2020-07-08
L’Italia affonda, Conte gongola
Giuseppe Conte (Antonio Masiello/Getty Images)
La commissione Bilancio salva in extremis il testo bocciato dalla Ragioneria. Il caos dopo il blitz della maggioranza per aggiungere provvedimenti (e accontentare Fi)I tecnici statali rimbrottano i numeri due del dicastero per le mancate coperture nel decreto. La disfatta però è anche di Roberto Gualtieri: vuole accentrare competenze di altri ministeri e non sa gestire neppure i suoi dirigenti.Lo speciale contiene due articoliNell'Aula della Camera il testo del decreto Rilancio è arrivato, dopo lunga e penosa malattia, solo alle 18.30 di ieri sera. Prima, è stato necessario un ennesimo ritorno in commissione Bilancio per correggere i pasticci combinati da governo e maggioranza e puntualmente evidenziati dalla Ragioneria generale dello Stato, che non è un organo esterno, ma è parte integrante del Mef. Va dato atto a Claudio Borghi, leghista e presidente della commissione, di aver tenuto un comportamento ineccepibile dal punto di vista istituzionale, rimanendo sempre capace di separare il suo punto di vista politico (ferocemente contrario al provvedimento) dalla gestione dei lavori, che è stata impeccabile da parte sua. Tutt'altro che impeccabile, anzi, disastroso, il comportamento del governo. E non solo per i 256 articoli di un provvedimento omnibus (nato come decreto Aprile, e siamo all'8 luglio), ma per il tentativo di infilarci di tutto, dai soldi alla fondazione di Bill Gates fino ai voli in business class per l'expo di Dubai. Morale, la trattazione è diventata una via di mezzo tra un pandemonio e un suk: 8.000 emendamenti, poi ridotti a 1.200, e la commissione che - miracolosamente - è riuscita lo stesso a chiudere i lavori. Ma con un gigantesco «ma»: con un cortocircuito paradossale, proprio su emendamenti del governo o della maggioranza, e su cui i rappresentanti del governo avevano espresso parere favorevole, è arrivata la mannaia della Ragioneria generale dello Stato, che ha steso una devastante nota tecnica di 22 pagine per stroncarli e chiederne la correzione, che poi è avvenuta nella giornata di ieri. Ora, se un rappresentante del governo dà parere favorevole in commissione prima della votazione di un emendamento (ed è il segnale che l'esecutivo autorizza la sua maggioranza a votare sì), si presuppone che si sia già consultato con la Rgs. E invece più di qualcosa non ha funzionato. In un altro articolo, spieghiamo tutto ciò che non va nella macchina del Mef, dalle carenze della «testa» politica alle stanchezze del «corpaccione» tecnico. Ma una fonte anonima del ministero, solitamente attendibilissima, pur ammettendo i problemi di carattere generale, ha aggiunto una causa più specifica dell'incidente. L'innesco sarebbe stato determinato dal tentativo della maggioranza Pd-M5s (con il governo o corresponsabile o incapace di gestire la situazione) di infilare nottetempo un'ultima ondata di emendamenti non concordati né coperti. Per dirla con le parole di Giuseppe Conte: qualcuno ha provato ad agire «con il favore delle tenebre». E in questa infornata, secondo questa interpretazione, il Pd avrebbe provato a spingere anche temi e punti sollecitati da qualche esponente di Fi, in un tentativo del Pd di captatio benevolentiae verso un pezzo dell'opposizione. Ovviamente, da parte del Pd, si nega questa ricostruzione. Resta però il pasticcio. E, nel gran caos, c'è chi è stato clamorosamente dimenticato. È il caso delle aree colpite dal terremoto del 2009: il sindaco dell'Aquila Pierluigi Biondi, in una nota congiunta con altri sindaci dello stesso territorio, non solo ha denunciato l'assenza di misure significative, ma ha anche acceso i riflettori sulla bocciatura dell'emendamento a firma di Stefania Pezzopane (Pd) «con cui si concedeva la proroga al 31 luglio per la presentazione da parte delle imprese della certificazione per ottenere l'abbattimento di tributi e imposte». «Così come è accaduto per tutte le altre proposte emendative annunciate in spettacolari e partecipatissime conferenze stampa», ha sarcasticamente aggiunto il sindaco.In ogni caso, alle 17.15 di ieri, dopo un'altra giornata caotica, Borghi si è correttamente presentato in Aula chiedendo un'ora e un quarto (fino alle 18.30) per assemblare materialmente i testi modificati che nel frattempo erano stati approvati. Nella pausa, il leghista si è tolto lo sfizio di scrivere su Twitter che «la gloriosa commissione Bilancio ha sistemato le “lievi imprecisioni"». Un modo da un lato per rivendicare la correttezza del suo operato istituzionale e dall'altro per sottolineare la debacle tecnica e politica del governo. Finalmente, alle 18.30, la seduta è ripresa, e, com'era scontato, si è presentato in Aula il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico D'Incà, per porre la fiducia, con ciò blindando il resto del percorso, facendo decadere ogni emendamento in Aula, e precostituendo l'approvazione del testo uscito dalla commissione (nell'ultima versione). Testo che a questo punto, mancando poco alla scadenza dei 60 giorni, il Senato potrà a sua volta solo guardare e approvare, senza nemmeno cambiare una virgola. Non ci sarebbe infatti spazio per una terza lettura, con tanti saluti alla mitica «centralità del Parlamento», ridotta a scioglilingua vanamente ripetuto da Pd e M5s. Da segnalare, in Aula, il duro intervento di Simone Baldelli (Fi) che ha evidenziato come il Conte bis sia giunto alla sua ventiduesima fiducia. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/dopo-il-pasticcio-la-fiducia-il-dl-rilancio-alla-camera-con-strage-di-emendamenti-2646360923.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-ragioneria-demolisce-il-tesoro-e-mortifica-i-vice-castelli-e-misiani" data-post-id="2646360923" data-published-at="1594160822" data-use-pagination="False"> La Ragioneria demolisce il Tesoro e mortifica i vice Castelli e Misiani Cedimento strutturale del Mef: l'edificio non regge più. Ovviamente, non stiamo parlando dell'esigenza di ristrutturare fisicamente i locali di via XX Settembre, ma di una malattia più profonda e non necessariamente curabile, in questa legislatura. Se la Ragioneria generale dello Stato, su un provvedimento cruciale, atteso da mesi e preparato per lunghe settimane come il decreto Rilancio, che mette in campo ben 55 miliardi di risorse, arriva in extremis a vergare 22 pagine di fuoco contro gli emendamenti dello stesso governo e della medesima maggioranza, siamo in presenza - per l'esecutivo - di una debacle tecnica e insieme di un gigantesco caso politico. La nota della Ragioneria è impietosa, in primo luogo nei confronti dei sottosegretari Laura Castelli (M5s) e Antonio Misiani (Pd) che hanno direttamente seguito il provvedimento, ma indirettamente anche verso il ministro Roberto Gualtieri, palesemente non al comando della situazione alla sua prima vera prova di governo. I rilievi della Rgs configurano una Waterloo per i titolari politici del Mef: emendamenti da modificare per escludere effetti finanziari negativi, emendamenti da stralciare perché privi di copertura, emendamenti da cassare perché comportano oneri non quantificati, emendamenti con relazione tecnica insussistente o comunque non esaustiva, e perfino emendamenti a rischio di infrazione europea. Un bagno di sangue: l'equivalente di gravi e ripetuti errori di grammatica e di sintassi in un tema di italiano. Come spiegare questo evento - a memoria di chi scrive - quasi senza precedenti in questa dimensione, con questa tempistica, e su un provvedimento così importante per un governo? La prima spiegazione classica che si sarebbe indotti a esplorare è quella di un trappolone politico teso dalla Ragioneria. Ma francamente chi scrive tende a non preferire questa ipotesi: anzi, è noto che l'attuale Ragioniere, Biagio Mazzotta, debba la sua nomina e il suo successo in volata per accaparrarsela sulla competitor Alessandra Dal Verme, proprio al ruolo politico giocato dalla grillina Castelli. Dunque, appare improbabile e immotivata una vendetta politica: non ce ne sono i motivi, anzi semmai vale l'argomento contrario. E allora occorre ripiegare sulla seconda spiegazione, solo apparentemente meno grave, ma in realtà ancora più preoccupante. La guida politica del ministero non c'è, e nessuno ha una bussola. Il ministro è uno storico, un teorico, non avvezzo alla guida di una macchina così complessa; i sottosegretari non si sono palesemente rivelati all'altezza della prova; il direttore generale Alessandro Rivera gioca una sua partita (si pensi al suo ruolo nei negoziati europei); i dipartimenti vanno ognuno per conto proprio. E chi dovrebbe svolgere per definizione un ruolo di collante, il capo di gabinetto Luigi Carbone, sembra avere ricorrenti priorità musicali. Morale: la testa politica latita, la saldatura tecnica delle varie anime e componenti non c'è o è insufficiente, e a quel punto gli incidenti sono dietro l'angolo. C'è anche una terza spiegazione, perfettamente compatibile e per molti versi sovrapponibile rispetto alla seconda. Anche senza dolo, anche senza una specifica volontà di «colpire», i corpi dello Stato sono lestissimi a sorreggere i governi e i ministri in ascesa, ma altrettanto lesti a mollarli quando li percepiscono in difficoltà. Certo, qui la vicenda è clamorosa. Si potrebbe dire: se un governo presenta un decreto monstre di 256 articoli, è naturale che poi la «bestia» si riveli non domabile, e che dietro ogni angolo possa nascondersi un pasticcio o un imprevisto. Vero. Ma è pur vero che quei 256 articoli erano già conosciuti dalla Rgs. E, quanto agli emendamenti, non si trattava di un maxiemendamento freneticamente scritto in una notte (quando può capitare una sbavatura), ma di un lavoro politico durato settimane. E dunque svolto malissimo: su questo, lo zelo - a volte ferocemente ottuso - della Rgs (non dispiaccia ai suoi adoratori che abbondano nei palazzi romani) si scatena, usando la matita blu come un randello. Da ultimo, ha giocato anche una propensione del Mef ad acchiappare tutto e a commissariare gli altri ministeri economici. Pur non avendo il «fisico», politicamente parlando, per un'operazione così muscolare, Gualtieri ha finito per appropriarsi di materie proprie del ministero dello Sviluppo e del ministero del Lavoro: dalla politica industriale al fondo Sure, dagli ammortizzatori sociali all'Inps, passando per Cdp. In questo gigantismo, gli errori sono dietro l'angolo. E soprattutto nel crepuscolo (politico) le ombre (tecniche) tendono ad allungarsi.