2018-11-19
Si mangia, si beve ed è persino curativo. Ecco come usare il miele per stare bene
Gli antichi egizi lo mettevano accanto alle mummie per accompagnare i defunti, i romani lo offrivano agli dèi e agli sposi (da qui l'espressione «luna di...»). In Italia ne consumiamo 20.000 tonnellate all'anno: è meglio dello zucchero ed è un ottimo rimedio naturale anche per disturbi insospettabili.Prima dell'avvento dello zucchero, il dolcificante era uno: il miele. Lo è stato per millenni. E sanciva un rapporto molto particolare tra uomo e natura, perché il miele non è prodotto direttamente dall'uomo come lo zucchero, ma da quelle api che se incontrano un essere umano e lo pungono sono dolori, eppure, quando lavorano indirettamente per lui, creando il miele, sono le sue deliziose e benefiche complici. L'archeologia ci dice che le prime arnie costruite da mano umana risalgono al VI millennio avanti Cristo. Se l'ape esiste, coi suoi favi, i suoi alveari e il suo processo di creazione del miele da prima dell'uomo, a un certo punto l'uomo inizia ad addomesticarla. Il miele era molto noto agli Egizi: alcuni geroglifici contengono prescrizioni per il suo uso in cucina, come anche in medicina (contro i disturbi digestivi e per la cicatrizzazione e la disinfezione di ferite e piaghe). Ci sono notizie di spostamenti degli apicoltori egizi lungo il corso del Nilo, per seguire con le proprie arnie la fioritura, e il miele era importante anche nella tradizione funeraria: se ne mettevano accanto alle mummie ciotole ricolme, per accompagnare i defunti nel viaggio verso l'aldilà. Anche i greci apprezzavano il cosiddetto oro liquido: era un'offerta votiva agli dei, come diceva Pitagora, era cibo utile per una lunga vita e infine era il frutto del lavoro di un animale esemplare, l'ape. Nell'Iliade Omero scrive: «api maculose in erti / nidi nascoste, a chi dà lor la caccia / s'avventano feroci, e per le cave / case e pe' figli battagliar le vedi».Anche i romani amavano il miele. Lo offrivano anch'essi ai propri dèi, lo utilizzavano per la cucina salata, che aveva spesso una connotazione agrodolce, e per quella dolce. Per fare il savillum, la torta dolce di formaggio presente anche nel De agri cultura di Catone, mescolate 150 grammi di farina, 750 grammi di ricotta preferibilmente di pecora, 70 grammi di miele e un uovo, versate l'impasto in una teglia imburrata e cuocete in forno a 200° per circa 25 minuti, estraete dal forno, spennellate con altro miele la superficie, spolverizzate con semi di papavero e ripassate in forno altri quattro-cinque minuti. Il miele i romani lo bevevano anche: l'idromele, bevanda alcolica nota anche a celti, vichinghi e greci, si otteneva dalla fermentazione del miele in acqua (parrebbe essere il fermentato liquido più antico del mondo). E, pensate, l'espressione «luna di miele» deriva dall'idromele: se ne regalava agli sposi una bottiglia sufficiente a coprire l'arco temporale di una mesata, che nell'antichità si calcolava come una lunazione. La luna di miele era, quindi, il tempo della prima lunazione postmatrimoniale, durante la quale gli sposi bevevano idromele perché si riteneva fosse un coadiuvante della procreazione (per lo stimolo disinibitorio dell'alcol e quello energetico degli zuccheri), quindi un simbolico aiuto alla virilità e alla fertilità. I Romani importavano grandi quantità di miele dalla Spagna, da Creta, da Cipro e da Malta, il cui toponimo antico era Meilat, appunto “terra del miele". Col Medioevo il miele non perde la sua grande importanza, che diventa minima con la produzione industriale dello zucchero raffinato: quest'ultimo diventa il dolcificante più diffuso, nasce la pasticceria modernamente intesa e il miele viene relegato a un'alternativa per salutisti e amanti dei sapori e della cucina rustica e antica. In realtà, il miele non ha niente di meno rispetto allo zucchero. Anzi, ha qualcosa di più.Ma come nasce il miele? Si tratta di un procedimento talmente articolato che, guardando un fiore di acacia e immediatamente dopo un barattolino di miele di acacia, si è quasi tentati di conferire alla trasformazione un'origine magica. Il miele è un vero e proprio «miracolo della natura». La direttiva Cee del 22 luglio 1974 descrive il miele come «il prodotto alimentare che le api domestiche producono dal nettare dei fiori o dalle secrezioni provenienti da parti vive di piante o che si trovano sulle stesse, che esse bottinano, trasformano, combinano con sostanze specifiche proprie, immagazzinano e lasciano maturare nei favi dell'alveare». Accade così. L'ape salta di fiore in fiore, suggendo il nettare per nutrirsi e insieme svolgere la funzione di impollinatrice (mescolando i pollini dalla parte maschile a quella femminile dell'apparato riproduttivo della stessa pianta o di piante diverse). Le api si nutrono anche di melata, un derivato della linfa degli alberi prodotta da altri insetti: questi ultimi trattengono l'azoto ed espellono la melata, ricca di zuccheri. Esattamente come il nettare. Il miele, quindi, può essere di fiori o di melata. Le api possono raccogliere il nettare soltanto da alcuni fiori, perciò detti melliferi: diverso è il fiore, diverso è il tipo di nettare, diverse le caratteristiche del miele. L'eucalipto, per esempio, è una pianta utilizzata nelle cure dei malanni invernali e trasporta quest'attitudine nel miele di eucalipto. I nettari hanno in comune la composizione «base»: saccarosio, glucosio, fruttosio, acqua. L'ape, detta