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2025-03-25
Il doppio standard europeo: in Ucraina tifa per la guerra, a Israele chiede di negoziare
L'Alto rappresentante Ue, Kaja Kallas (Ansa)
«Riprendere i negoziati è l’unico modo fattibile per porre fine alle sofferenze da tutte le parti. La violenza alimenta altra violenza, i nuovi combattimenti stanno causando un’incertezza insopportabile per gli ostaggi e le loro famiglie, e orrore e morte per il popolo palestinese». Lo ha detto ieri l’Alto rappresentante Ue, Kaja Kallas, in conferenza stampa a Gerusalemme con il ministro degli esteri israeliano Gideon Sa’ar. Poi il capo della diplomazia europea ha affermato: «Gli israeliani devono potersi sentire al sicuro nelle loro case. Israele ha il diritto all’autodifesa contro gli attacchi terroristici, che provengano da Hamas, dagli Huthi o da Hezbollah. Tuttavia, le azioni militari devono essere proporzionate». Kallas ha poi spiegato che l’Unione europea è a favore del piano egiziano per la ricostruzione di Gaza e che Bruxelles non prevede alcun ruolo per Hamas nella futura governance della Striscia. Poi a una domanda sugli attacchi israeliani in Siria ha risposto: «Queste cose sono inutili perché la Siria in questo momento non sta attaccando Israele, e questo alimenta una maggiore radicalizzazione, anch’essa contro Israele, che non vogliamo vedere». Ciò che colpisce è che mentre con il conflitto Israele/Hamas l’Unione Europea vuole che si riprendano i negoziati, per quanto riguarda il conflitto russo/ucraino si parla solo di armi, truppe e soldati.
Gideon Sa’ar durante la conferenza stampa ha detto che «Israele non ha ancora deciso se imporre o meno un governo militare a Gaza», poi il ministro ha ribadito che che Israele sta rispettando il diritto internazionale, riferendosi all’articolo 70 del Protocollo di Ginevra del 1949. Sa’ar ha ribadito che i 25.000 camion che Israele ha fatto entrare durante la tregua sono adeguati per le esigenze dei gazawi: «Nessun Paese è obbligato a facilitare una guerra contro se stesso, Israele non deve essere tenuto a uno standard diverso». Il ministro degli Esteri ha inoltre detto che è «naturale» che Israele si aspetti il sostegno dell’Unione Europea nel conflitto in corso contro il terrorismo islamico: «Stiamo combattendo la guerra del mondo libero. Iran, Huthi, Hamas e Hezbollah ci attaccano perché siamo vicini. Ma non fatevi illusioni, la guerra è contro la civiltà occidentale. Contro i suoi valori e i suoi stili di vita». Ieri l’ambasciata di Israele presso la Santa Sede, replicando all’appello del Papa all’Angelus, ha affermato che a Gaza che viene rispettato il diritto internazionale. Il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, ha risposto: «Speriamo sia così. Siamo molto preoccupati per la violazione ormai sistematica del diritto internazionale, abbiamo parlato con la Croce Rossa e sono molto in difficoltà: bombardamenti sui civili, uccisione degli operatori, sono azioni che vanno contro il diritto umanitario, non c’è più rispetto del diritto umanitario». Sul fronte del possibile negoziato una fonte di Hamas ha dichiarato all’Ap che il gruppo terroristico ha risposto affermativamente alla proposta egiziana di un cessate il fuoco a Gaza. Il notiziario panarabo Al-Araby al-Jadeed ha riferito che l’offerta include la cessazione immediata dei combattimenti a Gaza, che servirà come base per negoziati estesi con l’obiettivo di stabilire un calendario per il rilascio del resto degli ostaggi. Inoltre, la proposta include l’impegno di Hamas a fornire a Israele informazioni dettagliate sulle condizioni di tutti gli ostaggi, sia vivi che morti, insieme a prove fotografiche che dimostrino la veridicità delle informazioni inviate. Ieri Hamas ha diffuso un video di propaganda in cui compaiono Elkana Bohbot e Yosef-Haim Ohana, due ostaggi israeliani rapiti il 7 ottobre durante il festival Nova e tuttora detenuti a Gaza. Il gruppo jihadista ha già pubblicato in passato filmati simili, in quella che Israele definisce una deplorevole strategia di guerra psicologica. Fonti della sicurezza hanno aggiunto che anche gli Stati Uniti avrebbero accettato il piano dell’Egitto, ma un funzionario israeliano ha dichiarato lunedì al Times of Israel: «Non abbiamo sentito parlare di nuove proposte». Infine, sempre a proposito di trattative, l’inviato speciale degli Stati Uniti in Medio Oriente, Steve Witkoff, ha dichiarato in un’intervista che Hamas potrebbe averlo «ingannato» all’inizio di questo mese, poiché inizialmente pensava che il gruppo terroristico avesse accettato la sua proposta ponte per estendere il cessate il fuoco a Gaza, salvo poi tirarsi indietro come accaduto molte altre volte. «Credevo avessimo un accordo accettabile. Pensavo persino che avessimo l’approvazione di Hamas. Forse sono solo io che mi faccio ingannare. Pensavo che fossimo arrivati, ed evidentemente non era così», ha detto Witkoff a Fox News Sunday.
