2024-07-01
«Dubbia l’ammissibilità di un referendum contro l’autonomia»
Mario Bertolissi (Imagoeconomica)
Il costituzionalista Mario Bertolissi: «Sud penalizzato? Falso. Ma si potrebbe fare un collaudo: facciamo partire una Regione e vediamo gli effetti».Paese spaccato in due, incentivazione del turismo sanitario verso il Nord, crollo degli investimenti al Sud e i livelli essenziali delle prestazioni assicurati a macchia di leopardo. Sono solo alcune delle critiche che ancora vengono mosse al disegno di legge sull’autonomia differenziata delle Regioni, nonostante il testo sia stato promulgato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Un provvedimento in 11 articoli, che attua la riforma del Titolo V della Costituzione messa in campo nel 2001. Cerchiamo quindi di fare chiarezza, al di là della demagogia, con un profondo conoscitore della materia, il costituzionalista Mario Bertolissi. E cominciamo dai Lep, il maggiore bersaglio degli attacchi da parte del partito del No al ddl.«Innanzitutto bisogna chiarire che tra autonomia differenziata e Lep non esiste nessun rapporto. Dell’autonomia differenziata si occupa l’art. 116 terzo comma della Costituzione, mentre dei Lep si occupa l’art. 117, secondo comma, lettera m. Nel primo caso la Costituzione dà facoltà alla Regione di chiedere ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, nel secondo caso pone a carico dello Stato, un obbligo generalizzato di procedere alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni». Vuol dire che se una Regione richiede maggiori competenze per i Lep questo non intacca i livelli delle prestazioni per i cittadini di altre regioni?«È così. C’è un obbligo a carico dello Stato di realizzare il principio costituzionale di uguaglianza, stabilito dal 1948. Nella Costituzione si dice che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale ed è compito della Repubblica eliminare le disuguaglianze. La formalizzazione dei Lep è quindi solo una puntualizzazione di rilievo marginale rispetto a ciò che stabilisce da sempre il principio costituzionale di uguaglianza. I livelli essenziali delle prestazioni sono stati fissati nella sanità nel 2001 e poi rivisti con un Dpcm nel 2017». L’introduzione dei Lea, i livelli essenziali di assistenza, nel 2002 ha eliminato le disparità tra le varie regioni prima dell’introduzione dei Lep? «Assolutamente no. I Lea ci sono dal 2002 e da allora non è cambiato nulla. C’è un problema di capacità amministrativa di gestire in modo efficace le risorse a disposizione. Basta guardare alla sanità della Calabria commissariata da 14 anni, che ha i Lep più bassi d’Italia e la migrazione di malati tra le più alte. Questo significa che attribuire ai Lep una capacità soprannaturale di trasformare la condizione in cui si trovano alcune realtà del Paese, è privo di significato. La commissione di Cassese insediata a giugno 2023 e con il termine dei lavori il 31 ottobre 2023, di cui ho fatto parte, ha chiarito che dentro la categoria generale dei Lep ci sono declinazioni diversissime tra di loro. La Commissione ha indicato le materie che vanno accompagnate dai Lep e quelle che non ne necessitano, fissando le coordinate per procedere. Si può quindi procedere».Il «partito del No» a forme di decentramento differenziato sostiene che il Sud verrebbe abbandonato a sé stesso.«Sono affermazioni prive di fondamento. Facciamo l’esempio della Calabria. Sarebbe sufficiente che la trasmissione Report ritrasmettesse le inchieste sulla sanità dalle quali viene fuori una raffigurazione terrificante che mette in evidenza il disastro del Sud: opere incompiute, dissipazione di risorse. Si faceva vedere l’ospedale di Reggio Calabria con gli ascensori non funzionanti, calcinacci che cadevano, sale operatorie mai usate, macchinari acquistati e inutilizzati. Quindi chi dice che con l’autonomia il Sud verrebbe abbandonato, è in malafede e dimentica queste inchieste. Il Mezzogiorno è già in stato di abbandono. In Sicilia ogni estate esplode il problema della siccità perché le infrastrutture degli acquedotti sono in mano alla mafia, ma cosa è stato fatto? La regione è a statuto speciale e cosa ha fatto fino ad ora? Quando il Friuli è stato colpito dal terremoto, la ricostruzione è partita subito. In Irpinia non si può dire lo stesso, eppure le risorse stanziate erano comparativamente le stesse».Si dice che ci troveremo di fronte a 15 Staterelli.