2021-09-19
Due studi britannici smentiscono le paure per il long Covid in bimbi e adolescenti
Nei giovani, la percentuale di chi ha sintomi dopo la guarigione è bassa e simile a quella riscontrata tra chi non s'è mai infettato.Ma il «long Covid» sarà davvero un pericolo concreto, preoccupante quanto il virus, da contrastare a suon di vaccini? È questo ormai il dubbio che assilla esperti e cittadini. Un dilemma che si è aggravato quando alcuni giorni fa, durante l'ultima puntata della trasmissione tv Piazza Pulita, l'immunologo Sergio Abrignani del Cts ha lanciato un allarme chiaro: «Ci sono una serie di problemi che seguono l'infezione acuta dopo che si è risolta. Gli organi più a rischio sono il cuore e il rene, tutti organi importanti». Secondo lui, poi non sono solo gli adulti a soffrirne, ma persino i bambini, che quindi dovrebbero essere tutti vaccinati per evitare esiti negativi sul lungo periodo. Il pericolo è infatti quello che, superato il virus, magari solo con una febbriciattola, il paziente inizi poi ad accusare, a distanza di mesi o di un anno, disagi pesanti o indebolimento in una serie di organi essenziali. «Non riusciamo a capire quali sono le persone che andranno incontro al long Covid», ha aggiunto lo studioso, «ma ormai c'è la certezza che ci sia tutta una serie di sequele che l'infezione lascia per meccanismi che ancora non si conoscono bene». Gli esperti sono convinti che l'infezione causata dal Covid possa innescare nell'organismo altri problemi che perdurano almeno per un anno, quindi invitano alla prudenza e alla prevenzione, anche se non hanno ancora completato studi e indagini.Uno scenario preoccupante, che ovviamente ha messo in allarme soprattutto i genitori, che temono per i piccoli non ancora vaccinati. Peccato che queste segnalazioni di pericolo non siano in realtà surrogate da dati certi. Contemporaneamente all'allarme di Abrignani, infatti, sulla rivista specializzata Pediatric infectious disease journal, è uscito un articolo che sostiene che bambini e adolescenti affetti dal Covid di rado manifestano conseguenze che durano oltre le 12 settimane. Come dire che il long Covid nei piccoli e nei ragazzini non rappresenta poi un pericolo così grave. L'indagine è stata compiuta analizzando 14 studi internazionali che hanno coinvolto 19.426 pazienti minorenni che avevano mostrato segni di long Covid. I sintomi presi in esame per loro sono stati cinque: mal di testa, stanchezza, problemi con il sonno, difficoltà di concentrazione e dolori addominali e molti li hanno confermati. Peccato che la percentuale di pazienti che avevano avuto il Covid, affetti dopo mesi da questi problemi, non fosse dissimile da quella di loro coetanei che non erano stati diagnosticati con il coronavirus. Secondo il professor Nigel Curtis, uno degli autori dello studio, dunque, occorre pensare bene ai vantaggi di una vaccinazione, dal momento che anche gli esiti a lungo termine del Covid nei piccoli non sono poi così significativi.A dare in qualche modo ragione alla sua teoria, è anche una ricerca pubblicata in questi giorni in Gran Bretagna e compiuta dagli scienziati dell'Office for national statistics (Ons), che hanno preso in esame 26.922 pazienti risultati positivi al Covid per due volte, tra il 26 aprile 2020 e il primo agosto di quest'anno. I ricercatori hanno esaminato i dati partendo da punti di vista diversi e il risultato complessivo è stato che il long Covid è in realtà meno comune di quanto si pensi. Per capire il rischio connesso agli strascichi del virus, gli scienziati britannici hanno preso in esame i suoi 12 sintomi più comuni, che sono febbre, mal di testa, gola infiammata, dolori muscolari, tosse, debolezza, fiato corto, stanchezza, nausea, diarrea, dolori addominali, perdita del gusto e dell'olfatto. A livello generale hanno scoperto che soltanto tra il 3 e il 12% delle persone infettate dal patogeno mostrerebbe sintomi a tre mesi dal contagio, mentre tra coloro che hanno sperimentato la fase acuta dell'infezione, il long Covid sarebbe diffuso tra il 7 e il 18% dei casi. Più complessa la situazione di coloro che hanno riferito di provare i sintomi del long Covid ma non hanno avuto tamponi a cui fare riferimento. In questo caso l'11,7% dei partecipanti allo studio aveva problemi 12 settimane dopo l'infezione, ma solo il 7,5% li aveva così gravi da avere conseguenze sulla vita pratica e dovere, ad esempio, rinunciare al lavoro o alla vita normale. In generale, poi, sono risultate più colpite le donne, le persone con un'età compresa tra i 50 e i 69 anni e coloro che avevano delle patologie precedenti. Ma il dato estremamente interessante riguarda, ancora una volta, i bambini. La percentuale di quelli con problemi era del 3,3% nel caso dei piccoli tra 2 e 11 anni; del 4,6 per quelli tra 12 e 16 anni e appena superiore per la fascia dai 17 ai 24 anni. Nel complesso, dunque, non dati elevati, soprattutto in riferimento a pazienti non affetti dal Covid e scelti come gruppo di controllo, che presentavano comunque una ricorrenza degli stessi sintomi. Dopo aver diffuso questi dati, gli studiosi inglesi hanno segnalato che serviranno nuove indagini e approfondimenti: un approccio sensato, che non scatena terrorismo e non spinge certo alla corsa alla vaccinazione, come sta accadendo da noi.
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