Del futuro del Medio Oriente ieri hanno parlato sia il presidente americano Donald Trump che il suo vice, JD Vance. Il tycoon ha dichiarato: «Non c’erano problemi in Medio Oriente quando ho lasciato l’incarico nel 2021 e ora ci sono molte sfide da affrontare». Mentre Vance ha detto che «altri Paesi sottoscriveranno gli Accordi di Abramo» per la normalizzazione dei rapporti con Israele. Poi ha attaccato l’amministrazione Biden: «Si pensi agli Accordi di Abramo, una delle grandi conquiste diplomatiche sotto la prima amministrazione Trump. L’Amministrazione Biden non ha fatto assolutamente nulla al riguardo. Non ci ha costruito niente. Non ha aggiunto nessun altro Paese. Solo per dispetto politico».
Spara sulla folla ad Haifa: due morti. Ipotesi maxi assalto di terra a Gaza
I segnali dopo la tregua saltata tra Israele e Hamas allontanano ogni spiraglio di cessate il fuoco: lo Stato ebraico starebbe infatti pianificando una nuova offensiva di terra su vasta scala a Gaza, schierando decine di migliaia di militari. Questo è quanto ha riferito un funzionario israeliano alla Cnn, spiegando che l’attacco su vasta scala sarebbe tra le opzioni sul tavolo di Benjamin Netanyahu. Anche l’ex capo del Consiglio di sicurezza nazionale di Israele, Eyal Hulata ha fatto presente al canale americano: «Se non ci saranno nuovi negoziati per gli ostaggi, l’unica alternativa sarà riprendere i combattimenti. E ci sono piani seri».
Intanto Hamas ha perso un altro dei suoi capi: Israele ha confermato ieri l’uccisione di Ismail Barhoum, membro dell’ufficio politico dell’organizzazione terroristica, nonché successore del premier de facto a Gaza Issam Da’alis, durante l’attacco di domenica notte all’ospedale Nasser nel Khan Younis. L’Idf e lo Shin Bet hanno spiegato il ruolo del terrorista in una dichiarazione congiunta: «Barhoum era una figura chiave nell’ufficio politico di Hamas ed era attivamente coinvolto nel processo decisionale militare». E avrebbe assunto anche la veste di capo delle finanze «incanalando fondi verso l’ala militare di Hamas, finanziando e pianificando l’esecuzione di attacchi terroristici contro lo Stato di Israele».
L’offensiva di Gerusalemme su Gaza è proseguita anche ieri, con un carro armato israeliano che, secondo l’emittente televisiva Aqsa, avrebbe colpito un edificio della Mezzaluna rossa ad Al Mawasi, nel Sud della Striscia di Gaza. Lo stesso Comitato internazionale della croce rossa (Cicr) ha riferito che un proiettile esplosivo ha danneggiato un suo ufficio di Rafah, commentando in una nota: «Fortunatamente, nessun membro dello staff è rimasto ferito in questo incidente, ma ciò ha un impatto diretto sulla capacità del Cicr di operare». E chi invece ha deciso di ridurre la presenza del personale alla luce dei nuovi attacchi israeliani sulla Striscia è l’Onu. Il portavoce dell’organizzazione internazionale, Stephane Dujarric ha affermato: «Il segretario generale Antonio Guterres ha preso la difficile decisione di ridurre la presenza dell’organizzazione a Gaza, nonostante le esigenze umanitarie aumentino e la nostra preoccupazione per la protezione dei civili si intensifichi». Ma i raid di Israele hanno riguardato ieri anche la Siria, dove sarebbe stato colpito un sito militare nel Sud Est siriano, nella zona di Daraa.
E spostando lo sguardo all’interno dei confini israeliani, alle contestazioni politiche si è aggiunto un attentato nel Nord del Paese, ma anche un missile intercettato. Ieri, un uomo di 25 anni arabo-israeliano ha investito a bordo di un’auto un soldato israeliano e una volta sceso dal veicolo ha accoltellato il militare, strappandogli il fucile per poi aprire il fuoco contro un’altra vettura, uccidendo un uomo di 85 anni. Mentre nel centro di Tel Aviv sono suonate le sirene a causa di un missile proveniente dallo Yemen.
