1° gennaio 2022 (e non un anno più tardi) scatterebbe un meccanismo meno penalizzante con i trattamenti accorpati in tre fasce: 100% di rivalutazione fino a 4 volte il minimo, 90% per i trattamenti compresi tra 4 e 5 volte il minimo, e infine 75%oltre questa asticella. A questo punto, non resta che attendere la soluzione del giallo: brivido ulteriore a cui i pensionati italiani, per mille evidenti ragioni, avrebbero ben volentieri rinunciato. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/e-un-giallo-lo-sblocco-delle-rivalutazioni-il-rischio-e-un-nuovo-schiaffo-ai-pensionati-2648956230.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-soldi-del-recovery-non-ci-saranno-la-manovra-ha-un-buco-di-15-miliardi" data-post-id="2648956230" data-published-at="1605653917" data-use-pagination="False"> I soldi del Recovery non ci saranno. La manovra ha un buco di 15 miliardi Il consiglio dei ministri ha accolto una lunga bozza della manovra i cui elementi principali riportavano ancora le «X» al posto dei numeri. Tutto il capitolo relativo al Recovery plan e ai fondi Ue connessi non aveva alcun indirizzo di spesa. Il Cdm dopo una seduta di poco meno di tre ore ha approvato e dato il via libera alla manovra. A distanza di oltre 24 il testo uscito dal cdm era ancora desaparecido. Nessuna comunicazione ufficiale, né tanto meno condivisione con l'Aula. Evidentemente l'approvazione del documento è avvenuta come accade sempre più spesso con la dicitura salvo intese. Solo che stavolta si tratta della legge Finanziaria, la stessa che oggi pomeriggio alle 17,30 dovrebbe finire davanti alla commissione Bilancio della Camera, la quale ha il compito di definire la scaletta dei lavori. Inutile dire che se il testo è fantasma sarà difficile avviare l'agenda e oggi è il 18 novembre. I tempi per l'approvazione cominciano a essere stretti. Basti pensare che Mario Monti fece un blitz ai primi di dicembre per approvare il famoso «salva Italia». ma era un decreto legge in tempi di eccezionalità finanziaria, per certi aspetti peggiori rispetto a quanto viviamo oggi con il Covid. Ma la vera differenza è che il capitolo legato ai fondi europei il governo non sa come riempirlo, a differenza di Monti che aveva le idee chiare sui capitoli da tagliare per far tornare i conti. Anche i più strenui sostenitori di Bruxelles, dopo le mosse e il veto del governo polacco e ungherese, ieri si sono ricreduti. Le bordate al Recovery fund arriveranno pure da un'altra parte. Trattandosi di una variazione del bilancio Ue il programma dovrà passare per i Parlamenti dei 27. E lo snodo ancora più difficile riguarda le ratifiche in Danimarca, Finlandia, Olanda e Svezia che fin dall'inizio si sono opposti al progetto. L'Olanda vota il 17 marzo e quindi prima di aprile sarà impossibile per gli olandesi mettere in cantieri il voto d'Aula. Danimarca e Svezia sono rette da governi di minoranza che saranno costretti ad affrontare un difficile passaggio in aula per difendere un progetto cui non credono fino in fondo. In Finlandia non è molto diverso. Non a caso il vice ministro all'Economia, Antonio Misiani, in un'intervista ha riconosciuto che i contributi dall'Europa slitteranno rispetto ai tempi previsti (prima metà del 2021). Meno deciso, ma comunque sempre in netta ritirata anche un altro storico esponente del Pd. «Io incoraggio i Paesi membri, nei loro Recovery plan, ad utilizzare sia la parte trasferimenti che la parte prestiti, perché usare solo la componente di trasferimenti a fondo perduto del Recovery fund europeo per l'Italia sarebbe come rinunciare a un risparmio vantaggiosissimo», ha detto ieri il commissario all'Economia, Paolo Gentiloni. L'auspicio in sede di audizione alla Camera, non ha però nascosto tutte le preoccupazioni dell'ex presidente del Consiglio sui ritardi del progetto e sulla consapevolezza che che portare avanti una sola delle gambe non porterà a nulla. «Se poi il bazooka diventa un mezzo bazooka non credo che sia un vantaggio, nell'interesse dell'Unione europea ma anche dei singoli Paesi», ha concluso rilanciando senza nemmeno troppo impegno l'idea di una digital tax tutta europea. La realtà dei fatti, come la Verità ha scritto infinite volte, è che i fondi al momento non esistono e non compariranno nel nulla perché si tratta di nuovo debito e di nuove tasse e al di là delle dichiarazioni di facciata l'Ue non è pronta a condividere i due fardelli. Ciò ci riporta alla realtà dei fatti. Come chiudere la manovra economica se c'è un buco di almeno 15 miliardi. Nel testo della Nadef, la nota di aggiornamento inviata a Bruxelles lo scorso 15 ottobre, si fa riferimento a tale cifra. Nel dettaglio, circa 3 miliardi inseriti in un budget di spesa collegato a effettivi progetti. Gli altri 12 miliardi infilati in un fondo senza alcuna destinazione precisa. D'altronde il Recovery plan collegato alle voci di spesa è ancora oggi un fantasma sul quale non c'è mai stato dibattito parlamentare. A peggiorare la situazione e l'agenda del Parlamento c'è pure la questione del decreto Ristori. Per la precisione il primo dl è approdato da poco in Aula. Ha già raccolto più di 2.000 emendamenti. Tanto che la seduta delle commissioni riunite al Bilancio di stamattina è stata sconvocata. Potrebbe essere riconvocata entro stasera. Ma poco cambia perché il Ristori bis, destinato ad affiancarsi nell'iter parlamentar, ancora latita e soprattutto è rimasto nella mente dei politici di maggioranza il decreto Ter della famiglia Ristori. I 5 stelle hanno promesso di chiedere lo sforamento per almeno 20 miliardi in modo da supportare tutte le aziende costrette a chiudere dai semafori del ministro Roberto Speranza. La realtà è che sarà difficile aggiungere anche questo sforamento a quello della manovra. Con un timore di fondo che a molti già procura brividi lungo la schiena. Se, come sembra, i fondi Ue non si concretizzeranno, ci troveremo ad affrontare un'estate 2021 drammatica. E chi oggi parla bellamente di cancellare il debito, cambierà di nuovo idea su input di Bruxelles e suggerirà un forte taglio delle uscite per le pensioni e gli stipendi pubblici, unito alla sempreverde patrimoniale.