2020-05-18
Dove lo metto il bambino questa estate?
Le Regioni e i Comuni si organizzano per allestire i centri per l'infanzia. Un servizio «fondamentale» per le famiglie ma non ci sono ancora le linee guida e i fondi del governo.Il sacerdote responsabile dei ritrovi parrocchiali, don Stefano Guidi: «Sono 8.000 in tutta Italia, 2.500 solo in Lombardia dove accogliamo 500.000 minori. Ma quest'anno saranno di più perché molti non andranno in ferie».Le lettere delle associazioni di genitori contro le limitazioni imposte alle attività dei figli.Lo speciale contiene tre articoli.Stando al decreto Rilancio, i genitori potranno utilizzare il bonus baby sitter di 1.200 euro anche per pagare le rette dei centri estivi. Peccato che alla data odierna ben poco ancora si sappia di come saranno organizzati i servizi per l'infanzia. I bambini sono stati bloccati in casa, tenuti lontano per due mesi dalla scuola e dai loro coetanei, almeno a partire da giugno dovrebbero poter contare su un progetto educativo e sociale che tenga conto delle loro necessità. Il ministro della Famiglia, Elena Bonetti, ha elaborato un Piano per l'infanzia (assieme ad Anci, Società italiana dei pediatri, i ministeri dell'Istruzione, della Salute e del Lavoro), che prevede dal 18 maggio, cioè da oggi, attività all'aperto in parchi e spazi condominiali per i piccoli a partire dai 3 anni e dal primo giugno la riattivazione dei servizi educativi e dei centri estivi per la fascia 0-6 anni. Solo venerdì scorso è arrivata l'approvazione del Cts, il Comitato tecnico scientifico, nel frattempo l'estate è alle porte e non sarà facile far decollare strutture appesantite da rigidi controlli di igiene e di formazione del personale. Il rischio, molto reale, è che i ritardi si accumulino costringendo ancora al chiuso i bimbi e mandando in ulteriore affanno i genitori che devono lavorare. La Regione Emilia Romagna sta ipotizzando attività preferibilmente all'aperto, aerazione costante e sanificazione degli ambienti in caso di soggiorno al chiuso, bambini organizzati in piccoli gruppi seguiti dallo stesso educatore, con fasce orarie diversificate. E ancora, triage all'ingresso, attenzione ai contatti, utilizzo da parte degli educatori dei dispositivi di protezione individuale, sanificazione dei giocattoli a fine giornata, stop agli spettacoli di fine soggiorno. Una simile riorganizzazione comporta necessariamente costi aggiuntivi, il sostegno promesso dal ministro Bonetti è indispensabile ha fatto sapere la vicepresidente con delega al Welfare, Elly Schlein. In Piemonte «verranno utilizzati gli edifici scolastici, cercando di rimodulare gli spazi interni ed esterni in funzione della tutela della salute e sicurezza, e si verificherà per specifiche attività, anche l'utilizzo di spazi aperti esterni alla scuola in collaborazione con l'assessorato all'Ambiente», informa Antonietta Di Martino, assessore all'Istruzione del Comune di Torino. «Inoltre la città è inserita nel progetto “Scuole aperte" del Politecnico che ha avviato delle simulazioni per riprogrammare il funzionamento dei servizi, sempre nel rispetto delle misure di mitigazione del rischio e nel rispetto dei bisogni dei bambini e delle loro famiglie», precisa Di Martino. Per avviare le iscrizioni, bisogna capire quali attività potranno essere riprese e quale protocollo andrà seguito per prevenire i contagi.A Roma, il Municipio I ha lanciato un sondaggio per conoscere le esigenze delle famiglie ed è stato sommerso da richieste di genitori che segnalano la necessità di spazi ai quali affidare i figli perché non siano abbandonati a un'estate chiusi in casa. «Ci sono bambini che soffrono di condizioni difficili, in povertà, abbandonati a sé stessi. Non si tratta solo di sostenere i genitori che torneranno al lavoro e di nonni che dovranno essere tutelati dal contatto con i nipoti. Serviranno spazi rigenerativi per i ragazzi e, a partire da giugno, servizi educativi, centri estivi e altre risorse suddivise per fasce di età», ha dichiarato la Regione Umbria, impegnandosi a formulare un piano per l'attivazione dei centri estivi. «Speriamo che il governo nazionale emani presto le linee guida necessarie», è stato l'auspicio ribadito dalla giunta umbra. Il garante dei diritti delle Marche, Andrea Nobili, ha proposto di istituire un gruppo di lavoro regionale per elaborare linee guida dedicate ai minori, evidenziando la necessita di riservare loro maggiore attenzione.