Intanto il tentativo del premier israeliano Benjamin Netanyahu di rimuovere il capo dello Shin Bet, Ronen Bar e la procuratrice generale Gali Baharav-Miara continua a sollevare critiche. Il leader del partito di Unità nazionale, Benny Gantz, ha avvertito: «La sicurezza di Israele è in pericolo a causa della frattura interna», descrivendo la dinamica attuale come un «6 ottobre sotto steroidi». Anche il deputato Gadi Eisenkot è intervenuto, dichiarando: «Mentre la maggioranza dei cittadini sostiene il ritorno immediato degli ostaggi, insieme a una lotta determinata contro il terrorismo e la sconfitta di Hamas, il governo è concentrato sulla guerra contro le istituzioni e il sistema giudiziario». E ieri Bibi ha spiegato alla Corte suprema, che ha sospeso il licenziamento di Bar, che la rimozione dall’incarico da capo dello Shin Bet: «Non è un caso giudiziario, l’autorità spetta al primo ministro e al governo».
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La Kallas ha esortato Gerusalemme a trattare e a rispondere ad Hamas «in modo proporzionato». Lo Stato ebraico smentisce: mai ricevuto un piano di tregua egiziano.Spara sulla folla ad Haifa: due morti. Ucciso l’assalitore. La Cnn: «L’Idf prepara una nuova offensiva con 50.000 soldati a Gaza».Lo speciale contiene due articoli.«Riprendere i negoziati è l’unico modo fattibile per porre fine alle sofferenze da tutte le parti. La violenza alimenta altra violenza, i nuovi combattimenti stanno causando un’incertezza insopportabile per gli ostaggi e le loro famiglie, e orrore e morte per il popolo palestinese». Lo ha detto ieri l’Alto rappresentante Ue, Kaja Kallas, in conferenza stampa a Gerusalemme con il ministro degli esteri israeliano Gideon Sa’ar. Poi il capo della diplomazia europea ha affermato: «Gli israeliani devono potersi sentire al sicuro nelle loro case. Israele ha il diritto all’autodifesa contro gli attacchi terroristici, che provengano da Hamas, dagli Huthi o da Hezbollah. Tuttavia, le azioni militari devono essere proporzionate». Kallas ha poi spiegato che l’Unione europea è a favore del piano egiziano per la ricostruzione di Gaza e che Bruxelles non prevede alcun ruolo per Hamas nella futura governance della Striscia. Poi a una domanda sugli attacchi israeliani in Siria ha risposto: «Queste cose sono inutili perché la Siria in questo momento non sta attaccando Israele, e questo alimenta una maggiore radicalizzazione, anch’essa contro Israele, che non vogliamo vedere». Ciò che colpisce è che mentre con il conflitto Israele/Hamas l’Unione Europea vuole che si riprendano i negoziati, per quanto riguarda il conflitto russo/ucraino si parla solo di armi, truppe e soldati.Gideon Sa’ar durante la conferenza stampa ha detto che «Israele non ha ancora deciso se imporre o meno un governo militare a Gaza», poi il ministro ha ribadito che che Israele sta rispettando il diritto internazionale, riferendosi all’articolo 70 del Protocollo di Ginevra del 1949. Sa’ar ha ribadito che i 25.000 camion che Israele ha fatto entrare durante la tregua sono adeguati per le esigenze dei gazawi: «Nessun Paese è obbligato a facilitare una guerra contro se stesso, Israele non deve essere tenuto a uno standard diverso». Il ministro degli Esteri ha inoltre detto che è «naturale» che Israele si aspetti il sostegno dell’Unione Europea nel conflitto in corso contro il terrorismo islamico: «Stiamo combattendo la guerra del mondo libero. Iran, Huthi, Hamas e Hezbollah ci attaccano perché siamo vicini. Ma non fatevi illusioni, la guerra è contro la civiltà occidentale. Contro i suoi valori e i suoi stili di vita». Ieri l’ambasciata di Israele presso la Santa Sede, replicando all’appello del Papa all’Angelus, ha affermato che a Gaza che viene rispettato il diritto internazionale. Il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, ha risposto: «Speriamo sia così. Siamo molto preoccupati per la violazione ormai sistematica del diritto internazionale, abbiamo parlato con la Croce Rossa e sono molto in difficoltà: bombardamenti sui civili, uccisione degli operatori, sono azioni che vanno contro il diritto umanitario, non c’è più rispetto del diritto umanitario». Sul fronte del possibile negoziato una fonte di Hamas ha dichiarato all’Ap che il gruppo terroristico ha risposto affermativamente alla proposta egiziana di un cessate il fuoco a Gaza. Il notiziario panarabo Al-Araby al-Jadeed ha riferito che l’offerta include la cessazione immediata dei combattimenti a Gaza, che servirà come base per negoziati estesi con l’obiettivo di stabilire