2019-05-05
Siri ormai è un puro pretesto nei litigi Lega-M5s
Sono convinto che a nessuno importi di sapere se Armando Siri sia colpevole o innocente. Per lo meno non a chi sta al governo. Da giorni infatti le accuse contro il sottosegretario ai Trasporti sono sfumate, sparite in una nuvola di polemiche dove il contendere non è se l'onorevole leghista abbia effettivamente intascato 30.000 euro, allo scopo di favorire un imprenditore sospettato di avere rapporti con un mafioso, ma chi all'interno della maggioranza debba avere l'ultima parola. Detto senza perifrasi: che Siri sia colpevole oppure no non frega niente a nessuno. Non a Luigi Di Maio, che meno di un anno fa era disposto a nominarlo ministro dell'Economia. (...)(...) Non ai giornaloni, che hanno pubblicato intercettazioni farlocche pur di impallinarlo. Non alla Lega, che di morire per il sottosegretario non ha alcuna voglia.No, paradossalmente Siri, il teorico della Flat tax, è ostaggio di una contesa politica dove si sono persi i termini della questione e ne sono stati messi sul tavolo altri. Il deputato leghista non è uno degli uomini chiave del Carroccio. Fino a prima che entrasse nel governo era quasi sconosciuto ai più. Di certo non era tra le figure di spicco dei lumbard. Alle elezioni è entrato perché a Matteo Salvini piaceva l'idea di una riforma fiscale che abbassasse le imposte a tutti. La famosa tassa piatta. E poi, come organizzatore della scuola di formazione politica del partito, Siri ci sapeva fare. Ma certo, anche considerando tutto ciò, il sottosegretario non è un mammasantissima della Lega. Prima di lui, se si dovesse fare un elenco di big, ne verrebbero molti altri, a conciare da Giancarlo Giorgetti per poi passare a Roberto Calderoli e via via.E però, a torto o a ragione, cioè innocente o colpevole, Siri è finito nel mirino, nel bel mezzo di uno scontro senza esclusione di colpi. Tutto ciò senza che se ne avvedesse e, soprattutto, senza che lo volesse. Già, perché era da tempo che pentastellati e leghisti erano ai ferri corti. I primi preoccupati per il calo di consensi segnalato dai sondaggi. I secondi ringalluzziti da un'onda che dal 4 per cento in pochi anni li ha portati oltre il 30. Inevitabile dunque che in vista del voto europeo, cioè della prima verifica elettorale per il governo gialloblù, si finisse con un braccio di ferro. I grillini temono di scendere sotto il 20 per cento e di essersi giocati in un anno più di un terzo dei consensi e perciò fanno il diavolo a quattro. I seguaci di Salvini, al contrario, sperano di capitalizzare la popolarità di cui sono accreditati, ovvero di avere una verifica nell'urna di ciò che gli esperti attribuiscono al partito che un tempo fu di Umberto Bossi. Entrambi gli schieramenti sanno che dal risultato del 26 maggio dipenderà il futuro del governo. Non solo per ciò che riguarda la sopravvivenza, che pure è in gioco. Ma anche per la direzione che dopo il voto europeo prenderà l'esecutivo. Se il Movimento reggerà l'onda d'urto della Lega, i pentastellati saranno invogliati a tenere duro sulla Tav e su tutte le altre questioni aperte, dalla Flat tax ai temi etici. Se invece la Lega trionferà, conquistando anche i territori dei 5 stelle, sarà Salvini a dettare legge e c'è da giurare che a Palazzo Chigi la musica cambierà in fretta. Giuseppe Conte non suonerà più solo uno spartito, quello di Di Maio e compagni, ma sarà costretto a eseguire ben altre opere, pena il rischio di dover fare le valigie e tornare a fare il docente universitario.In questa resa dei conti, Siri è finito nel mezzo. Non so se per colpa, perché ha trafficato con gente sospetta, o per ingenuità, perché ha frequentato senza saperlo persone nel mirino dei magistrati. Sta di fatto che si è trovato nel posto sbagliato nel momento sbagliato. E dunque è diventato protagonista in uno spettacolo più grande di lui. In palio non c'è una poltrona da sottosegretario, come vorrebbe far credere Luigi Di Maio. E neppure ci sono 30.000 (meno di tre mesi di paga per un sottosegretario). No, in discussione ci sono gli equilibri futuri del governo. Lo scontro è sulla leadership. Quanto vale costringere Salvini a un passo indietro cioè a mollare il sottosegretario? E quanti voti possono tornare al Movimento se riesce a inzaccherare la casacca leghista con l'accusa di un suo uomo in affari con la mafia? Salvini, invece, quanti voti può portare a casa se resiste all'avversario, dimostrando di avere la forza di reggere la pressione dei grillini? E quanto ne esce rafforzato se riesce a far slittare il caso Siri a dopo le elezioni? Ecco, il braccio di ferro è fra alleati e dimostra ancora una volta che le dinamiche della maggioranza escludono l'opposizione. Grillini e leghisti fanno tutto da soli, riuscendo a giocare due parti in commedia e, alla stesso tempo, a farsi del male senza l'aiuto di altri.