bottinatrice, accumula quindi il nettare nella sua borsa mellaria per poi trasportarlo nell'alveare, dove lo deposita. A questo punto, entrano in gioco le api operaie: esse mangiano il nettare e, digerendolo, scindono gli zuccheri complessi in zuccheri semplici per mezzo di enzimi che idrolizzano il saccarosio del nettare in glucosio e fruttosio. Queste api, operosissime oltre che operaie, depongono poi il nettare sulle pareti delle celle del favo, dopodiché le api ventilatrici lo asciugheranno. Dopo circa un mese, le operaie lo spostano in altre cellette che poi sigillano con l'opercolo di cera. Il miele è pronto e per l'ape comincia il pericolo. I favi naturali non sono presi di mira soltanto dagli uomini che svolgono l'ormai rarissima professione di «cacciatori di miele selvatico», ma anche da alcuni animali detti mellivori, come la vespa o alcuni tipi di orso. Per quanto riguarda l'uomo, nel caso del miele selvatico, egli entra in scena semplicemente appropriandosi dei favi ricchi di miele. In qualità di apicoltore, invece, tiene la colonia di api domestiche nelle arnie, casette che contengono i melari all'interno dei quali le api realizzano i favi. L'arnia dell'apicoltore è una specie di alveare artificiale, mentre gli alveari e i favi naturali si trovano ovunque le api rintraccino autonomamente un riparo, dai fori degli alberi agli anfratti delle rocce. Attualmente, soltanto in Russia esistono in quantità rilevante i cacciatori di miele, per la precisione in Baschiria.Il miele selvatico Bashkir è rinomatissimo. La popolazione indigena si chiama bashkort, che vuol dire «capo delle api» o «apicoltore capo», e si occupa di «cacciare miele» da sempre. La caccia al miele, un po' come la caccia di animali, è progressivamente diminuita, fino a scomparire, man mano che si affermava l'allevamento apiario, ossia l'apicoltura. Il cacciatore di miele Bashkir raccoglie tra i 15 e i 25 kg di miele in un giorno e lo vende. È il miele più costoso al mondo. Costa 50€ al chilo nel villaggio di Starosubkhangulovo, che è vicino al parco di Altyn Solok. Ma a Mosca costa già dai 120 ai 200€ al chilo. La riserva di Shulgan-Tash (nella quale il turista può anche fare il tour del miele), il parco di Altyn Solok e il parco nazionale della Baschiria costituiscono un bacino mellifero selvatico preziosissimo. E preziosa è anche ogni arnia dell'apicoltura d'allevamento. Solo in Italia, consumiamo 20.000 tonnellate di miele all'anno. Ne produciamo circa 10-15.000 e altrettante ne importiamo, principalmente da Ungheria, Argentina e Cina, mieli assai più economici dei nostri anche per via del più basso costo della remunerazione del lavoro in quei paesi che si utilizzano per diluire i mieli nostrani: è la famosa dicitura «miscela di mieli comunitari ed extracomunitari» che troviamo sulla maggioranza dei vasetti di miele in un supermercato normale. Anche per questo, comprare miele esclusivamente italiano vuol dire non cedere al meticciato alimentare e sostenere l'economia nostrana. Il miele presenta 304 calorie ogni 100 grammi, non ha grassi di alcun tipo, né colesterolo. Ben 80,3 grammi di carboidrati (zuccheri) e 0,2 grammi di fibre, 0,3 grammi di proteine e poi sali minerali, sempre in minime quantità, tuttavia ci sono: 11 milligrammi di sodio, 51 grammi di potassio, 0,5 milligrammi di ferro, 6 milligrammi di calcio, 6 milligrammi di fosforo e 3 milligrammi di magnesio. infine vitamine. Vitamine: tracce di vitamina B1, 0,3 milligrammi di vitamina B3, 0,04 milligrammi di riboflavina, 1 milligrammo di vitamina C.Miele e zucchero sono entrambi composti da fruttosio e glucosio. Però in rapporto diverso: nello zucchero, rispettivamente, 50% il primo e 50% l'ultimo. Il miele ha circa il 30% di glucosio, il 40% di fruttosio e un restante 30% che oltre a acqua, polline, vitamine e sali minerali, è composto da altri zuccheri complessi. Secondo il nutrizionista Keith Kantor, quel 20% di zuccheri complessi (come la destrina) determina una maggiore fatica da parte dell'organismo per scomporli e assimilarli. Perciò l'assorbimento calorico del miele, rispetto allo zucchero, sarebbe inferiore.Lo zucchero ha poi 388 calorie ogni cento grammi e a parità di peso dolcifica di meno: di miele, quindi, ne basta meno dello zucchero. Naturalmente, chi deve evitare lo zucchero (diabetici, iperglicemici, chi sta seguendo un regime dimagrante), deve evitare anche il miele. Che è sconsigliato anche ai bambini fino a un anno di età, per non incorrere nel rischio del botulismo infantile.Il miele presenta delle ottime ragioni per essere assunto anche come (blando) rimedio naturale. Uno studio pubblicato su Pediatrics su 300 bimbi da 1 a 5 anni con la tosse ha dimostrato che, come spiegato dal dottor Herman Avner Cohen, «il miele è estremamente ricco di antiossidanti e può avere un qualche ruolo nella lotta contro qualsiasi infezione generata dal raffreddore. Inoltre, lubrifica le vie respiratorie superiori». L'effetto lenitivo e quello antimicrobico su laringe e faringe sono assodati. Ma, fatto salvo che il miele non è una medicina, per via della sua capacità antibatterica, ha effetti positivi anche sull'apparato digerente e intestinale: li protegge durante il trattamento di infezioni gastrointestinali, ripara la mucosa intestinale danneggiata e nel caso di gastroenterite ha effetti antidiarroici.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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