
Alla riunione non rinnovare alla Luiss il prof sovranista mancavano Giovanni Orsina, direttore della School of government dell'ateneo, e Sebastiano Maffettone, noto per le idee di sinistra. I verbali non sono pubblici, ma almeno un docente presente avrebbe espresso dubbi.Nuovi particolari sul caso del professor Marco Gervasoni, dopo quanto La Verità ha scritto per prima sabato scorso. Ovviamente, non una virgola dei fatti è smentibile da chicchessia. Secondo la versione diffusa dalla Luiss, non vi sarebbe stata «epurazione»: l'ateneo tiene a ribadire il «proprio carattere pluralista, indipendente e liberale, che rispetta le opinioni più diverse», e sottolinea come gli incarichi dei docenti abbiano «durata limitata e giungano a scadenza come nel caso in questione». Peccato però che per prassi i docenti a contratto ricevano ogni anno già a maggio una mail di sostanziale preannuncio della loro conferma in attesa della firma autunnale (mail ricevuta da Gervasoni anche quest'anno), al punto che fino a un paio di settimane fa l'indicazione del suo corso risultava sul sito dell'università, e lo stesso Gervasoni era regolarmente contattato dagli studenti per le informazioni sui libri di testo.Ma il 16 luglio scorso, dopo il noto tweet contestato al prof, il consiglio del dipartimento di scienze politiche aveva già deciso di non rinnovare il rapporto. Curioso però che la comunicazione a Gervasoni (solo telefonica) sia avvenuta molto tempo più tardi, per singolare coincidenza dopo il cambio di governo. E allora come sono andate le cose quel 16 luglio? Purtroppo non se ne ha certezza assoluta visto che, diversamente dai verbali di numerose università statali, che in genere sono resi pubblici (tranne omissis), nel caso della Luiss i verbali non risultano accessibili.Dalla nostra ricostruzione, non ha partecipato alla seduta il professor Giovanni Orsina, direttore della Luiss school of government, personalità autorevole e autentico spirito liberale. C'è perfino da dubitare che Orsina, trovandosi all'estero, conoscesse l'obiettivo specifico della riunione. Risulta assente - a suo onore - anche il professor Sebastiano Maffettone, filosofo politico, il cui orientamento culturale è assai lontano dalle posizioni di Gervasoni. E ciò a maggior ragione dà la misura dello spirito tollerante di Maffettone. Alla Verità risultano anche perplessità da parte del docente Alessandro Orsini, esperto di terrorismo e sicurezza. Presentissimo invece il professor Sergio Fabbrini, che dirige il dipartimento, e verso il quale abbiamo già ricordato le pubbliche attestazioni di stima da parte di Matteo Renzi. Schierati con lui, a quanto pare, il professor Roberto D'Alimonte, considerato tra gli ispiratori dell'Italicum e della riforma costituzionale renziana; e il professor Michele Sorice, il cui nome si è letto sui giornali come possibile consulente nell'ambito della neo istituita commissione statuto del Pd. Nell'elenco dei membri del consiglio di dipartimento figurano tra gli altri Nicola Lupo (allievo di Andrea Manzella), Raffaele De Mucci, Mario Telò.Sentito dalla Verità, un docente Luiss in aspettativa, il professor Gaetano Quagliariello, attualmente parlamentare, ha fatto sapere - una volta appresa la vicenda - di aver telefonato e scritto una lettera al direttore generale della Luiss Giovanni Lo Storto, facendo presente che «un'università dovrebbe essere come la moglie di Cesare: non dovrebbe nemmeno lasciare il più lontano sospetto di censura ideologica». Quagliariello ha ricordato che in quella facoltà - anni addietro - convivevano docenti di sensibilità assai lontane, da Luciano Pellicani ad Antonio Martino, fino a lui stesso. «Perdere questa caratteristica sarebbe un impoverimento», ha concluso. Va peraltro sottolineato un dettaglio. Tra coloro che hanno festeggiato la decisione della Luiss c'è anche una rappresentante del governo, la sottosegretaria Alessia Morani, che ha scritto in un tweet, si presume ironicamente: «Non riesco veramente a capire perché un educatore di tal fatta sia stato allontanato da una nota università». Per la cronaca, subito dopo gli utenti l'hanno pesantemente criticata. Ma resta da capire se sia stata una buona idea, per un membro del governo, felicitarsi per l'allontanamento da una cattedra di un docente di opinione diversa. Interpellato dalla Verità, Gervasoni è apparso sereno e ha preferito non commentare. Si è limitato a ringraziare i moltissimi che gli hanno manifestato vicinanza in rete e sui social network. In effetti, da giorni il professore è stato travolto dalle testimonianze di amicizia e solidarietà. Resta però un sapore amaro. Ciascuno può immaginare cosa sarebbe successo se un docente di cultura diversa (ad esempio, un notorio sostenitore della sinistra) fosse stato rimosso per un tweet (un'ipotesi a caso: una battuta contro Matteo Salvini), poco dopo l'insediamento di un governo di destra. Ci sarebbero state mobilitazioni di piazza, speciali televisivi, appelli a valanga, denunce di «editti», prediche contro l'autoritarismo. Ma essendo le cose avvenute a parti invertite, l'accademia e la cultura «ufficiali» hanno preferito un silenzio poco coraggioso. Occorrerà ricordarlo in occasione delle prossime professioni di «liberalismo».
Il tocco è il copricapo che viene indossato insieme alla toga (Imagoeconomica)
La nuova legge sulla violenza sessuale poggia su presupposti inquietanti: anziché dimostrare gli abusi, sarà l’imputato in aula a dover certificare di aver ricevuto il consenso al rapporto. Muove tutto da un pregiudizio grave: ogni uomo è un molestatore.
Una legge non è mai tanto cattiva da non poter essere peggiorata in via interpretativa. Questo sembra essere il destino al quale, stando a taluni, autorevoli commenti comparsi sulla stampa, appare destinata la legge attualmente in discussione alla Camera dei deputati, recante quella che dovrebbe diventare la nuova formulazione del reato di violenza sessuale, previsto dall’articolo 609 bis del codice penale. Come già illustrato nel precedente articolo comparso sulla Verità del 18 novembre scorso, essa si differenzia dalla precedente formulazione essenzialmente per il fatto che viene ad essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito dall’articolo 609 bis nel testo attualmente vigente), ma anche, ed in primo luogo, quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.
Tampone Covid (iStock)
Stefano Merler in commissione confessa di aver ricevuto dati sul Covid a dicembre del 2019: forse, ammette, serrando prima la Bergamasca avremmo evitato il lockdown nazionale. E incalzato da Claudio Borghi sulle previsioni errate dice: «Le mie erano stime, colpa della stampa».
Zero tituli. Forse proprio zero no, visto il «curriculum ragguardevole» evocato (per carità di patria) dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega; ma uno dei piccoli-grandi dettagli usciti dall’audizione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler in commissione Covid è che questo custode dei big data, colui che in pandemia ha fornito ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi le cosiddette «pezze d’appoggio» per poter chiudere il Paese e imporre le misure più draconiane di tutto l’emisfero occidentale, non era un clinico né un epidemiologo, né un accademico di ruolo.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Manifestazione ex Ilva (Ansa)
Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
Proteste, manifestazioni, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, annunci di scioperi. La questione ex Ilva surriscalda il primo freddo invernale. Da Genova a Taranto i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato sit-in per chiedere che il governo faccia qualcosa per evitare la chiusura della società. E il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto sull’acciaieria più martoriata d’Italia, che autorizza l’utilizzo dei 108 milioni di euro residui dall’ultimo prestito ponte e stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026.