un calendario per il rilascio del resto degli ostaggi. Inoltre, la proposta include l’impegno di Hamas a fornire a Israele informazioni dettagliate sulle condizioni di tutti gli ostaggi, sia vivi che morti, insieme a prove fotografiche che dimostrino la veridicità delle informazioni inviate. Ieri Hamas ha diffuso un video di propaganda in cui compaiono Elkana Bohbot e Yosef-Haim Ohana, due ostaggi israeliani rapiti il 7 ottobre durante il festival Nova e tuttora detenuti a Gaza. Il gruppo jihadista ha già pubblicato in passato filmati simili, in quella che Israele definisce una deplorevole strategia di guerra psicologica. Fonti della sicurezza hanno aggiunto che anche gli Stati Uniti avrebbero accettato il piano dell’Egitto, ma un funzionario israeliano ha dichiarato lunedì al Times of Israel: «Non abbiamo sentito parlare di nuove proposte». Infine, sempre a proposito di trattative, l’inviato speciale degli Stati Uniti in Medio Oriente, Steve Witkoff, ha dichiarato in un’intervista che Hamas potrebbe averlo «ingannato» all’inizio di questo mese, poiché inizialmente pensava che il gruppo terroristico avesse accettato la sua proposta ponte per estendere il cessate il fuoco a Gaza, salvo poi tirarsi indietro come accaduto molte altre volte. «Credevo avessimo un accordo accettabile. Pensavo persino che avessimo l’approvazione di Hamas. Forse sono solo io che mi faccio ingannare. Pensavo che fossimo arrivati, ed evidentemente non era così», ha detto Witkoff a Fox News Sunday. Del futuro del Medio Oriente ieri hanno parlato sia il presidente americano Donald Trump che il suo vice, JD Vance. Il tycoon ha dichiarato: «Non c’erano problemi in Medio Oriente quando ho lasciato l’incarico nel 2021 e ora ci sono molte sfide da affrontare». Mentre Vance ha detto che «altri Paesi sottoscriveranno gli Accordi di Abramo» per la normalizzazione dei rapporti con Israele. Poi ha attaccato l’amministrazione Biden: «Si pensi agli Accordi di Abramo, una delle grandi conquiste diplomatiche sotto la prima amministrazione Trump. L’Amministrazione Biden non ha fatto assolutamente nulla al riguardo. Non ci ha costruito niente. Non ha aggiunto nessun altro Paese. Solo per dispetto politico».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/doppio-standard-europeo-ucraina-israele-2671403914.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="spara-sulla-folla-ad-haifa-due-morti-ipotesi-maxi-assalto-di-terra-a-gaza" data-post-id="2671403914" data-published-at="1742893671" data-use-pagination="False"> Spara sulla folla ad Haifa: due morti. Ipotesi maxi assalto di terra a Gaza I segnali dopo la tregua saltata tra Israele e Hamas allontanano ogni spiraglio di cessate il fuoco: lo Stato ebraico starebbe infatti pianificando una nuova offensiva di terra su vasta scala a Gaza, schierando decine di migliaia di militari. Questo è quanto ha riferito un funzionario israeliano alla Cnn, spiegando che l’attacco su vasta scala sarebbe tra le opzioni sul tavolo di Benjamin Netanyahu. Anche l’ex capo del Consiglio di sicurezza nazionale di Israele, Eyal Hulata ha fatto presente al canale americano: «Se non ci saranno nuovi negoziati per gli ostaggi, l’unica alternativa sarà riprendere i combattimenti. E ci sono piani seri». Intanto Hamas ha perso un altro dei suoi capi: Israele ha confermato ieri l’uccisione di Ismail Barhoum, membro dell’ufficio politico dell’organizzazione terroristica, nonché successore del premier de facto a Gaza Issam Da’alis, durante l’attacco di domenica notte all’ospedale Nasser nel Khan Younis. L’Idf e lo Shin Bet hanno spiegato il ruolo del terrorista in una dichiarazione congiunta: «Barhoum era una figura chiave nell’ufficio politico di Hamas ed era attivamente coinvolto nel processo decisionale militare». E avrebbe assunto anche la veste di capo delle finanze «incanalando fondi verso l’ala militare di Hamas, finanziando e pianificando l’esecuzione di attacchi terroristici contro lo Stato di Israele». L’offensiva di Gerusalemme su Gaza è proseguita anche ieri, con un carro armato israeliano che, secondo l’emittente televisiva Aqsa, avrebbe colpito un edificio della Mezzaluna rossa ad Al Mawasi, nel Sud della Striscia di Gaza. Lo stesso Comitato internazionale della croce rossa (Cicr) ha riferito che un proiettile esplosivo ha danneggiato un suo ufficio di Rafah, commentando in una nota: «Fortunatamente, nessun membro dello staff è rimasto ferito in questo incidente, ma ciò ha un impatto diretto sulla capacità del Cicr di operare». E chi invece ha deciso di ridurre la presenza del