2024-05-07
Due violenze, stessa sinistra. Si mobilita per la «vittima» solo se può tornarle comoda
Per Matteo Falcinelli, arrestato con la mano pesante negli Usa, nessun progressista ha dato del «fascista» a Joe Biden. Forse perché, a differenza di Ilaria Salis, non è utile alle urne?Che cosa faranno ora i sinceri democratici di casa nostra? Se la prenderanno con Joe Biden accusandolo di essere a capo di un regime fascistoide che cancella i diritti individuali e infierisce sugli innocenti? Chiederanno di interrompere i rapporti diplomatici con gli Usa? Pretenderanno che Giorgia Meloni telefoni indignata alla Casa Bianca per avere giustizia? Chissà, magari invece si dimostreranno più raffinati e scaltri, e se la prenderanno - invece che con il presidente americano - con il governatore della Florida, Ron DeSantis. Dopo tutto, De Santis è un repubblicano e sosterrà la candidatura di Donald Trump, quindi - utilizzando il metro progressista - è un po’ fascista pure lui, esattamente come Viktor Orbán.Potremmo continuare con questo genere di speculazioni ancora a lungo, ma sappiamo bene che non accadrà nulla di ciò che abbiamo evocato. Oddio, qualcuno dalle nostre parti potrebbe persino avere il fegato di puntare il dito contro DeSantis, ma è fuori discussione che politici e commentatori osino puntare il dito contro Joe Biden. Eppure è esattamente quel che dovrebbe avvenire se si utilizzasse il metodo Salis anche per la vicenda di Matteo Falcinelli. Stiamo parlando di uno studente venticinquenne originario di Spoleto che si trova negli Stati Uniti da tre anni per frequentare un master. Il 24 febbraio scorso è stato arrestato dalla polizia di Miami all’uscita di uno strip club, in circostanze non chiarissime. A quanto risulta avrebbe discusso con i gestori per la restituzione di due telefonini smarriti o forse per un pagamento. Poco importa, in fondo: dopo un diverbio è stato allontanato dal club, raggiunto da due poliziotti e quindi arrestato. Falcinelli è stato accusato di resistenza a pubblico ufficiale, opposizione all’arresto senza violenza e trespassing, una sorta di violazione di domicilio: avrebbe cercato di rientrare nel locale da cui era stato cacciato. E, soprattutto, avrebbe colpito gli uomini delle forze dell’ordine. In realtà, stando ai filmati diffusi nei giorni scorsi anche dai media italiani, il ragazzo avrebbe soltanto discusso con i poliziotti e poi toccato il badge di uno di loro. Comunque sia, lo studente italiano è stato ruvidamente fermato e sbattuto a terra. Poi è stato incaprettato (cioè gli hanno legato le mani dietro la schiena e gli hanno bloccato le caviglie) e ha passato diverso tempo in cella prima di essere liberato su cauzione. In alcune foto lo si vede con la schiena nuda piena di lividi e il volto tumefatto. Attualmente Falcinelli non è in stato di detenzione, e le accuse nei suoi confronti decadranno una volta che avrà completato una specie di programma alternativo di riabilitazione. Secondo i suoi famigliari e il suo legale, tuttavia, la storia non è affatto conclusa. L’avvocato accusa la polizia americana di violenze e brutalità. Lo stesso giovane dice di essere stato torturato: «Sopravvivendo alla tortura che ho subito ho vinto la partita più importante», dichiara all’Ansa. «Forse la mia esperienza di calciatore mi ha aiutato psicologicamente, altrimenti non so se ce l’avrei fatta. Ringrazio tutti del sostegno, ora voglio giustizia». Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International, a riguardo è piuttosto duro: «Negli Stati Uniti la polizia è priva di controlli e di regole, la competenza è prevalentemente statale, nei 50 Stati ci sono norme che differiscono tra loro, manca una direzione generale che stabilisca dei limiti all’uso della forza, sia delle armi da fuoco che della forza nel controllo di manifestazioni o nell’esecuzione di arresti», spiega. «Questo caso ne è la prova soprattutto nella modalità di arresto che ricorda la vicenda tragica di George Floyd, ma anche altri casi. E poi una tecnica di immobilizzazione del tutto gratuita e crudele, perché dalle immagini emerge con chiarezza che quei 13 minuti in cui il ragazzo era in cella, in quella posizione, non costituiva né poteva costituire una minaccia nei confronti di alcuno. È una tecnica illegale, una sorta di punizione per non si sa che cosa…». Noury è più che coerente: lui e la sua organizzazione si esprimono su ogni caso di questo genere e da sempre prendono le difese di arrestati e detenuti. Per i politici e per gli eleganti editorialisti della stampa italiana, tuttavia, il discorso è un filo differente. È vero che qualcuno si è indignato e ha strepitato un po’ per il comportamento dei poliziotti. Da Più Europa hanno pure chiesto che Antonio Tajani, in qualità di ministro degli Esteri, scriva alle autorità statunitensi per lamentarsi ufficialmente del trattamento riservato al nostro connazionale. Tuttavia, va notato con un filo di dispiacere che il comportamento delle forze progressiste è leggermente differente da quello mostrato per il caso di Ilaria Salis. Vero: i sistemi giudiziari di Usa e Ungheria sono differenti, e lo specifico degli avvenimenti è ovviamente diverso. Resta però un punto politico. Gli schiavettoni e il guinzaglio imposti alla Salis - attualmente candidata alle Europee per Alleanza verdi e sinistra - sono da mesi oggetto di feroce discussione, e i più li considerano segni inequivocabili del carattere autoritario del regime di Orbán. Tanto che i partiti di destra notoriamente in buoni rapporti con il leader ungherese sono stati a più riprese accusati di intelligenza con il nemico fascista. Dunque ci si chiede: perché l’Ungheria sì e gli Usa no? Lasciamo pure da parte le enormi storture del sistema giudiziario e carcerario italiano, che dovrebbero comunque consigliarci di non dare lezioni a nessuno. Per quale motivo il caso Salis diventa un gigantesco problema politico e chiama in causa il governo di una nazione mentre la vicenda di Falcinelli è, al massimo, una questione di brutalità poliziesca di cui il governo statunitense in fondo non è responsabile? Viene da sospettare che a marcare una differenza fra le due storie sia la convenienza politica. Attaccare gli ungheresi costa poco e porta profitto, perché si può rigirare il pastrocchio contro gli italiani «amici di Orbán». Accusare gli Stati Uniti è un po’ più complicato e meno profittevole. E benché la carcerazione da quelle parti non sia esattamente dolce ed esista ancora la pena di morte, raramente qualcuno osa parlare di «fascismo». Chissà, magari se al potere ci fosse Donald Trump i nostri progressisti si sfrenerebbero di più, ma per ora restano tutto sommato tranquilli. Non stupisce: i diritti dei detenuti contano poco, a meno che non tornino utili a fini elettorali.
Pier Silvio Berlusconi (Ansa)
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