Lo ha detto l'ex presidente della Bce ex premier italiano nel corso del suo intervento a Bruxelles durante la settimana Europarlamentare.
Lo ha detto l'ex presidente della Bce ex premier italiano nel corso del suo intervento a Bruxelles durante la settimana Europarlamentare.
Gli scontri tra gli attivisti in corteo del centro sociale Askatasuna, sgomberato stamani, e la polizia, Torino 18 dicembre 2025 ANSA/Alessandro Di Marco
A Torino la violenza rossa era tollerata. Lo sgombero è arrivato perché gli antagonisti hanno toccato il «giornale sbagliato».
Per sgomberarli ci è voluto l’assalto alla redazione della Stampa. Perché, triste ma vero, è probabile che, senza l’aggressione al quotidiano diventato da qualche anno un tempietto cartaceo della sinistra italiana, i compagni di Askatasuna sarebbero ancora sereni nel loro stabile occupato a Torino. Invece hanno assaltato il giornale sbagliato, come ebbe a dire Annalisa Cuzzocrea: «Andrea Malaguti e io abbiamo fatto una prima pagina con scritto genocidio», spiegò la nota firma. «Non ci siamo preoccupati di come avrebbe reagito una parte dell’opinione pubblica. Tutto questo quei ragazzini che hanno imbrattato le sale riunioni non lo sanno… Questa è la cosa che mi ferisce di più, perché non sanno cosa hanno aggredito». Ci sono volute le parole allucinanti di Francesca Albanese che definì quell’assalto «un monito» per i giornalisti di tutta la nazione, ci è voluto il dibattito fiammeggiante sull’imam Shahin. Insomma, pare che stavolta i cari antagonisti l’abbiano fatta almeno un po’ fuori dal vaso, inimicandosi pure parte di coloro che fino all’altro giorno li difendevano.
Intendiamoci, sono anni che la destra piemontese, anche da poltrone istituzionali, chiede di mettere un freno alle intemperanze dei militanti. L’edificio in corso Regina Margherita 27 è stato occupato per la prima volta nel 1994, poi liberato spontaneamente e di nuovo rioccupato nel 1996. Da allora, gli esponenti del centro sociale hanno messo insieme un bel curriculum fatto di violazioni, violenze e altre belle cosine. L’ultimo processo è recentissimo, i componenti di Askatasuna hanno collezionato 18 condanne per danneggiamenti e violenze in Val di Susa e a Torino, con pene che vanno dai 5 mesi fino ai 4 anni e 9 mesi di reclusione. Nel 2015 erano piovute 47 condanne in area no Tav, altre 16 nel 2018. Poi ancora condanne per singoli militanti: chi si addestrava con le milizie curde, chi ha assaltato gli studenti di destra all’università e via malmenando.
Eppure, in tutti questi anni, nessuno è riuscito a far schiodare i simpatici antagonisti. Anzi, le istituzioni di sinistra li hanno protetti e coccolati fino a pochi giorni fa. Ancora ai primi di dicembre, il sindaco di Torino, Stefano Lorusso, subito dopo l’assalto alla Stampa, dichiarava: «Non ci sono i termini per l’interruzione del patto, andiamo avanti su questa strada per ripristinare la legalità». Già, il patto. Una collaborazione che il Comune progressista ha stretto con il centro sociale garantendogli di restare al suo posto.
Ieri, magicamente, il primo cittadino ha cambiato idea. Le forze dell’ordine hanno trovato sei persone nello stabile occupato, per altro in una parte considerata inagibile. «Tale situazione configura un mancato rispetto delle condizioni del patto di collaborazione che pertanto è cessato, come comunicato ai proponenti», ha spiegato Lo Russo. Ma che ci fossero occupanti si sapeva da tempo.
Il 5 dicembre, su Rai 3, la trasmissione Far West mostrò le immagini degli antagonisti presenti dentro l’edificio. «L’amministrazione comunale di Torino è stata smentita sulla televisione di Stato nazionale, che ha potuto documentare come dentro Askatasuna si rifugino ancora parecchi antagonisti, che rivendicano il centro sociale come casa loro», scrissero Maurizio Marrone e Augusta Montaruli. «Ricordiamo al sindaco che l’Asl e i vigili del fuoco hanno dichiarato quell’immobile di proprietà comunale inagibile. Si decida finalmente a stracciare il patto di collaborazione già palesemente violato, consentire lo sgombero e interrompere la spirale di violenza antagonista che tiene in ostaggio Torino». Non c’è stato niente da fare, nonostante una apposita legge regionale approvata dal centrodestra: Askatasuna è rimasto aperto. Poi, finalmente, qualcosa si è mosso.
