2020-05-07
Dj Fofò schiva l’Aula sullo scandalo Di Matteo
Alfonso Bonafede fa un tardivo dietrofront e annuncia un decreto contro i rilasci: tutto fumo per dribblare i chiarimenti alla Camera sulle accuse del pm palermitano. La Lega lo inchioda: «Aggira il problema». Silenzio imbarazzato da grillini, Quirinale e Csm.Sulla querelle che oppone il ministro grillino della Giustizia, Alfonso Bonafede e il magistrato Nino Di Matteo, il governo fa finta di niente. Il Quirinale è distratto, guarda altrove. Anche i vertici del Movimento 5 stelle sembrano colti da improvviso mutismo. Tutti evidentemente sperano che l'orribile contrasto, non per nulla semicensurato anche dall'informazione Rai, possa finire al più presto nel dimenticatoio. Eppure si tratta di uno scontro incredibile, scatenato da un pubblico ministero celebrato dai grillini come eroe dell'antimafia: Di Matteo, oggi membro del Consiglio superiore della magistratura, è l'inquirente palermitano che ha condotto il procedimento sulla presunta trattativa tra Stato e Cosa nostra, con cui i mafiosi nel 1992-93 puntavano a suon di bombe all'alleggerimento del carcere duro. Di Matteo accusa Bonafede di avergli offerto, nel giugno 2018, la poltrona di capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, e di avergliela poi negata a sorpresa soltanto 24 ore dopo. E ora, con quasi due anni di ritardo, il magistrato ipotizza che il dietrofront sia accaduto per la contrarietà manifestata da «importantissimi boss mafiosi» detenuti. È una vicenda che, se presa sul serio, potrebbe e forse dovrebbe portare all'apertura di un secondo processo su una nuova trattativa Stato-mafia. Come nulla fosse, invece, la politica va avanti. Lo stesso Csm, se si esclude la dichiarazione di tre membri eletti in quota M5s (per i quali Di Matteo dovrebbe «evitare di alimentare speculazioni e strumentalizzazioni che fanno male alla giustizia»), si è ritratto nella sua torre d'avorio.E i due contendenti? Di Matteo ieri ha ribadito e circostanziato tutte le sue accuse in una lunga intervista a Repubblica: «Ho sentito l'irrefrenabile bisogno di raccontare i fatti», ha spiegato. «Se mi chiameranno in una sede istituzionale, andrò a spiegare». Il ministro Bonafede, invece, ha cercato di ricostruirsi l'immagine da sincero antimafia. Così è andato alla Camera, per rispondere al question time. Ha attaccato il suo intervento confermando la sua «massima determinazione» nella lotta a Cosa nostra, ma le sue parole sono state accolte da brusii. Poi ha accennato alla querelle con Di Matteo: «Mi viene chiesto se e quali interferenze si siano manifestate sulla nomina di capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria nel 2018. La risposta è molto semplice: non vi fu alcuna interferenza, diretta o indiretta, in quella nomina». Non esattamente un chiarimento: vedremo se oggi, in Senato, saprà fare di meglio. Ma per dare il segno concreto del suo rinnovato impegno antimafia, ieri Bonafede ha soprattutto annunciato alla Camera che il ministero ha in cantiere un decreto che dovrebbe permettere ai giudici di sorveglianza «di rivalutare la persistenza dei presupposti per le scarcerazioni dei detenuti di Alta sicurezza e al 41 bis (il regime speciale riservato ai reclusi di mafia e particolarmente pericolosi, ndr)». Da giorni, mentre montava la polemica sulle troppe scarcerazioni di boss mafiosi, spediti agli arresti domiciliari dai tribunali per condizioni di salute che li ponevano a rischio di decesso nel caso di contagio da Covid-19, girava la voce che il ministro volesse cambiare le norme. In una riunione particolarmente «calda» con il suo staff, giorni fa, Bonafede aveva esclamato: «Basta, li rimando tutti dentro». Ora la retromarcia dovrebbe essere più facile: anche perché, con l'avvio della fase 2, la situazione della pandemia è formalmente cambiata. E il nuovo direttore del Dap, Dino Petralia, sta cercando le soluzioni alternative alle scarcerazioni che fin qui non erano state individuate dal suo Dipartimento. La novità del decreto anti-scarcerazioni è stata accolta con freddezza dall'opposizione, più interessata a far luce sulle accuse di Di Matteo. Il parlamentare leghista Jacopo Morrone, già sottosegretario di Bonafede nel primo governo Conte, ha detto che «il ministro ha platealmente cercato di aggirare il problema, sottraendosi a doverose spiegazioni». Anche Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia, ha criticato le omissioni del Guardasigilli: «Noi non parteggiamo né per lui, né per Di Matteo. Ma dobbiamo discutere della responsabilità politica del ministro e capire che cosa veramente sia accaduto». Il nuovo decreto, invece, è piaciuto molto al procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, che in aprile aveva manifestato contrarietà alle scarcerazioni («I mafiosi non possono tornare a casa: bisogna curarli e assicurare loro tutte le protezioni, ma mandarli agli arresti domiciliari significa riconsegnare un pezzo di Paese alla criminalità organizzata»). Due settimane fa, Cafiero aveva addirittura scritto al ministro e ai procuratori generali, chiedendo loro di attivarsi «per fermare l'emorragia» delle scarcerazioni da Covid-19. Ieri ha applaudito l'iniziativa del ministro: «Mi sembra un'ottima notizia», ha dichiarato. «Là dove ci sono spiragli, è giusto che almeno i più pericolosi rientrino in prigione».
La Global Sumud Flotilla. Nel riquadro, la giornalista Francesca Del Vecchio (Ansa)
Vladimir Putin e Donald Trump (Ansa)