personale alla luce dei nuovi attacchi israeliani sulla Striscia è l’Onu. Il portavoce dell’organizzazione internazionale, Stephane Dujarric ha affermato: «Il segretario generale Antonio Guterres ha preso la difficile decisione di ridurre la presenza dell’organizzazione a Gaza, nonostante le esigenze umanitarie aumentino e la nostra preoccupazione per la protezione dei civili si intensifichi». Ma i raid di Israele hanno riguardato ieri anche la Siria, dove sarebbe stato colpito un sito militare nel Sud Est siriano, nella zona di Daraa. E spostando lo sguardo all’interno dei confini israeliani, alle contestazioni politiche si è aggiunto un attentato nel Nord del Paese, ma anche un missile intercettato. Ieri, un uomo di 25 anni arabo-israeliano ha investito a bordo di un’auto un soldato israeliano e una volta sceso dal veicolo ha accoltellato il militare, strappandogli il fucile per poi aprire il fuoco contro un’altra vettura, uccidendo un uomo di 85 anni. Mentre nel centro di Tel Aviv sono suonate le sirene a causa di un missile proveniente dallo Yemen. Intanto il tentativo del premier israeliano Benjamin Netanyahu di rimuovere il capo dello Shin Bet, Ronen Bar e la procuratrice generale Gali Baharav-Miara continua a sollevare critiche. Il leader del partito di Unità nazionale, Benny Gantz, ha avvertito: «La sicurezza di Israele è in pericolo a causa della frattura interna», descrivendo la dinamica attuale come un «6 ottobre sotto steroidi». Anche il deputato Gadi Eisenkot è intervenuto, dichiarando: «Mentre la maggioranza dei cittadini sostiene il ritorno immediato degli ostaggi, insieme a una lotta determinata contro il terrorismo e la sconfitta di Hamas, il governo è concentrato sulla guerra contro le istituzioni e il sistema giudiziario». E ieri Bibi ha spiegato alla Corte suprema, che ha sospeso il licenziamento di Bar, che la rimozione dall’incarico da capo dello Shin Bet: «Non è un caso giudiziario, l’autorità spetta al primo ministro e al governo».
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Femminismo è il vezzoso nome dato alla misandria occidentale, e la misandria è stato il mezzo per distruggere nel giro di due generazioni l’invincibile società occidentale giudaico-cristiana: le donne sempre vittime, i maschi sempre carnefici e soprattutto nemici. La «vera donna» si sente sorella di sconosciute, incluse cantanti mediocri che guadagnano cifre astronomiche mostrando la biancheria intima o la sua assenza, ma non deve avere linee di collaborazione o anche solo umana simpatia con il marito o il compagno. Il femminismo occidentale non è difesa delle donne, è misandria, odio per gli uomini. Il femminismo misandrico è un movimento creato a tavolino, con lo scopo di distruggere la famiglia, che è un’unità affettivo/economica con una sua intrinseca potenza: rende le persone non isolate, e quindi meno malleabili, tali da avere la forza di opporsi al potere dello Stato o del parastato. Il secondo scopo è abbattere i salari buttando sul mercato milioni di lavoratrici. Il terzo scopo è annientare le aree di lavoro non tassabile. Le donne a casa loro fanno lavori non tassabili: cucire, cucinare, costruire giocattoli, creare tende e vestiario, fare conserve, allevare bambini. Ora il loro lavoro è sostituito da supermercati, orrendi cibi precotti, con tutti i danni dei cibi processati, vestiario «made in China» fatto da schiavi sottopagati e soprattutto educatrici e insegnanti.
A ogni interazione madre-figlio, il cervello del bambino piccolo crea miliardi di sinapsi. Ogni interazione con l’estranea cui è affidato mentre mamma si sta facendo sfruttare da qualcuno in un posto di lavoro - e deve farlo perché il salario di papà è troppo basso - fabbrica molte meno sinapsi. Per i bambini, essere affidati a estranei al di sotto dei tre anni è un danno neurobiologico. Chi nega questa affermazione sta mentendo. Il bambino impara la regolazione delle emozioni sulla madre, ma per poter completare questo processo la madre deve essere presente. Con l’estranea cui è stato affidato, il processo non può realizzarsi. Inoltre, per quell’estranea il bambino è lavoro. Ci sono persone che amano il loro lavoro, altre che lo detestano: nel caso delle educatrici, quello che è detestato è il bambino. Ogni tanto bisogna mettere le videocamere per scoprire bambini picchiati o umiliati. La madre lavoratrice deve occuparsi del lavoro e quando alla sera torna a casa stanca e nervosa deve occuparsi del bambino, che alla sera, dopo ore e ore con estranee, è stanco e nervoso. Il peso è micidiale.