«All’indomani dell’assalto alla Stampa, a nome della Regione Piemonte, avevo chiesto ufficialmente al Comune di Torino di cancellare il Patto per la concessione di Askatasuna», dice ora Marrone. «In tutti questi mesi quel centro sociale ha continuato a essere la base degli antagonisti, ma questa mattina grazie al lavoro della questura e della prefettura lo Stato ha colpito. Se il Comune avesse rispettato la mia legge regionale fin da subito, magari in questi due anni non ci sarebbe stata questa escalation di violenza».
Vero: bastava far rispettare la legge, ma alla politica di sinistra non è mai importato granché Le violenze dei centri sociali, le aggressioni e le brutalità sono sempre passate in secondo piano. Ci si scandalizzava per qualche coro nostalgico, si gridava all’emergenza fascismo per qualche saluto romano. Ma sugli antagonisti bellicosi silenzio. Ci è voluto - oltre alla determinazione della destra - l’attacco alla Stampa. E forse nemmeno quello basta fino in fondo. Da Askatasuna già arrivano minacce a Marrone e i compagni promettono battaglia. Poveretti, vanno anche capiti: sono stati abituati per 30 anni a fare quel che volevano, non gli si può mica chiedere di cambiare registro così all’improvviso...
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Il ministro Giuli al III Forum Machiavelli Cultura
La bellezza è un carattere identitario dell’Italia, la bellezza è una bandiera da alzare. Una bandiera di guerra. Queste sono le conclusioni a cui è giunta la kermesse annuale della Fondazione Machiavelli dedicata alla cultura, il III Forum Machiavelli Cultura, ospitato martedì scorso nella Sala Tatarella della Camera dei Deputati.
Un incontro al quale hanno partecipato relatori di altissimo profilo, a partire dal «padrone di casa», l’onorevole Alessandro Amorese, capogruppo Fdi n commissione Cultura e dall’ospite d’onore, il ministro della Cultura Alessandro Giuli, che non si è limitato a sostenere l’evento con il patrocinio del Ministero, ma ha deciso di presenziare con un lungo e approfondito intervento. Non un semplice saluto istituzionale, ma una relazione in cui sono stati evidenziati i punti salienti del rapporto fra bellezza e civiltà, enucleando l’urgenza del tema della bellezza in un mondo in cui il wokismo ha letteralmente dichiarato guerra a ciò che è bello e trascendente. «È la vittoria della Quarta Internazionale quella di Trotskii», da cui discende l’idra a più teste del woke: dalla Scuola di Francoforte a quella di Parigi, fino alle teorie critiche e all’intersezionalismo. L’arte concettuale rappresenta dunque l’arte di regime per questa ideologia: una non-arte, come l’architettura decostruzionista progetta non-luoghi. Livellamento e cancel culture. «Quando il tuo credo è fondamentalmente nichilista, incentrato sul fare tabula rasa della tua civiltà, sulla negazione della natura, il bello va combattuto, screditato, negato. Se la bellezza è il nemico per i nemici della nostra civiltà, va da sé che per noi debba diventare una bandiera» ha detto Daniele Scalea, presidente della Fondazione Machiavelli che dal 2017 è il think tank di riferimento del mondo conservatore in Italia.
Il cuore delle teorie decostruzioniste è che, attraverso la ridefinizione dei concetti e l’uso letteralmente magico delle parole, sia possibile ricostruire completamente la realtà. Ecco dunque che grazie alla «body positivity» una condizione patologica come l’obesità viene rovesciata. Come spiega Matt Carus, influencer e content creator, quella che è una vera e propria epidemia viene negata e chi punta il dito su stili di vita scorretti è perseguitato. Se è oggettivo che un corpo sano è anche un corpo bello – e le due cose sono in relazione biunivoca fra loro – questa oggettività va vietata: deve essere vietato non solo affermarlo, ma perfino pensarlo. Il medico che consigli al paziente obeso di dimagrire va perseguito.
