2022-08-11
«Daranno al centrodestra la colpa dei disastri economici già in corso»
Domenico Lombardi (Imagoeconomica)
L’esperto, ex dell’Fmi Domenico Lombardi: «Narrazione distorta: purtroppo l’eredità degli ultimi governi ci allontana dall’Ue. L’unico europeismo possibile è chiudere il divario di crescita. Lo scudo della Bce? L’Italia rischia grosso».«Prepariamoci, come dice Draghi sarà un autunno difficile. Ma chiunque governi si prepari soprattutto a non restare col cerino in mano di una situazione ereditata». Domenico Lombardi, economista con trascorsi al Fondo monetario monetario internazionale e alla prestigiosa Brookings Institution di Washington, tra le voci più ascoltate in questo campo da Giorgia Meloni, a colloquio con La Verità parte da considerazioni poco rassicuranti: «Avverto un clima di esasperazione che mi sembra quasi creato per forzare la mano a chi verrà». Lombardi, spieghi.««L’attuale centrodestra è additato come coalizione fiscalmente irresponsabile, ma nell’ultimo decennio esso non è mai stato, unito, al governo. Ebbene, nella maggior parte del decennio il deficit/Pil italiano ha sempre ecceduto la media del deficit/Pil dell’Ue. Stesso discorso per il debito/Pil, cresciuto a dismisura e che diminuirà quest’anno solo “grazie” all’inflazione. A chi si rappresenta paladino dell’inclusività e della solidarietà vorrei ricordare che purtroppo il nostro tasso di povertà si è deteriorato rispetto alla media Ue, sono cresciute le disuguaglianze ed è crollata la classe media. E ciò mentre aumentava la pressione fiscale, anche rispetto alla media Ue. Insomma, la distanza tra noi e l’Europa, misurata sulla base di un’ampia gamma di indicatori economici e sociali è cresciuta in modo significativo nel decennio passato. Mi chiedo: dov’è l’europeismo di coloro che ne sono stati gli artefici? Dov’è la solidarietà sociale? E, infine, questa sarebbe serietà nei conti pubblici?».Forse è il quadro europeo che non aiuta l’Italia. Ora torna il Patto di stabilità…«Occorre un’operazione di chiarezza, anche linguistica. Cosa vuol dire essere europeisti? Cominciamo a riportare gli indicatori socioeconomici a livello degli altri grandi Paesi Ue, anziché pensare a proclami di facciata contro qualcuno. Abbiamo un crollo della classe media in un Paese sull’orlo del baratro economico e sociale: qualunque discorso sull’Europa che non metta come primo punto una crescita a livello degli altri è solo retorica. Solo la crescita può generare le risorse per garantire ulteriore occupazione e rendere sostenibile il welfare».Draghi però ha snocciolato numeri eccezionali, proprio a confronto con Francia e Germania...«I numeri vanno contestualizzati: storicamente l’Italia cresce meno rispetto alla media Ue. Il nostro reddito medio è sotto la media Ue. Abbiamo avuto un rimbalzo successivo a un crollo verticale, sostenuto da politiche giustamente iperespansive, ma inimmaginabili nel medio periodo».Quindi, che priorità vede per il nuovo governo?«Premessa: servono idee chiare su come portare a casa i fondi del Pnrr. Vedo scarsa attenzione nel dibattito, con qualche significativa eccezione proprio a destra: a dispetto di una narrativa trionfalistica, nel 2021 è stato speso un terzo di quanto previsto dal Pnrr. La Corte dei conti, poi, ha appena depotenziato l’impatto sulla crescita ed evidenziato ritardi significativi. Temo che scopriremo altro nelle prossime settimane...».Fatta la premessa?«Senza una crescita sostenuta non ci saranno risorse per arrestare il declino socio-economico. Il problema è come agevolare chi crea ricchezza e lavoro. L’impianto della Flat tax dà un segnale simbolicamente forte in tal senso, ma osservo molte polemiche sul tema. Rilevo che quando si parla di altri sussidi, con meno potenziale di crescita ma costi pur sempre significativi, le polemiche svaniscono. Altra curiosa asimmetria del dibattito politico. Va di moda parlare di sostenibilità: bene, rendere sostenibile il rapporto tra cittadini, imprese e Stato vuol dire anzitutto permettere la crescita nel tempo». Andiamo sul pratico. Chi vincerà si troverà una manovra da fare nel mezzo di una crisi