«Il Veneto ha elaborato un protocollo unico per i servizi per i bimbi 0 - 6 anni per sperimentare la riapertura di nidi e centri per la prima infanzia, condiviso con il governo centrale», spiega l'assessore regionale all'Istruzione, Elena Donazzan. «Le riaperture potranno partire, in via sperimentale, nelle province dove la circolazione del virus risulta inferiore, cioè Venezia e Rovigo, per poi estendersi progressivamente alle altre realtà provinciali, ultime in ordine di tempo Verona e Belluno, dove gli indici di contagio al momento risultano maggiori». L'organizzazione dei servizi dovrà prevedere piccoli gruppi stabili di 5 bambini con un educatore di riferimento, nella massima sicurezza. «In Veneto siamo pronti per partire anche domani mattina», assicura Donazzan e precisa: «C'è una grande disponibilità di spazi con le nostre scuole materne, i nidi. I costi per le famiglie li stiamo quantificando, a Roma nemmeno ci pensano a inviare i sostegni finanziari promessi». Anche l'Anci, l'associazione nazionale dei Comuni italiani, nel riconoscere come «urgente la necessità immediata di offrire una risposta ai bambini e alle famiglie, soprattutto per quanto riguarda sperimentazioni nei servizi educativi per l'infanzia e centri estivi», definisce «fondamentale» la questione relative alle risorse. L'incremento dei costi conseguente alla riorganizzazione dei servizi ricreativi e poi di quelli scolastici «dovranno necessariamente essere supportati con interventi economici». Venerdì scorso il ministro Bonetti assicurava: «Abbiamo chiuso un percorso di elaborazione di linee guida. Abbiamo ricevuto le raccomandazioni da parte del comitato tecnico scientifico che hanno quindi confermato la possibilità di trovare forme di organizzazione sicure per i centri estivi, per l'attività di gioco per i bambini sopra i 3 anni. Oggi (il 15 maggio, ndr) in consiglio dei ministri discuteremo di questo in modo tale che già dal 18 si possano aprire alcune attività, diciamo all'aria aperta nei parchi e poi, a partire dal primo giugno, attività organizzate proprio per i più piccoli». Sarà una corsa ad ostacoli, per trovare centri, sistemare strutture, accogliere bambini con una voglia matta di scatenarsi all'area aperta con i compagni di gioco. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/dove-lo-metto-il-bambino-questa-estate-2646019754.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gli-oratori-sono-pronti-ad-aprire-nel-rispetto-delle-norme-sanitarie" data-post-id="2646019754" data-published-at="1589738329" data-use-pagination="False"> «Gli oratori sono pronti ad aprire nel rispetto delle norme sanitarie» Don Stefano Guidi Don Stefano Guidi, 40 anni, dallo scorso anno coordinatore degli oratori delle diocesi lombarde (Odielle), sta lavorando per una riapertura di centri estivi che permetta il ritorno al lavoro di quelle famiglie in cui entrambi i genitori sono occupati. «La proposta del sacerdote va nella direzione giusta. Questa può essere una soluzione, assieme ad altre», ha segnalato il governatore della Regione Lombardia, Attilio Fontana. Don Guidi, qual è vostro progetto? «Siamo in grande fermento di iniziative per riconvertire l'attività estiva che eravamo abituati a proporre, secondo le indicazioni che arriveranno dal protocollo sanitario nazionale e in base alle competenze specifiche non ancora stabilite da governo e Regione». Prima che cosa offrivate? «Sul territorio lombardo ci sono circa 2.500 oratori, un bel numero rispetto agli 8.000 presenti in tutto il territorio nazionale. A Milano città possiamo contarne 160, nella diocesi circa 1 migliaio. Ogni estate in Lombardia coinvolgiamo 500.000 minori, dai 7 anni ai 18. Gli adolescenti, che frequentano la secondaria superiore, sono preziosi negli oratori estivi in quanto svolgono il ruolo di animatori dei più piccoli. Poi ci sono i volontari nelle parrocchie, un numero enorme, incalcolabile. Tutti contribuiscono al funzionamento dei nostri centri». Le