Questo esempio è lampante della guerra culturale condotta dagli accoliti della «Quarta Internazionale» identificata da Giuli e che come un mostro tentacolare aggredisce ogni aspetto dell’esistenza umana. La cancellazione della maestria, stigmatizzata dal pittore Nicola Verlato e dallo scultore Emanuele Stifani, spalanca l’abisso dell’uomo sostituito dall’IA. Se saper tenere in mano un pennello o una matita non è più condizione necessaria ad avere l’arte, allora basta dare un prompt a una IA per produrre un succedaneo.
Che – per l’appunto – è un surrogato. È la carne sintetica della brodaglia servita alla mensa del Ministero della Verità in «1984» di Orwell: bisogna aver messo il cervello all’ammasso per trovarla appetitosa.
La risposta a questa stregoneria dialettica è nella rivendicazione dell’identità. Mentre il wokismo basa se stesso sull’uso magico della parola, l’identità fa discendere dalle basi empiriche e con rigorosi ragionamenti logici i propri postulati. Che la «res publica» debba tornare a essere «res populi» non è uno slogan, tuonato dal presidente dell’accademia Vivarium Novum (dove ragazzi da tutto il mondo parlano fra loro in latino, studiano i classici e producono arte secondo i canoni della tradizione più pura), ma una conseguenza di un pensiero rigoroso e razionale. L’identità – nella fattispecie la nostra di italiani – si esprime per esempio nella bellezza dei nostri borghi: un tema introdotto da Alessandro Amorese e poi sviscerato da Gabriele Tagliaferri, docente, architetto e urbanista: se le città italiane (ed europee in generale) sono per loro natura tradizionalmente «borghi dei 15 minuti» perché aderiscono razionalmente a una realtà viva e pulsante; l’incubo orwelliano della «città dei 15 minuti» che i regimi woke vogliono imporre a suon di telecamere e credito sociale ne è l’esatto rovesciamento: la prima è la razionale realizzazione della libertà, la seconda è il pervicace perseguimento di ingegneria sociale antiumana.
Ne usciremo? I relatori sembrano ottimisti: i giovani si riaffacciano alla maestria nell’arte, il popolo chiede quartieri tradizionali e non ecomostri lecorbusiani. Le radici cattoliche vengono rivendicate e sempre più persone gridano che il re del wokismo è nudo. I «khmer rossi» della cultura possono essere sconfitti.
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«Sono contenta che abbia prevalso il buon senso, che si sia riusciti a garantire le risorse che sono necessarie, ma a farlo con una soluzione che ha una base solida sul piano giuridico e finanziario». Lo ha detto il premier ai cronisti in merito all’intesa in Ue sul prestito da 90 miliardi all’Ucraina.
Giorgia Meloni si è anche espressa sul rinvio dell’intesa Ue-Mercosur: «Si sta lavorando per posticipare il summit, il che ci offre altre settimane per cercare di dare le risposte richieste dai nostri agricoltori, le salvaguardie che sono necessarie per i nostri prodotti e consentirci così di poter approvare l’accordo quando, come abbiamo detto, avremo tutte le garanzie».
Giorgia Meloni (Ansa)
- Giancarlo Giorgetti: «Non aumentiamo i requisiti per uscire dal lavoro». Lucio Malan: «Meglio eliminare pure i ritocchi alle finestre mobili».
- La proposta di legge targata Fdi, che rischiava di far pagare a chi è puntuale le bollette dei morosi, finisce nel cassetto. Matteo Salvini: «No a nuova burocrazia». Galeazzo Bignami: «Confronto necessario». Confedilizia: «L’obbligo del revisore inciderebbe sui più poveri».
- Il ministro dell’Università rivendica il nuovo semestre filtro per accedere alla facoltà di Medicina: «È prevista anche una graduatoria di recupero, gli studenti non perderanno l’anno».
Lo speciale contiene tre articoli
Il governo corre ai ripari per placare le polemiche (anche all’interno della maggioranza da parte della Lega) sull’emendamento relativo alle pensioni anticipate e al riscatto della laurea breve.
La battaglia, cominciata mercoledì sera con l’attacco del senatore e relatore della manovra, Claudio Borghi, si è trascinata per tutta la giornata di ieri fino a notte fonda con una riunione di maggioranza e sotto il fuoco di fila delle opposizioni.
Nel pomeriggio è intervenuto anche il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, per ribadire un no secco a qualsiasi intervento volto ad allungare i requisiti per il pensionamento. «Siamo già uno dei Paesi europei dove si lavora più a lungo», ha detto, «il sistema è virtuoso, regge, quindi se servono dei soldi, si trovano in altre tasche».