Le donne non mettono più al mondo figli. Il femminismo misandrico è stato creato per abbattere la natalità. Quando il bambino è malato, la mamma non può stare con lui. La presenza della madre fabbrica endorfine che potenziano il sistema immunitario. La sua assenza fabbrica cortisolo, ormone da stress che abbatte il sistema immunitario. Per poter essere affidato alle estranee del nido, il bambino deve essere sottoposto a un esavalente che in molte altre nazioni è vietato. Il 70% delle morti improvvise in culla avviene nella settimana successiva all’iniezione dell’esavalente. Perché le madri possano serenamente lavorare è stato creato il latte in polvere, pessimo prodotto che sostituisce il cibo perfetto dal punto di vista nutrizionale e immunologico che è il latte materno. È statisticamente dimostrata la differenza cognitiva e la migliore salute dei bambini allattati al seno. Dopo i tre anni un bambino potrebbe restarsene benissimo a casa sua; se proprio lo si vuole mandare all’asilo, sarebbe meglio non superare le due ore al giorno. Quando ha sei anni, il bambino dovrebbe andare in una scuola quattro ore, dalle 8.30 alle 12.30. Se la classe è fatta da bambini in maggioranza sereni e tutti della stessa madrelingua, come negli anni Cinquanta, quattro ore sono sufficienti.
Il bambino, messo sotto stress dalla mancanza cronica della madre, consegnato allo Stato per un numero spaventoso di ore, diventa un perfetto recipiente per la propaganda.
Le femministe hanno conquistato il diritto al lavoro. Il lavoro è una maledizione biblica. Anche l’aborto è una maledizione biblica e pure di quello hanno conquistato il diritto. Nella Cappella Sistina, Michelangelo ha rappresentato il momento in cui il serpente corrompe Eva con la mela: il serpente ha un volto di donna. Un’ intuizione geniale. Le donne hanno meno testosterone: questo le rende più accoglienti, permette la maternità, ma le rende meno capaci di battersi. Noi siamo meno capaci di combattere, cediamo più facilmente alla propaganda. Il vittimismo isterico del femminismo misandrico è stata la tentazione con cui le donne hanno annientato la invincibile civiltà giudaico-cristiana. Abbiamo ancora una generazione, forse una e mezza. Creperemo di denatalità e scemenze: tra due generazioni al massimo saremo una repubblica islamica. Il potere è stato tolto al pater familias, che era sporco brutto e cattivo, ma era comunque uno cui di quella donna e quei bambini importava, ed è stato consegnato allo Stato, una macchina burocratica cieca e stolida. Lo Stato decide quanti vaccini un bambino deve fare, mentre gli Ordini dei medici applicano la legge Lorenzin radiando tutti coloro che si permettono di parlare della criticità di questi farmaci. Lo Stato decide cosa un bambino deve mangiare: le orrende mense scolastiche dove si mangia pessimo cibo statale sono obbligatorie. Digitate su Google le parole mensa scolastica e tossinfezioni alimentari e troverete dati interessanti. I dati che mancano sono i danni su danni sul lungo periodo degli oli di bassa qualità, della conserva di pomodoro comprata dove costava meno (spesso sono pomodori coltivati in Cina con fertilizzanti pessimi). Lo Stato decide come il bambino deve vivere e se la famiglia si permette di farlo vivere felice in un bosco, lo Stato interviene. Lo Stato decide cosa il bambino deve pensare, perché l’etica gliela insegnano i docenti, quasi sempre femmine, che sono impiegati statali che eseguono gli ordini, le circolari, fanno corsi di aggiornamento Lgbt e hanno criminalizzato i ragazzi non vaccinati per il Covid.
Grazie al femminismo misandrico, in Italia, la disparità tra padre e madre è clamorosa: i padri sono esseri inferiori. La donna ha potere di vita e morte sul concepito, un potere osceno e criminale. Si considera criminale un padre che ha picchiato suo figlio, ma non si considera criminale una donna che ha fatto macellare il suo bambino nel suo ventre. Il potere che ha creato il femminismo misandrico vuole gli aborti, li adora. Se hai abbandonato il cane sei un bastando, se hai fatto uccidere tuo figlio nel tuo ventre sei un’eroina della libertà. Per far uccidere il bambino nel suo ventre, la donna ha bisogno di un medico, che diventa quindi un medico che sopprime vite umane. Il feto è vivo ed è umano. Chi lo sopprime, sta sopprimendo vite umane. Se la donna vuole abortire, il padre non può opporsi. La donna può abortire, ma il padre non può rifiutarsi di pagare gli alimenti, deve assumersi la responsabilità economica fino alla maggiore età (e spesso oltre), eredità garantita al figlio, un terzo del patrimonio che deve essere accantonato. La donna può rendere suo figlio orfano di padre: può partorirlo, disconoscerlo e impedire che il padre lo riconosca. Il padre, per riconoscere il figlio, deve arruolare uno o più avvocati, pagarli e imbarcarsi in una guerra giudiziaria lunga e dall’esito incerto. Mentre le donne sono normalmente aggredite da immigrati islamici, l’invasione che sostituisce il deficit demografico dei bambini abortiti, al punto che non si possono più fare manifestazioni in piazza come quelle di Capodanno, quando l’uomo è bianco e occidentale, la parola della donna in tribunale vale più di quella dell’uomo.