nuove regole che cosa vi impongono? «Quest'anno dobbiamo evitare l'assembramento delle persone, stiamo immaginando un'attività educativa per piccoli gruppi omogenei anche come età, che frequentino a turno i centri e le attività proposte. Dobbiamo verificare se il progetto sarà fattibile nelle condizioni di sicurezza che verranno fornite e se si sono le condizioni operative. La nostra proposta è innanzitutto per le famiglie che hanno bisogno di riprendere a lavorare e non hanno possibilità di affidare i propri figli a parenti o baby sitter. Poi vogliamo offrire ai minori l'esperienza di recupero almeno parziale della socializzazione». Avete abbastanza oratori a disposizione? «Abbiamo bisogno di più spazi, perché forse aumenteranno le richieste delle famiglie e per poter rispettare le nuove norme di igiene e sicurezza. Dalla Regione ai Comuni, dai dirigenti scolastici alle associazioni sportive stiamo ricevendo sul territorio molte offerte di strutture e di educatori». Quindi il progetto c'è, la disponibilità e l'impegno di molti sul territorio pure, se arriva questo benedetto protocollo nazionale quando prevede che possano aprire i centri estivi lombardi? «Servirà anche più di un mese per essere pronti, non possiamo fare previsioni certe. Le famiglie hanno grandi aspettative, però noi restiamo in attesa di risposte dalle istituzioni per poterci organizzare». Che orari avranno? «Stiamo lavorando a un'offerta di attività quotidiana, da mattina a tardo pomeriggio fino alla ripresa dell'anno scolastico. Proposte per moduli, a seconda delle necessità della famiglia. Molti genitori non avranno ferie, dovranno lavorare in agosto o non avranno i mezzi per fare una vacanza. Per i bambini deve esserci uno spazio ricreativo ed educativo per tutta l'estate. Magari non sarà possibile in ogni oratorio, dipenderà dalla disponibilità di educatori e di volontari». Come vengono pagati gli educatori? «La spesa è sostenuta dalla parrocchia, spesso le amministrazioni comunali contribuiscono ai costi anche perché c'è una legge che riconosce il valore sociale degli oratori, soprattutto d'estate». Vi sono stati promessi ulteriori sostegni economici? «Sì, dalle istituzioni locali e regionali. Una disponibilità confermata ma non ancora quantificata. Gli oratori sono una forza, espressione della comunità cristiana che si mette a servizio, consolidata nel tempo e non sostituibile da un giorno all'altro con iniziative di carattere pubblico». I costi per le famiglie? «Sono variabili. Viene chiesta una forma di contribuzione che varia dai 10 ai 50 euro la settimana, dipende dalle attività proposte, se viene offerto il servizio mensa, la gita in piscina o altro. Chi non può permettersi la spesa, può comunque mandare il figlio all'oratorio». Che cosa fa un ragazzino nei vostri centri estivi? «Si incontra con i suoi coetanei e con ragazzi di età diversa, fa un'esperienza comunitaria diversa dalla scuola. Il gioco organizzato, la musica, il ballo, il teatro, laboratori manuali, sport, sono alcune delle attività che scandiscono la giornata». Si passa molto tempo a pregare? «Premesso che la qualità della preghiera non si misura a ore, nella giornata tipo dell'oratorio ci sono almeno tre momenti previsti: la riflessione a inizio e a fine giornata preceduta dalla preghiera e quella dedicata agli animatori, cioè gli adolescenti che si mettono a disposizione dei più piccoli. In oratorio non si passa il tempo a pregare». Bambini non cristiani sono accettati? «Da sempre. E il momento della preghiera è condiviso con grande rispetto reciproco. I genitori islamici ci mandano i loro figli, i centri estivi sono momento di socializzazione». C'è stata una riscoperta degli oratori? «C'è maggiore attenzione sociale. Oggi che siamo in un tempo di prova, più persone si accorgono che la Chiesa può essere un riferimento anche nel fornire risposte per il momento ricreativo dei propri figli». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/dove-lo-metto-il-bambino-questa-estate-2646019754.