«Innanzitutto si tratta di una autonomia che non è neanche speciale per cui ci sono cinque Regioni che hanno più autonomia rispetto a quelle eventualmente con autonomia differenziata. Poi la legge Calderoli non obbliga le Regioni a chiedere una maggiore autonomia. Chi pensa che sia contro la Costituzione non ne faccia richiesta e lasci che sia solo il Veneto ad andare avanti».Quale è l’obiettivo di chi non vuole questa riforma?«La contrarietà nel nostro Paese è su tutto, dal premierato, alla riforma della giustizia per fare solo due esempi. Basta che si accenni ad un cambiamento e subito sorge il partito del No. Il risultato è che nascono solo mezze riforme».Quindi quale potrebbe essere la soluzione per scavalcare il partito dei No?«Bisognerebbe seguire il criterio della sperimentazione. Lasciamo partire una Regione che comincia a esercitare determinate funzioni e si fa un collaudo parziale, di verifica. Se il risultato è positivo si va avanti e anche altre Regioni potranno intraprendere lo stesso percorso, se invece la sperimentazione non funziona, si chiude la partita, ma la contrarietà avrebbe un fondamento concreto, sulla base della sperimentazione, e non si baserebbe su ipotesi astratte. Si stanno facendo una serie di illazioni che deformano la realtà. Questo vale anche per i giornali». Il No dell’opposizione non dovrebbe essere accompagnato da una proposta alternativa?«È proprio questo il punto. Il Pd si limita a criticare ma non ha nulla da proporre. Dice che è una legge vuota ma è stato soprattutto Francesco Boccia a volere una legge quadro, di cornice. Dicono poi che è una legge pasticciata. Carlo Cottarelli ha scritto che andava bene il testo originario proposto da Calderoli. Il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini era inizialmente nella cordata con Veneto e Lombardia e spingeva per velocizzare il percorso». Quand’è che Bonaccini ha cambiato idea, passando da favorevole a contrario?«La giravolta è avvenuta, guarda il caso, quando è entrato in gioco per la segreteria del Pd e aveva quindi il problema di conquistare il favore del partito del Sud». Non è l’unico a sinistra ad aver cambiato idea sull’autonomia.«Il suo direttore, Maurizio Belpietro, ha ricordato in un commento che Occhetto, a suo tempo, aveva messo l’autonomia differenziata e il premierato tra i punti programmatici. Cesare Salvi, qualche giorno fa ha ricordato che autonomia e premieranno erano nel programma del Pd. E comunque la riforma del Titolo V è stata sottoscritta dal governo D’Alema-Amato».Un’altra critica è che l’autonomia nell’istruzione comporterebbe la creazione di studenti di serie A e di serie B.«Nella scuola esistono già oggi condizioni di sperequazione tra Nord e Sud come dimostrano i dati Invalsi. Quanto alla richiesta della Regione Veneto non è di intervenire sul personale e sui programmi. La sua preoccupazione è di avere i professori al loro posto per tutto l’anno. Quindi l’obiettivo è eliminare il ricorso al precariato e la disorganizzazione. Sento dire che ogni Regione farebbe i suoi programmi con il suo personale docente. Ma stiamo scherzando? Vorrei ricordare che i concorsi li fa lo Stato e i programmi li definisce il ministero dell’Istruzione. L’uniformità è garantita a monte». Le Università del Sud corrono il rischio di perdere iscritti? «Lo Stato farà in modo che ciò non accada. Le università del Sud dovrebbero chiedersi perché uno studente del Mezzogiorno si iscrive in un ateneo del Nord e dopo non rientra. L’emorragia continuerà a prescindere dall’autonomia differenziata. Nelle Considerazioni finali di Mario Draghi del 2008 quando era governatore di Bankitalia, ci sono pagine dedicate al federalismo fiscale. Draghi metteva l’accento sulle incapacità delle amministrazioni del Centro Sud. Quando il Pnrr ha stabilito una riserva del 40% per il Sud, subito le Regioni del Mezzogiorno hanno detto di non avere le competenze e le professionalità». Lei nutre dubbi sull’ammissibilità del referendum, ci può spiegare perché?«L’eventuale referendum abrogativo penso debba fare i conti con la clausola di inammissibilità: è una legge che, comunque, ha ricadute sul piano della finanza pubblica e, quindi, incontra il limite proprio delle leggi tributarie e di bilancio, per come sono state intese dalla Corte costituzionale. Trattandosi, poi, di una legge quadro, è da considerare condizionata dal limite inespresso delle leggi a contenuto costituzionalmente obbligatorio. Infatti, illustri costituzionalisti ed ex presidenti della Corte hanno affermato che l’art. 116, 3º comma, della Costituzione necessita, per la sua attuazione, della preventiva approvazione di una legge quadro. In sua assenza, la disposizione costituzionale è inapplicabile».