2024-07-10
«Salvate gli agricoltori: c’è bisogno dei dazi sul grano da Ankara»
Vincenzo Divella (Imagoeconomica)
L’industriale della pasta Vincenzo Divella: «L’Ue ci vieta persino di produrre di più Impossibile reggere la concorrenza di turchi, canadesi e spagnoli».«L’Europa ha definito alcune aree di produzione che possono usufruire dei sussidi comunitari ma sono decisioni vecchie. Nel frattempo il mondo è cambiato, il fabbisogno di grano è aumentato e siamo invasi dalle esportazioni dalla Turchia. Solo i dazi possono salvare la nostra produzione». Vincenzo Divella, amministratore delegato del gruppo omonimo leader nella pasta nel mondo, parla a raffica. «Lo dico contro il mio stesso interesse, perché inserendo i dazi, i prezzi della materia prima aumenteranno, ma è il solo modo per salvare i nostri agricoltori».Ci faccia capire. Parla di dazi ma che aumenterebbero i prezzi ma che salverebbero il settore. Che vuol dire?«Il settore è influenzato dall’andamento del meteo e il clima altalenante ha ridotto la produzione delle ultime campagne. Questo inverno è stato il più caldo della storia, poche piogge, un’accelerazione nelle piante mai vista. La qualità del grano duro, dal quale si produce la semola e poi la pasta, è ottima ma la resa si è dimezzata rispetto all’anno precedente. La stima è del 30-40% in meno. È un’enormità, mai successo. Per la pasta, che l’Italia esporta in tutto il mondo, sono necessari circa 6,5 milioni di tonnellate di grano ma se ne producono solo 4 milioni. Questo fabbisogno è coperto sempre più dalla Turchia, che con il suo raccolto, quest’anno di circa 50 milioni di quintali, sta invadendo il mercato europeo e anche quello italiano».Ma anche in Turchia c’è la siccità.«Quel Paese ha creato un sistema di irrigazione super efficiente. Il 70% dei campi non soffre di mancanza di acqua. La resa è di 50-60 quintali a ettaro contro i 20 di media italiani. Con questo surplus invaderanno l’Europa e si possono permettere prezzi bassi, molto concorrenziali. Il povero agricoltore italiano, pur avendo un grano buono, viene pagato di meno dall’industria della pasta perché soffre la concorrenza della produzione turca a buon mercato».Ma così le culture diventano solo una remissione?«Qui volevo arrivare. Se il mugnaio trova grani nel mondo che costano meno, compra quelli. Come sono stati imposti i dazi alla Russia perché non farlo anche con i grani della Turchia? Dobbiamo garantire un minimo prezzo all’agricoltore che potrebbe essere almeno di 35-37 euro al quintale, mentre il listino Altamura indica una quotazione a 33 e mezzo. Quindi siamo sotto di 3-5 euro rispetto a quello che si dovrebbe pagare il grano italiano dove ci sono state rese molto basse. Già arrivano navi dalla Turchia con grani a 32-33 euro, quindi sotto i livelli minimi del grano nazionale che dovrebbe essere a 35-37 euro. Subiamo anche la concorrenza del Canada. Si stima che il raccolto da quel Paese, favorito da un clima senza siccità, arriverà al record di circa 65-70 milioni tonnellate, e si riverserà in Europa con gravi ripercussioni sulle quotazioni dei grani. Quest’anno ne sono arrivati in Italia circa 20 milioni di quintali. Servono i dazi, lo dico contro il mio interesse di pastaio, altrimenti l’agricoltore smetterà di seminare. Io prevedo una resa media in Puglia di 20-25 quintali, alcuni addirittura di 10-15 quintali a ettaro. Quest’anno probabilmente avremmo due listini: il grano canadese ed estero intorno a 30-32 euro a quintale e quello italiano a prezzi maggiori».Quindi la pasta non è fatta tutta di grani italiani?«Quella che si vende in Italia, per legge, deve indicare nell’etichetta l’origine della materia prima. Per il prodotto esportato questo non è necessario. Quindi un mugnaio che si rivolge al mercato estero, non avendo a disposizione la quantità di grano nazionale per soddisfare le esportazioni di pasta, può usare una materia prima proveniente da altri Paesi, quindi da Turchia o Canada o Spagna».Ma il grano non italiano è affidabile?«Il grano turco, quello spagnolo e il canadese sono ottimi. Noi compriamo dall’Arizona, che non ha eguali. Il grano duro che si comprava in Argentina si chiamava Candela perché veniva da semi importati da Candela, un Comune in provincia di Foggia. Poi a tutela della qualità del prodotto c’è una sanità marittima di eccellenza che preleva campioni e fa analisi su ogni carico di nave proveniente da fuori Europa e solo dopo aver verificato che il campione rispetta i parametri nazionali consente lo scarico. Possiamo quindi essere tranquilli sulla qualità dei grani che vengono dall’estero. Noi pastai italiani, che siamo i maggiori produttori al mondo, non possiamo rinunciare a importare, altrimenti non riusciamo a far fronte alla domanda».Non si può intensificare la produzione di grano?«Lo impedisce una legge europea che ha stabilito le aree di produzione alle quali destinare contributi a fondo perduto. Più di un certo quantitativo non si può produrre con i contributi comunitari. Bisognerebbe chiedere nuove aree di semina. Se l’Italia avesse la possibilità di produrre di più e si mettessero dei dazi, non ci sarebbero tensioni sui prezzi». Qual è il posizionamento del gruppo Divella nel settore?«Contiamo 380 milioni di fatturato e l’indagine Nielsen ci colloca come secondo gruppo nazionale. Produciamo 10.000 quintali di pasta al giorno e la quota dell’export è del 40%. Raggiungiamo 120 nazioni e abbiamo avviato un dialogo con la Cina molto proficuo. Abbiamo inviato uno chef a Pechino per insegnare, tramite una serie di eventi, il piacere della pasta in tavola. I coreani li abbiamo già conquistati».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.