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Roberto Speranza (Ansa)
Sull’edizione del 7 marzo del 2023, Francesco Borgonovo riportava un eloquente scambio di messaggi tra l’allora presidente dell’Iss, Silvio Brusaferro, e il ministro Roberto Speranza, che si esprimeva così: «Dobbiamo chiudere le scuole. Ne sono sempre più convinto». Ma il giorno seguente Brusaferro notava: «Per chiusura scuola Cts critico». E il ministro incalzava: «Così ci mandate a sbattere». Dopo una serie di ulteriori scambi, Brusaferro cedeva: «Va bene. Domani bisognerà pensare a illustrare come il parere riporti principi ed elementi di letteratura e modellistica lasciando al Consiglio dei ministri le scelte». Tradotto: prima si prendeva la decisione, poi si trovava l’appiglio «scientifico».
L’audizione di Miozzo appare indubitabilmente sincera. L’esperto sottolinea il contesto emergenziale in cui agivano i commissari, mettendo in guardia dai «Soloni del senno di poi». Parla del Cts come punto di riferimento «mitologico», «di fatto chiamato a rispondere a qualsiasi tipo di richiesta e necessità» che «di sanitario avevano ben poco: la distanza tra i tavoli nei ristoranti, il numero di passeggeri all’interno di un autobus, la distanza tra i banchi di scuola». «Che ci azzeccavo io, medico esperto di emergenze internazionali, con la distanza degli ombrelloni al mare?», osserva. «Eppure dovevamo dare un’indicazione, che alla fine, in un modo o nell’altro, veniva fuori con l’intelligenza, con il buonsenso, con la lettura che di volta in volta si faceva del contesto nazionale e internazionale». Dato il vuoto decisionale, in buona sostanza, il Cts si è dovuto far carico di una serie di questioni lontane dalla sua competenza. E sbaglia, spiega Miozzo, chi ci ha visto un «generatore di norme, di leggi, di indirizzi e di potere decisionale, cosa che assolutamente non ha mai avuto»: «Quello che il Comitato elaborava come indicazioni tecnico-scientifiche era offerto al governo, che lo doveva tradurre in atti normativi». L’equivoco si verificò solo perché alcuni passaggi venivano copiati tali e quali nelle leggi.
Miozzo ribadisce a più riprese che il Cts forniva solo pareri sulla base di assunti scientifici necessariamente - visto il contesto - in divenire. La dinamica, però, appare chiaramente invertita: se un organo subisce pressioni politiche (fatto testimoniato sopra) e viene interpellato su questioni che esulano dalle proprie competenze, è perché esso viene usato per sottrarre decisioni politiche al dibattito democratico. Una strategia che non riguarda solo il Covid: in pandemia ha conosciuto il suo culmine, ma è iniziata ben prima e proseguita ben dopo: l’ideologia green ne è una dimostrazione plastica. E anche il prezzo di queste scelte scellerate, per usare le parole di Miozzo, lo abbiamo pagato e lo pagheremo ancora in futuro. Se si parla tanto di Covid, in fondo, è puramente per una questione di metodo.
Miozzo avanza almeno un’altra considerazione degna di nota quando spiega che il piano pandemico del 2006 era una «lettera morta negli archivi della nostra amministrazione». Nessuno lo conosceva, «non era mai stata fatta un’esercitazione e non era stato fatto l’acquisto di beni di pronto soccorso e di Dpi. Non c’era nulla». Una responsabilità che imputa ai ministri precedenti e non a Speranza. Ai fini del buon funzionamento della democrazia, è fondamentale stabilire le responsabilità: a tagliare i fondi alla sanità per un decennio, in nome di una presunta austerità espansiva richiesta dall’«Europa», sono stati governi sostenuti dalla sinistra che oggi bercia contro l’attuale esecutivo. Lo dicono i dati, lo raccontano le condizioni in cui ci siamo trovati ad affrontare la pandemia. Almeno e limitatamente all’impreparazione del piano pandemico, possiamo anche assolvere Speranza. Ma non possiamo assolvere il Partito democratico dall’aver ucciso la sanità italiana.