Al tempo stesso, in modo provocatorio, il Pd, per bocca di Francesco Boccia, annunciava che avrebbe votato la richiesta di soppressione della Lega. Un clima rovente che si è trascinato fino a sera inoltrata quando sono trapelate le prime indiscrezioni. Il governo ha deciso di sopprimere le misure sul riscatto della laurea breve mentre resta aperto il tema delle «finestre mobili», come annunciato da Borghi. «È un passo nella giusta direzione aver tolto la questione del riscatto pensionistico, ma c’è la questione delle finestre», ha detto il senatore.
Il capogruppo di Fdi al Senato, Lucio Malan, ha dato per possibile l’arrivo di una modifica da parte del governo, anche su questo punto. «L’auspicio è di attenuare la misura, il massimo sarebbe toglierla», ha detto.
Ci si riferisce all’attesa tra la maturazione dei requisiti per la pensione anticipata (42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e un anno in meno per le donne) e la decorrenza dell’assegno. Vediamo il dettaglio. Ora la finestra per avere la pensione anticipata è di 3 mesi ma, secondo la misura nella manovra che la Lega vorrebbe cancellare, aumenterebbe a partire dal 2032. Dal 1° gennaio 2032 al 31 dicembre 2033 la finestra salirebbe a 4 mesi, poi per chi maturerà i requisiti nel 2034 arriverebbe a 5 mesi e infine dal 1° gennaio 2035 a 6 mesi. Ma l’allungamento dei requisiti scatta anche prima del 2032, in virtù dell’adeguamento alla speranza di vita.
Un’altra norma presente nella legge di bilancio (nella versione iniziale) prevede un mese in più nel 2027 (42 anni e 11 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 11 mesi per le donne), mentre nel 2028 serviranno 3 mesi in più di contributi (43 anni e 1 mese per gli uomini e 42 anni e 1 mese per le donne).
Alcune dichiarazioni del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, rilasciate prima della riunione della maggioranza, lascerebbero intendere che anche per le «finestre mobili» tutto resterebbe com’è ora. «Non è nostra intenzione aumentare i requisiti pensionistici, anzi al contrario», ha detto Giorgetti. «Una parte degli oneri indotti derivano da una norma che abbiamo voluto inserire l’anno scorso che invece è fondamentale, cioè la possibilità di cumulare quanto si versa obbligatoriamente per la pensione con i versamenti ai fondi di previdenza complementare. Questa sommatoria, che era prima vietata, oggi è possibile e questo permette appunto di valorizzare anche la possibilità di pensionamento», ha aggiunto il ministro, «la previdenza integrativa è una delle travi portanti della manovra invece di aspetti di dettaglio che hanno fatto molto parlare».
Poi, incalzato, ha precisato che «sulle finestre mobili ci sono degli emendamenti e il sistema può essere cambiato quando si vuole prima della scadenza del 2033». Ed è per cambiarlo subito che la Lega ha puntato i piedi e si è trattato in Commissione fino a notte fonda.
Intanto sono stati riformulati altri emendamenti a cominciare da quello sulla produzione e commercio di armi. Nella nuova versione, «i ministeri della Difesa e delle Infrastrutture individueranno, tramite decreti, quelle «attività, aree e relative opere e progetti infrastrutturali per la realizzazione, l’ampliamento, la conversione, la gestione, lo sviluppo delle capacità industriali della difesa». Sarebbe un passo verso la richiesta di Washington di destinare il 5% del Pil degli Stati membri della Nato alla spesa militare.
Sono state ripristinate le risorse per le tv locali per il 2026. L’emendamento governativo prevedeva tagli per 20 milioni annui agli stanziamenti per il settore per il prossimo triennio. Restano però i tagli previsti per il 2027 e 2028.
Cambia ancora la norma sulla rottamazione quinquies. In una delle ultime riformulazioni depositate in commissione Bilancio del Senato viene rivisto l’emendamento della Lega. La proposta di modifica del Carroccio prevedeva un abbassamento del tasso di interesse annuo applicato alle rate dal 4% (nell’attuale ddl bilancio) al 2%. La riformulazione invece lo fissa al 3%. Il testo è stato approvato.
L’approdo della legge di bilancio in Aula a Montecitorio per la discussione generale con la richiesta di fiducia è previsto per domenica 28 alle 16.30, e il via libera, sul filo di lana, martedì 30.
Condomini, la maggioranza ora si ravvede
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