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="e-impossibile-giocare-se-devono-tenere-mascherina-e-braccialetto" data-post-id="2646019754" data-published-at="1589738329" data-use-pagination="False"> «È impossibile giocare se devono tenere mascherina e braccialetto» «Non comprendiamo la ragione del protrarsi di misure restrittive nei confronti dei nostri figli, a cui viene impedito di svolgere una sana vita sociale». Una lettera aperta sui diritti calpestati dei bambini, sottoscritta da psicologi, associazioni, singoli cittadini di Trieste, è stata inviata al governatore della Regione Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, e al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. L'iniziativa parte dal Ciatdm, il coordinamento internazionale di associazioni per la tutela dei diritti dei minori, preoccupato che l'apertura di asili e centri estivi finisca subordinata «alla adozione di misure sanitarie abnormi» e «non costringa le famiglie a scegliere tra l'emarginazione dei propri figli o l'imposizione di misure certamente controproducenti per la loro salute». L'avvocato Alessandra Devetag, responsabile per Trieste del Ciatdm, spiega che all'appello stanno continuando ad aderire «in tantissimi», il tema è molto sentito. «I bambini sono la categoria più dimenticata in tutta questa emergenza», ricorda la Devetag, «su di loro si è scatenata la repressione più insensata. Potevamo portare fuori il cane per i suoi bisogni, ma i nostri figli no, non avevano il diritto di muoversi da casa. Le ripercussioni sono e saranno molto pesanti, da una perizia ufficiale è emerso uno “stress post traumatico quattro volte più alto" rispetto a chi non ha patito l'isolamento, oltre a “problemi neurologici e psichiatrici". Cerchiamo almeno di assicurare loro un'estate all'aperto in centri organizzati, ma non per farne dei poveri infelici». L'avvocato è contrario all'obbligo di mascherina «che i bambini sarebbero tenuti a indossare all'aperto, sotto il sole cocente di giugno, mentre corrono e saltano. Così pure i braccialetti che vibrano quando i bambini si avvicinano troppo. Una mostruosità, bambini che si abituano a reagire a una tecnologia e si allontanano dal loro simile? Chiediamoci che cosa sia disposti a sacrificare in nome della tutela della salute collettiva», si indigna la Devetag. La Regione Friuli Venezia Giulia ha risposto dicendo di condividere «molte delle preoccupazioni esposte, motivo per il quale abbiamo sollecitato più volte il governo nazionale ad anticipare la riapertura di attività educative». Occorre però farlo in sicurezza, la precisazione è sempre quella e senza un protocollo nazionale si allungano i tempi in cui si potrà restituire ai minori una normale quotidianità. Anche a Torino le famiglie si sono mosse. Manuela è una delle cinque mamme, con figli nella seconda elementare dell'Istituto comprensivo Ricasoli, che hanno inviato una lettera al presidente della circoscrizione, della Regione Piemonte e al sindaco della città. In pochi giorni è stata sottoscritta da quasi 600 genitori. «Vogliamo segnalare lo stato di sofferenza in cui si trovano i bambini, di cui si è poco parlato durante la chiusura in casa, spesso in spazi ristretti, e ancora meno in questa fase due», fa sapere la signora Manuela. «Molti piccoli adesso non potranno contare su vacanze per i problemi economici dei genitori e forse nemmeno su centri estivi. Non abbiamo una prospettiva certa di rientro a scuola, alla socialità e a una qualche forma di normalità». Nella lettera si legge: «A fronte dell'impegno delle famiglie e delle insegnanti, abbiamo amaramente constatato un preoccupante disinteresse delle istituzioni nei confronti delle “persone piccole", scomparse dall'agenda politica e dimenticate dai discorsi pubblici del governo». Si parla anche di didattica a distanza «che non può essere la soluzione per gestire istruzione e apprendimento, tanto più ora che abbiamo ben chiaro quanto possa essere lunga l'uscita dall'emergenza pandemica».
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Il Comune di Merano rappresentato dal sindaco Katharina Zeller ha reso omaggio ai particolari meriti letterari e culturali della poetessa, saggista e traduttrice Mary de Rachewiltz, conferendole la cittadinanza onoraria di Merano. La cerimonia si e' svolta al Pavillon des Fleurs alla presenza della centenaria, figlia di Ezra Pound.