energetica… «Su questo serve una politica energetica che abbia come criterio la sicurezza economica del Paese. La decarbonizzazione deve rimanere una priorità, ma adeguata alla realtà. Altrimenti gli oneri cadranno su chi arriva al governo, e soprattutto su famiglie e imprese. Il cronoprogramma green oggi non è più applicabile: per esempio, mantenere il divieto di compravendita di auto con motore a scoppio al 2035 vuol dire devastare un comparto di rilevanza strategica nel nostro Paese con conseguenze neanche immaginabili, ed è solo un esempio tra i tanti».Quindi la famigerata Agenda Draghi è da buttare? «Non so bene cosa sia. Io guardo i dati. Abbiamo un’inflazione, appena confermata, all’8/9%, livello record da lustri. Non avendo salari indicizzati, il potere d’acquisto dei lavoratori e delle famiglie si è contratto drammaticamente. Questa è un’eredità pesantissima. Aggiungo che le dinamiche che hanno innescato questo processo non si esauriranno: i fattori di crisi geopolitica si sovrappongono alla transizione ecologica, che è di suo un vettore inflattivo. Alla scarsità di energie fossili, derivanti da mancati investimenti scoraggiati dall’agenda green a livello internazionale, si sommano rinnovabili che, però, non possono soddisfare la domanda. Non ci si può limitare solo a risposte emergenziali, perché siamo davanti a un problema - quello dei prezzi dell’energia - che rimarrà nel tempo. Occorre, pertanto, rivedere le politiche energetiche al di là degli interventi di breve periodo, avendo a cuore la sicurezza economica nazionale. Sul tema più generale dell’inflazione, non possiamo accontentarci della sola risposta della Bce con il rialzo dei tassi: un’altra cura da cavallo cui la nostra economia non è in grado di reggere». E quindi?«Quindi il prossimo governo dovrà fare di tutto per aumentare l’offerta di beni e servizi prodotti nel Paese, tassandoli meno ma meglio: questo stabilizzerà l’inflazione». Ha citato la Bce. Pensa che lo scudo approntato dalla Lagarde garantirà copertura adeguata sui nostri titoli?«Non sono ottimista. La narrazione mainstream afferma che l’Italia al momento soddisfa le quattro condizioni per accedere al Tpi. Io non sarei così sicuro. Per esempio, la seconda, ovvero l’assenza di squilibri macroeconomici, non è soddisfatta: basta leggere il rapporto della Commissione Ue datato 23 maggio 2022, secondo cui il nostro Paese presenta squilibri macroeconomici gravi (“severe”). Ecco, anche qui avverto una narrazione volta ad addossare responsabilità a un eventuale governo di centrodestra. Ma l’Italia è già messa così… Anche questo fa parte dell’eredità di Draghi: non perché sia sua responsabilità diretta ovviamente, ma perché è nel pacchetto del lascito dei precedenti esecutivi».Ma chi sostiene questa “narrazione”, scusi?«Io non faccio politica. Noto una convergenza trasversale retta da interessi abbastanza facili da spiegare: ci sono forze, partiti, burocrazie, che vedono a rischio le loro posizioni di potere, in Parlamento, al governo e nelle istituzioni, e avvalorano l’idea secondo cui il centrodestra possa portare disastri, magari per giustificare un equilibrio diverso da quello che potrebbe uscire dalle urne. Purtroppo però, in termini macroeconomici e sociali, lo ripeto: siamo già dentro il disastro. Lo dicono i numeri».Quindi la Ue si prepara a farla pagare a un governo di centrodestra?«Sarà prioritaria una capacità di confronto e dialogo con le istituzioni Ue e coi mercati: spiegare cosa si intende fare, perché e con quali risultati, ma sempre parlando il loro linguaggio. Ci sarà un confronto anche dialettico per valorizzare l’interesse nazionale, ma senza antagonismi, utilizzando sempre le categorie concettuali proprie di tali istituzioni, ancorando il confronto nel rispetto del perimetro istituzionale di ciascuno. Il vocabolario, la tecnologia e lo stile da utilizzare non sono indifferenti per difendere le proprie ragioni, e per qualunque governo. Su questo, occorre un vero e proprio salto culturale. Scontiamo una fragilità inedita, non possiamo permetterci errori».
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)