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A mettere nero su bianco qualche dato in grado di smontare le ultime illusioni sui vantaggi del motore a batteria, è l’Adiconsum che periodicamente fa un report sull’andamento delle tariffe di ricarica. Lo stato dell’infrastruttura è ancora carente. I punti di ricarica sono 70.272 di cui un 10% non è attivo. La maggioranza dei punti (53.000) è in corrente alternata (Ac) con potenza inferiore a 50 Kw mentre le ricariche ultra veloci sono meno di 5.000. Intraprendere un percorso in autostrada è da temerari: la copertura delle aree di servizio è ancora al 48% e ci sono solo 1.274 punti. Essere a secco di elettricità e beccare un paio di stazioni di servizio sprovviste di colonnine apre scenari da incubo. Quindi, nella pianificazione di un percorso, bisognerebbe anche avere contezza della distribuzione delle ricariche.
Ma veniamo ai costi. Il prezzo unico nazionale a novembre scorso era pari a 0,117 euro il Kwh, in aumento del 5% rispetto a ottobre 2025. I prezzi medi alla colonnina sono per la Ac (lenta e accelerata) di 0,63 euro al Kwh (in aumento di 1 centesimo rispetto a ottobre), per la veloce (Dc) di 0,75 euro /Kwh (+1 centesimo rispetto a ottobre) e per la ultra veloce (Hpc) di 0,76 euro/kwh (stazionario). Per le tariffe medie massime si arriva a 0,83 per ricariche Ac, 0,82 per la Dc e 1,01 per Hpc.
Il report di Adiconsum fa un confronto con i carburanti fossili e evidenza che la parità di costo con benzina e diesel si attesta mediamente tra 0,60 e 0,65 euro/kwh. Ma molte tariffe medie attuali, superano questa soglia di convenienza.
Inoltre esistono forti divergenze tra i prezzi minimi e massimi che nella ricarica ultra veloce possono arrivare fino a 1,01 euro /Kwh. L’associazione dei consumatori segnala tra le tariffe più convenienti per la Ac, Emobility (0,25 euro/Kwh) per la Dc, Evdc in roaming su Enel X Way (0,45 euro/Kwh) e per l’alta potenza, la Tesla Supercharger (0,32 euro/Kwh). La conclusione del report è che c’è un rincaro, anche se lieve delle ricariche più diffuse ovvero Ac e Dc e il consiglio dell’Adiconsum, è che a fronte dell’alta variabilità dei prezzi è fondamentale utilizzare le app dedicate per verificare quale operatore offre il prezzo più basso sulla singola colonnina.
Questo vuol dire che mentre all’estero, come ad esempio in Germania, si fa il pieno utilizzando semplicemente il bancomat o la carta di credito, come al self service dei distributori, in Italia bisogna scaricare una infinità di app, a seconda del fornitore o del gestore, con la complicazione delle informazioni di pagamento e della registrazione. Chi ha la ventura (o sventura) di aver scelto una full electric, deve fare la gimcana tra le varie app, studiando con la comparazione, la soluzione più vantaggiosa. Un bello stress.
Secondo i dati più recenti di Eurostat e Switcher.ie, mentre la media europea per un pieno si attesta intorno a 14 euro, in Italia la spesa media sale a circa 20,30 euro. Nel nostro Paese, come detto prima, la media di ricarica Ac è di 0,63 euro /Kwh, in Francia e Spagna si scende sotto gli 0,45-0,50 euro /Kwh. La ricarica ultra rapida che nelle nostre colonnine è di media 0,76 euro/Kwh con picchi sopra 1 euro, in Francia si mantiene mediamente intorno a 0,60 euro/Kwh. Il costo dell’energia all’ingrosso in Italia è tra i più alti d’Europa, inoltra l’Iva e le accise sull’energia elettrica ad uso di ricarica pubblica sono meno agevolate rispetto alla Francia dove l’Iva è al 5,5%. Inoltre l’Italia non prevede riduzioni degli oneri di sistema per le infrastrutture ad alta potenza.
C’è un altro elemento di divergenza tra l’Italia e il resto dell’Europa che non incentiva l’acquisto di un’auto elettrica, ed è la metodologia del pagamento. Il nostro Paese è il regno delle app e degli abbonamenti. La ricarica «spontanea» (senza registrazione) è rara e spesso molto costosa. In paesi come Olanda, Danimarca e Germania, il pieno è gestito più come un servizio di pubblica utilità «al volo». Con il regolamento europeo Afir, nel 2025 è diventato obbligatorio per le nuove colonnine fast permettere il pagamento con carta di credito/debito tramite Pos. In Nord Europa questa pratica è già la norma, riducendo la necessità di avere dieci app diverse sul telefono. Inoltre in Paesi tecnologicamente avanzati (Norvegia, Germania), è molto diffuso il sistema Plug & Charge: colleghi il cavo e l’auto comunica direttamente con la colonnina per il pagamento, senza bisogno di tessere o smartphone. In Italia, questa tecnologia è limitata quasi esclusivamente alla rete Tesla.
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