2025-06-06
Disertare il referendum: istruzioni per l’uso
Matteo Salvini potrebbe ritirare le schede e scappare dal seggio, Roberto Vannacci lanciarle dall’aereo sul Parlamento, Antonio Tajani barricarsi dentro. Quale che sia la modalità, non partecipare resta possibile: nell’ordinamento non esiste alcuna obbligatorietà dell’atto elettorale.Allora vai o non vai a votare al referendum? Il quesito è secco, e in fondo non è difficile rispondere con un semplice sì o con un semplice no. Ma qui si scatena il genio creativo degli italiani, creature oblique e sempre contorte, inclini ad aggirare gli aut aut e timorosi di assumere posizioni nette. Noi siamo quelli delle porte socchiuse. Se un referendum chiedesse agli italiani se sono favorevoli alla pena di morte oppure all’eutanasia, troverebbero una via di mezzo, che so, il coma farmacologico, l’ibernazione, pur di non pronunciarsi in modo netto...Se chiedi a un italiano se va a votare al referendum si arrampica sugli specchi per non dirtelo: nell’attesa che capisca come la pensi tu o se c’è nei paraggi qualche militante referendario, cominciano le contorsioni verbali, la danza dei verbi condizionali, la vaghezza di propositi, come se si trattasse di un impegno tra sei anni. Oppure dichiarazioni reticenti del tipo: di solito vado a votare, se non ci sono imprevisti... O peggio, ci si barrica dietro impegni improrogabili quanto improbabili, ragioni climatiche, si scarica l’eventuale latitanza dai seggi sulla famiglia, il nonno da assistere, i figli da accompagnare alla recita o la moglie che esige dopo una settimana stressante che si vada al mare o a sistemare la casa di campagna. Magari addolcendo l’annuncio con una mezza promessa, ma se riuscirò a sbrigarmi in tempo, magari… Meglio non scoprirsi. È un’indole antica di noi italosauri, che esercitiamo d’istinto, per autodifesa, per paura del nemico, come se fosse pericoloso esporsi con un sì o con un no, o nel caso dei referendum con un vado o non vado. Non ti compromettere, dicevano un tempo le mogli prudenti. E noi stiamo sempre nel mezzo, tra il liscio e il gassato...La mossa di Giorgia Meloni è stata esemplare, come quella di Ninì Tirabusciò, è il riassunto e l’autobiografia di una nazione: lei va a votare ma non ritira le schede, così non fa crescere il quorum. Fa il dovere formale di recarsi alle urne ma fa solo ’a mossa. Che figata, esultano alcuni; che furbata, deplorano altri. La sua posizione ha suscitato infatti due tipi di reazioni, com’era prevedibile: una, di ammirazione popolare per la sua astuzia arcitaliana di aggirare il quesito e coglionare i referendari, scansando il linciaggio patito dal povero Ignazio La Russa che ha confessato il suo non voto ed è stato trattato come uno che vuole abolire la democrazia e trucidare lavoratori e migranti. L’altra reazione è di rabbia e insulto dei suoi avversari che vedono in questo paso doble della Meloni, in questa veronica con la scheda elettorale come il manto rosso ruotato dal torero per abbindolare il toro, un inganno e un’offesa alla plaza democratica, in sigla pd.C’è poi l’invidia segreta di tanti politici che vorrebbero escogitare un altro modo creativo di eludere la questione e gabbare il quorum, senza però imitare la Meloni. Suggerisco ad esempio a Salvini, per distinguersi dalla Meloni, di fare l’inverso, ritirare le schede ma poi scappare dal seggio, in modo che comunque quelle schede non potranno essere conteggiate, e risulteranno disperse. Suggerisco invece al più posato Tajani di barricarsi nella cabina e restare inerte fino alla chiusura del seggio, in modo da non votare e rallentare le operazioni di voto. Al generale Vannacci propongo invece un’azione dimostrativa più dannunziana: ritirare l’urna anziché le schede e poi lanciare in volo sul Parlamento i ludi cartacei referendari. Ai parlamentari di Fratelli d’Italia suggerisco di imbucare nell’urna dei fac-simile portati da casa con quesiti referendari farlocchi, in modo da farsi annullare le schede. Infine al creativo Renzi consiglio di trasformare la scheda sul Jobs act in un origami sfizioso che la renda irricevibile...Per quel che mi riguarda, più semplicemente non vado a votare, come del resto fa da tempo la metà del popolo italiano e più della metà per quanto riguarda i referendum. Vorrei ricordare che il voto è un diritto, non un obbligo, e ancor di più non lo è il voto per un referendum. Vorrei ricordare che il referendum è promosso da una minoranza di cittadini, che esercitando un loro diritto, raccolgono un certo numero di firme per proporre al popolo sovrano i loro quesiti. Mi sembra una giusta opportunità prevista dalla nostra democrazia. Ma davanti a un quesito, o più quesiti, promossi da una minoranza di cittadini, ho la possibilità di andare a votare e di esprimermi con un sì o con un no; ma ho anche la possibilità di ritenere che quel quesito non sia per me rilevante, ricevibile o da sottoporre a voto, o non debba essere posto in quei termini al vaglio del giudizio popolare. Dunque, tu hai tutto il diritto di proporlo, tu hai tutto il diritto di votarlo, io ho tutto il diritto di non votarlo, sia non andandoci che votando contro. Nel nostro codice esiste l’obbligatorietà dell’azione penale per i pubblici ministeri ma non esiste l’obbligatorietà dell’atto elettorale per i cittadini, tanto più per un quesito specifico e non per esprimere il voto su chi affidare le nostre istituzioni e le sorti della nostra democrazia. Mi sembra una risposta di elementare buon senso, che dovrebbe essere accolta pacificamente, senza inalberarsi. Nel merito specifico dirò che i quesiti sui lavoratori possono anche avere una loro plausibilità, ma è inaccettabile il situazionismo dei referendum, come succede ormai da tempo: servono per attaccare il governo in carica, anche se vanno a riformare leggi magari volute dalla sinistra al governo e non votate dalla destra all’opposizione. Non conta il merito ma l’effetto carambola che producono. Anche il quesito sugli immigrati per integrarli nella cittadinanza in tempi più brevi risponde a una logica simile: serve per andare contro il governo e per allargare la platea di potenziali votanti della sinistra. Visti i reali obbiettivi non vado a votare. Preferisco lasciare le cose come stanno e non perdere una mezza giornata a tornare in città, fingere di votare, e quando lo scrutatore mi offre la scheda, rispondere grazie ma ho già fatto colazione di schede a casa, oppure non desidero, sono astemio, sono vegano, non ho appetito referendario. Se non ci andrò se ne faranno una ragione, anche perché non sarò certo il solo...
Ecco #DimmiLaVerità del 3 settembre 2025. L'europarlamentare Silvia Sardone, vicesegretario della Lega, ci parla dello sgombero del Leoncavallo e dei fallimenti di Ursula von del Leyen.