2019-02-02
Due milioni di italiani sono dislessici: «Ma dopo i 10 anni si può fare poco»
In media un bambino per classe ha problemi nella lettura e nei calcoli. Più della metà però sfugge alle diagnosi. Non si tratta di una malattia, ma di un disturbo. L'esperto: «Bisogna intervenire subito».Lo studente svogliato, spesso valutato con un «è intelligente, ma non si applica», potrebbe essere dislessico. Per aiutare gli insegnanti a individuare e gestire questo disturbo, l'Associazione italiana dislessia (Aid) ha attivato un percorso gratuito online per la formazione degli insegnanti, di tutte le scuole, sulle modalità e le strategie di apprendimento più adeguate per gli studenti con Disturbi specifici d'apprendimento (Dsa). Leggere e scrivere in modo rapido e corretto, fare calcoli e memorizzare le tabelline sono meccanismi che si apprendono in automatico, ma per i bambini e ragazzi dislessici è molto faticoso. «Circa il 4-5% degli studenti dai 6 ai 18 anni ha questo disturbo», spiega Andrea Novelli, psicologo e psicoterapeuta, «circa uno per classe, ma meno della metà non viene diagnosticato. Sugli adulti non abbiamo dati, ma in media sono intorno al 3%». Dati alla mano siamo quindi intorno ai due milioni di persone con questo disturbo dell'apprendimento che, è bene chiarire, non è una malattia. La dislessia non è causata né da un deficit di intelligenza, né da problemi ambientali o psicologici o da deficit sensoriali o neurologici, ma da una diversa organizzazione delle reti neuronali che presiedono queste attività. Il bambino dislessico può leggere e scrivere, ma riesce a farlo solo impegnando al massimo le sue capacità e le sue energie perché, per lui, il meccanismo non è automatico. Per questo si stanca rapidamente, commette errori, rimane indietro e non impara. Tale condizione mina l'autostima e rende la scuola un incubo. La difficoltà di lettura (dislessia) può essere più o meno grave e spesso si accompagna a problemi nella scrittura che comprendono: errori ortografici (disortografia), scrittura disordinata (disgrafia) e difficoltà nel calcolo (discalculia). «La dislessia e la disortografia interessano il 60-70% dei casi», continua Novelli, che fa parte del direttivo dell'Aid. «Questi disturbi dipendono dalle diverse modalità di sviluppo e funzionamento delle reti di neuroni che regolano i processi di lettura, scrittura e calcolo», dice l'esperto, «per questo si manifestano quando il bambino inizia ad andare a scuola». La diagnosi si fa solo in seconda elementare, ma prima ci sono dei campanelli d'allarme, degli indici di rischio che non vanno sottovalutati. Il bambino, ad esempio, compie nella lettura e nella scrittura errori caratteristici: inverte lettere e numeri (ad esempio m/n, v/f, b/d, a/e o 21 al posto di 12), inoltre fatica a imparare sequenze come le tabelline e l'alfabeto. «Tra i sei e i dieci anni», osserva lo psicologo, «la plasticità neurale è forte, quindi si possono creare dei circuiti alternativi che possono migliorare di molto la gestione del problema. Dopo la quanta elementare si può solo compensare». Di solito un'insegnante può segnalare queste difficoltà e consigliare una valutazione specialistica. La cosa più semplice è rivolgere al servizio di neuropsichiatria o di neuropsicologia infantile alla propria Asl di appartenenza, ma ci possono essere liste d'attesa così lunghe, che i genitori finiscono per rivolgersi al privato, con costi che potrebbe variare tra i 300 e i 600 euro. «Ci possono volere in media 6-8 mesi per avere una prima diagnosi», dice Novelli, «dipende dalle regioni». La cosa però non finisce qui perché questi bambini hanno bisogno di un percorso riabilitativo con psicologi e logopedisti. Anche in questo caso, questi aiuti sono previsti nel servizio pubblico, ma «le liste d'attesa possono essere lunghe qualche mese», osserva lo psicologo. «Se sono indicati uno o due appuntamenti a settimana è molto facile che ci si debba rivolgere ancora al privato, così come per l'insegnante per i compiti». Insomma, questi disturbi che se sulla carta sarebbero gestibili dal Sistema sanitario nazionale, per una serie di carenze, dal personale alle strutture, «finiscono per gravare sul bilancio familiare per un valore di 300-400 euro al mese, se va bene», spiega Novelli. Non essendo una malattia, dalla dislessia non si guarisce, ma si impara a gestirla. Dopo i dieci anni però, il cervello non è più modificabile in questi circuiti, quindi si mettono in atto sistemi di compenso. La tecnologia diventa quindi un grande aiuto. «Dobbiamo ricordarci», continua lo psicologo, «che questi ragazzi hanno un'intelligenza normale e una calcolatrice e un tablet possono fare la differenza». Scrivendo con una tastiera, ad esempio, il correttore può ovviare ai problemi ortografici. Sistemi di sintesi vocale possono leggere i testi, rendendo meno faticosa la lettura. I programmi che scrivono su dettatura, per gli studenti dislessici delle superiori o dell'università, rendono l'apprendimento più accessibile. La tecnologia e le app però non sono la soluzione di tutto. Alcuni genitori hanno ancora difficoltà a ottenere dall'insegnante che il figlio dislessico possa usare il tablet in classe o la calcolatrice. Serve una crescita culturale. «Bisogna far capire che un tablet, una calcolatrice può essere un diritto per una persona dislessica, come avere gli occhiali lo è per un miope», commenta Novelli. La questione infatti diventa ancora più annosa quando ci si affaccia nel mondo del lavoro, si devono affrontare concorsi pubblici o banalmente sostenere l'esame della patente. «Mancano gli strumenti adeguati», dice l'esperto, «attualmente nei test d'ingresso alle università viene concesso alla persona dislessica il 30% di tempo in più, ma basterebbe un tablet con sintesi vocale o formulare la domanda in modo adeguato, per dare le stesse opportunità di accesso».