2022-11-13
Dopo Kherson gli Usa spingono per la pace
I soldati ucraini a Kherson (Ansa)
Per gli Stati Uniti la ritirata dei russi dalla città deve portare al tavolo delle trattative. Il ministro degli Esteri di Kiev apre all’incontro con Mosca ma Volodymyr Zelensky dice no: «Libereremo Crimea e Donbass». Giallo Aleksandr Dugin: prima attacca Vladimir Putin, poi ritratta e paventa l’atomica.Il ritiro delle truppe russe da Kherson, pur segnando un punto di svolta nel conflitto, apre una nuova domanda alla quale restano appese le sorti della guerra: quali sono i territori a cui ognuno non può permettersi di rinunciare per poter parlare, anche all’opinione pubblica, di «vittoria»? Le dichiarazioni ucraine sono molto chiare, all’insegna del «non ci fermiamo qui», lo stesso presidente Volodymyr Zelensky ieri pomeriggio, su Telegram, scriveva: «Libereremo anche il Donbass e la Crimea». Verso tale direzione portano le considerazioni del procuratore generale dell’Ucraina Andriy Kostin: «Non credo che la questione della ripresa dei negoziati con la Russia sia possibile», ha tagliato corto. Più possibilista, ma con molte riserve, il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, che al vertice dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico in Cambogia, ha dichiarato: «Tutti vogliamo che questa guerra finisca il prima possibile», aggiungendo di essere pronto a valutare l’idea di incontrare l’omologo russo, Sergej Lavrov, in caso di una proposta in questo senso da parte di Mosca, che però non è mai arrivata. Secondo le forze armate ucraine, sono almeno 10.000 i soldati russi rimasti ancora sulla riva destra del fiume Dnepr, dopo il ritiro della maggior parte delle truppe di Mosca sulla sponda sinistra. «Una parte di queste truppe russe rimaste sta rispondendo al fuoco ucraino, altri stanno cercando di sfondare le linee di Kiev, altri sono rimasti nella regione in abiti civili. La riva destra del Dnepr deve essere liberata, ci vorrà del tempo», ha osservato l’esercito.C’è da chiedersi, ora, se il fiume Dnepr resterà il confine «accettabile» per andare a negoziare. Ad ascoltare l’ex presidente russo Dmitri Medvedev, l’interesse della Russia ad accontentarsi non c’è. «Mosca continuerà a riprendersi i territori russi e non ha ancora utilizzato tutto il suo arsenale di armi di distruzione», dice. Di certo, qualche spiegazione è necessaria per una ritirata che, secondo l’intelligence britannica, comporta «significativi danni alla reputazione russa».La «fuga» da Kherson ha creato malumori nella stessa Russia. Una delle esternazioni più significative è stata quella di Aleksandr Dugin, ideologo del nazionalismo russo, che ha perso la figlia Darya in un attentato. In un post su Telegram, sparito in seguito, Dugin sembrerebbe aver attaccato con durezza Vladimir Putin: «In un’autocrazia diamo al sovrano pienezza assoluta dei poteri per salvarci tutti, quindi pieni poteri in caso di successo, ma anche totalità delle responsabilità in caso di fallimento. Non ho niente contro Surovikin (il capo delle operazioni militari in Ucraina, ndr). Il colpo non è diretto a lui, ma a voi-sapete-chi», era l’allusione al presidente russo. Dugin ha, in un secondo momento, pubblicato un comunicato per chiarire quella che ha definito una «confusione mediatica»: «L’Occidente ha iniziato a far credere che io e i patrioti russi ci siamo rivoltati contro Putin dopo la resa di Kherson. Si basano su un mio presunto messaggio cancellato. È chiaro che nessuno ci crederà. Ma per sicurezza: nessuno ha voltato le spalle a Putin, io e tutti i patrioti russi lo sosteniamo incondizionatamente. Il dolore per la perdita di Kherson è una cosa; l’atteggiamento nei confronti del comandante in capo è un altro. L’Occidente, che sta esercitando una pressione eccessiva sulla Russia, non capisce che la Russia e Putin non capitoleranno. Il passo successivo non può che essere l’uso delle Tnw (armi tattiche nucleari, ndr). Mettere all’angolo la Russia è un suicidio per l’Occidente e per l’umanità».In questo concentrato di dubbi, insoddisfazioni e tentativi di rilanciare, c’è chi intravede uno spiraglio per le trattative. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan prevede un colloquio con Putin «entro i prossimi due o tre giorni». Lo ha dichiarato lo stesso Erdogan, che intende «spingere» per allestire il tavolo dei negoziati e poterselo intestare.A cercare di far leva, per intavolare il dialogo, sulla perdita da parte della Russia del suo avamposto strategico, sono ora anche gli Usa. Il Capo di Stato maggiore americano, Mark Milley, vuole che si arrivi a un accordo di pace il prima possibile, perché c’è un rischio da scongiurare. Con l’inverno, osserva Milley, è fisiologico che il conflitto rallenti, quindi il Cremlino avrà modo di riorganizzarsi in vista del disgelo per riavviare l’offensiva. Nasce da qui l’esigenza americana di affrettare il processo di pace, come confermato dal consigliere per la sicurezza nazionale degli Usa, Jake Sullivan: «La Russia deve decidere per un tavolo della pace, la ritirata ha implicazioni più ampie, tra le quali alleviare la minaccia a lungo termine su altre città dell’Ucraina meridionale come Odessa». Una risposta è arrivata dal senatore Sergei Tsekov, membro del comitato per gli affari internazionali del Consiglio della Federazione Russa. «I negoziati tra Mosca e Kiev avranno sicuramente luogo, ma i tempi dipendono dai partner dell’Ucraina. Se continuano ad alimentare il conflitto, non ci saranno negoziati», ha detto riferendosi a Stati Uniti ed Europa, aggiungendo una postilla che smorza le illusioni: «Oggi i negoziati sembrano improbabili, dal momento che Kiev chiede alla Russia la restituzione dei territori perduti. Ricordiamo come è iniziata l’operazione speciale: la smilitarizzazione e la denazificazione non sono state rimosse dall’agenda».