2025-04-16
Soldi pochi, incerti e a rischio rivalsa. Il dl Sicurezza non tutela gli agenti
Polizia di Stato (Imagoeconomica)
A chi va a processo per l’adempimento del dovere, il governo dà 10.000 euro per l’assistenza legale. Sostegno che, però, non è automatico e che può essere chiesto indietro pure in caso di assoluzione. Norma da rivedere. È un daato di fatto quello che, nella corrente prassi giudiziaria, si continua a considerare «atto dovuto», nonostante quanto validamente sostenibile in contrario sulla base di ben precise norme del Codice di procedura penale, l'apertura di un procedimento penale a carico dell’appartenente alle forze dell’ordine che, pur in presenza di conclamate cause di non punibilità quali la legittima difesa, l’adempimento di un dovere o l’uso legittimo delle armi, abbia ferito o ucciso qualcuno. È, perciò, senz’altro da approvare che si sia deciso da parte del governo di venire incontro alla insistente richiesta avanzata dagli organi rappresentativi del personale dei vari corpi di polizia perché si desse almeno un adeguato sostegno economico a quanti, fra le forze dell’ordine, debbano affrontare spese legali trovandosi, per «atto dovuto», a essere imputati o indagati in conseguenza di fatti commessi nell’esercizio ed a causa delle loro funzioni. Tale decisione si è concretizzata nell’articolo 22 del dl 48/2025, entrato in vigore il 12 aprile, in cui, al primo comma, è stabilito che agli appartenenti alle forze dell’ordine «indagati o imputati per fatti inerenti al servizio», i quali intendano avvalersi, per la propria difesa, di un libero professionista di fiducia, «può essere corrisposta, anche in modo frazionato», a loro richiesta, «compatibilmente con le disponibilità di bilancio dell’amministrazione di appartenenza, una somma, complessivamente non superiore a euro 10.000 per ciascuna fase del procedimento, destinata alla copertura delle spese legali, salva rivalsa se al termine del procedimento è accertata la responsabilità dell’ufficiale o agente a titolo di dolo». A prima vista potrebbe sembrare una norma degna di incondizionata approvazione. Ma, a una più attento esame, essa si presta, invece, a critiche non di poco momento. Tanto per cominciare, infatti, la corresponsione della somma in questione è rimessa - come rivelato dall’uso del verbo «può» - alla mera discrezionalità dell’amministrazione di appartenenza dell’interessato. Essa è, inoltre, subordinata alla riscontrata esistenza di «disponibilità di bilancio» che, in ipotesi, potrebbero anche mancare. Di fatto, quindi, l’interessato non ha alcuna garanzia che la sua richiesta sia destinata ad essere accolta e, in caso di mancato accoglimento, altro non può fare se non prenderne rassegnatamente atto oppure intraprendere l’impervia ed economicamente onerosa via del ricorso alla giustizia amministrativa. A ciò si aggiunga, poi, che, in molti casi, il limite massimo di 10.000 euro potrebbe risultare largamente insufficiente a fronte dell’entità delle spese richieste per una difesa che non sia quasi solo simbolica. Basti pensare all’eventualità, tutt’altro che remota, che essa richieda, oltre all’opera del difensore, anche quella di consulenti tecnici. Tutti questi inconvenienti sarebbero stati evitabili - e lo sarebbero ancora apportando al decreto legge, in sede di conversione, le opportune modifiche - se, per realizzare il lodevole intento perseguito dal governo, quest’ultimo avesse scelto la via più semplice e diretta: quella, cioè, di stabilire che gli appartenenti alle forze dell’ordine, se sottoposti a procedimento penale per «fatti attinenti al servizio», avessero automaticamente accesso al patrocinio legale a spese dello Stato, quale previsto per qualsiasi cittadino dal Dpr 115 del 2002. Patrocinio legale che, è bene ricordare, non implica affatto l’assegnazione all’interessato di un professionista nominato dall’autorità procedente, ma lascia che sia lo stesso interessato a scegliere il professionista di sua fiducia. Una gratuita, compiuta ed efficace difesa sarebbe stata quindi, in tal modo, assicurata, senza per questo escludere la possibilità che, con apposita norma derogativa della disciplina generale dell’istituto in questione, si stabilisse che l’interessato, in caso di condanna, fosse tenuto a rifondere allo Stato le spese da quest’ultimo anticipate per la sua difesa. A quest’ultimo proposito, però, non può non rilevarsi una palese incongruenza che appare ravvisabile fra la previsione che la suddetta rivalsa sia esercitabile, in caso di condanna dell’interessato, soltanto se la stessa sia stata inflitta per una sua accertata responsabilità «a titolo di dolo» e quella, contenuta nel comma 2 dello stesso articolo 22 del dl 48/2025, secondo cui la rivalsa può essere pure esercitata qualora il procedimento penale si sia concluso senza pronuncia di condanna o, addirittura, con pronuncia di assoluzione nel merito se, in sede disciplinare, sia stata riscontrata, a carico dell’interessato, una «responsabilità per grave negligenza». La «grave negligenza», infatti, altro non è se non una grave colpa per cui, a parità di negligenza o di colpa riscontrabili nella condotta dell’interessato, se quest’ultimo subisce condanna penale a titolo non di dolo ma di colpa (ad esempio, per eccesso colposo in legittima difesa o nell’uso delle armi) non sarà soggetto a rivalsa mentre potrà esserlo, paradossalmente, se, per la stessa condotta, viene totalmente assolto in sede penale ma rimanga a suo carico un procedimento disciplinare. Difficile immaginare una maggiore discrepanza rispetto ai principi della logica più elementare. Anche sotto questo profilo, quindi, sarebbe altamente auspicabile che, in sede di conversione, venissero apportate al decreto legge le opportune, radicali modifiche.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.