2024-03-05
Tutti zitti sulla vera macchina del fango
Quando i giornali di centrodestra pubblicano qualche scoop scomodo, fioccano gli allarmi democratici. Ora invece si finge di non vedere l’intreccio oscuro tra finanzieri e cronisti che hanno libero accesso ai dati sensibili di ministri, parlamentari e imprenditori.Per anni ci hanno fracassato gli zebedei con la storia della macchina del fango, ovvero con una specie di spectre che partendo dai giornali di centrodestra avrebbe confezionato dossier su esponenti di centrosinistra. Ovviamente falsi. E altrettanto ovviamente le insinuazioni erano sciocchezze, inventate per cercare di nascondere storie inquietanti tra affari e politica, che andavano dalla strana vicenda Telekom Serbia ai traffici del Pd intorno al sistema bancario. Ma adesso che una macchina del fango vera c’è e la si è toccata per mano, gli stessi allarmati speciali che ai tempi si stracciavano le vesti, cosa fanno? Fischiettano, facendo finta di niente, anzi invocando il diritto di cronaca. La faccenda è quella dell’inchiesta di Perugia, che da giorni il nostro giornale sta raccontando. Un finanziere in servizio presso la direzione nazionale antimafia ha spiato centinaia di esponenti politici, industriali e vip non per esigenze di servizio, ma per motivi oscuri e di quei dossier a quanto pare non soltanto era a conoscenza qualche magistrato, il quale si è guardato bene dal denunciare gli accessi illegali, ma anche alcuni giornalisti, che per mesi, forse anni, hanno campato di presunte inchieste. Di questi ultimi abbiamo scritto ieri, perché un documento utilizzato per giustificare verifiche sul conto del ministro della Difesa Guido Crosetto è contenuto in un file creato da un cronista del Domani, quotidiano di proprietà di Carlo De Benedetti. Per inciso, il direttore della suddetta testata anni fa scrisse parecchi articoli e addirittura immaginò di vergare un libro per spiegare che cosa fosse la macchina del fango, accusando i colleghi della stampa moderata di non lavorare per l’informazione, ma per la politica, naturalmente di destra. Beh, oggi c’è materia non per un volume ma per un’enciclopedia, in quanto le indagini abusive sul conto di ministri, parlamentari e imprenditori sono state usate per confezionare articoli e forse in qualche caso per indirizzare i dossier. Insomma, c’è qualche cosa di opaco, che va oltre le curiosità legittime dei cronisti per i segreti, ma che lascia intravedere un sistema, collegato ad alcuni inquirenti e ad alcune testate. Non si trattava di conoscere dettagli reddituali degli spiati, ma di avere accesso a tutte le informazioni contenute nelle banche dati che sono messe a disposizione dell’autorità giudiziaria. Bastava un click e il militare della Guardia di Finanza sfornava dossier compresi di ogni dettaglio sulla vita economica e sugli interessi di chiunque, anche senza che vi fosse alcuna indagine a carico dello spiato. Che fine hanno fatto queste informazioni? Alcune, come si diceva, sono servite per scrivere qualche articolo e condizionare qualche nomina. Ma le altre? Chi le ha richieste? Chi le ha maneggiate? Soprattutto che uso ne è stato fatto dai mandanti dell’oscura manovra? Invece di rispondere a queste legittime domande, da quando l’inchiesta è deflagrata, con i riferimenti alle persone spiate, è stata sollevata una cortina fumogena per sminuire i fatti e lasciar credere che tutto fosse un semplice lavoro di cronaca fatto da alcuni giornalisti, ma nulla di più.In realtà si ha la sensazione che ci sia di più rispetto a quanto finora emerso. L’affare ne ricorda altri che hanno segnato la storia della Repubblica, lasciando scie inquinanti che pesano ancora. Qualcuno ha parlato della P2, ossia la loggia Propaganda due, con i suoi elenchi di iscritti e di intrighi. Ma forse è più appropriato parlare di un altro scandalo del passato, ossia i cosiddetti dossier Sifar. Questa sigla indicava il servizio segreto degli anni Sessanta, quello a cui, pur avendone cambiato nome, furono addebitati tutti i misteri d’Italia e anche quasi tutte le stragi, a cominciare da quella di Piazza Fontana per finire alla bomba della stazione di Bologna. Anche allora c’era una certa commistione fra spioni e giornalisti e lo scopo dello strano intreccio era quel sostantivo poi divenuto noto nella stagione degli anni Settanta e Ottanta: il depistaggio. Per quel che mi riguarda non sono un amante delle trame, nere o rosse che siano, tuttavia, non sono neppure così fesso da non capire che per parecchio tempo un sistema che lega inquirenti, magistrati e cronisti ha rifornito le redazioni di alcuni giornali e probabilmente anche altri con documenti fatti uscire alla bisogna per inquinare i pozzi. E per me questo basta e avanza per sostenere che la libertà di stampa, l’indipendenza della magistratura e anche quella dell’informazione non c’entrano nulla con questa fogna.