2024-02-17
Affossata la direttiva sul lavoro. Da Berlino e Parigi sberla ai socialisti
Olaf Scholz e Emmanuel Macron (Ansa)
No di Scholz e Macron alle norme dirigiste sugli addetti delle piattaforme della rete: bocciate delle regole iperburocratiche che la sinistra voleva usare in campagna elettorale. Pasticcio Italia: era pronto il sì.Non ha retto alle critiche di numerose categorie di lavoratori e alle perplessità di alcuni giuristi, la direttiva Ue sui lavoratori delle piattaforme digitali. L’accordo sul testo, che era stato raggiunto una decina di giorni fa dai colegislatori Ue, è stato infatti respinto dagli ambasciatori dell’Unione europea (Coreper). All’ordine del giorno della riunione di ieri, infatti, tra le altre cose c’era il provvedimento che, dopo un lungo oblìo, era stato resuscitato da autorevoli esponenti del Pse con un timing un po’ sospetto, visto l'avvicinarsi della tornata elettorale continentale. Nello stop alla direttiva, fondamentale è stato il ruolo dei due governi più importanti tra gli stati membri, e cioè Germania e Francia, che in mattinata avevano annunciato la propria astensione assieme a Grecia ed Estonia. Secondo il regolamento, il quorum necessario per l’approvazione dell’accordo sulla direttiva era compromesso. Non a caso, poco prima del voto il gruppo dei socialisti aveva intensificato il pressing su Emmanuel Macron e Olaf Scholz pubblicando un tweet in cui si drammatizzava parlando di «giornata decisiva». «O gli Stati membri dell’Ue», si leggeva nel tweet, «voteranno a favore dell’accordo oppure la direttiva sarà morta. Volete davvero arrendervi agli interessi delle grandi piattaforme e voltare le spalle ai lavoratori europei, ai buoni datori di lavoro e al modello sociale europeo?». In realtà la questione era molto più complessa, a giudicare dalle reazioni negative di molti dei diretti interessati, che in teoria - seguendo il ragionamento dei socialisti - avrebbero dovuto esultare. Detta in maniera molto semplificata, il provvedimento, che nasceva dall’esigenza di evitare che lavoratori impiegati a tutti gli effetti come dipendenti dai grandi nomi della cosiddetta gig economy (il primo pensiero va ai rider) vengano inquadrati come collaboratori occasionali o finte partite Iva. Il problema si è posto per le categorie di lavoratori - migliaia in tutta Europa - che nei Paesi di provenienza hanno già disciplinato il proprio settore e hanno lunga tradizione di contrattazione collettiva, ma rischiavano di ricadere sotto la direttiva poiché questa, intendendo in modo molto vasto la categoria di lavoratore in piattaforme online, avrebbe compreso milioni di addetti. Il testo, infatti, avrebbe obbligato gli Stati membri a presumere l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, col risultato di creare un automatismo che avrebbe scavalcato la facoltà di legiferare in tema di lavoro da parte dei governi nazionali, per circa 30 milioni di lavoratori. Ed è proprio questo elemento che ha suscitato le perplessità prima di Parigi, quindi di Berlino, che hanno poi trainato Grecia ed Estonia. Il rappresentante italiano aveva lasciato filtrare un orientamento a favore della direttiva, senza però esporsi troppo, anche perché, una volta reso noto che ci sarebbero state quattro astensioni, il voto italiano, al pari di quello di tutti gli altri, sarebbe stato ininfluente. Resta il paradosso di due big europee, i cui governi sostengono la Commissione, che votano contro la direttiva, e di un governo come quello italiano quasi interamente all'opposizione di Bruxelles, i cui rappresentanti al Coreper si impegnano per un sì, senza un mandato parlamentare chiaro. Tra i più delusi gli spagnoli, che avevano condotto le trattative nel loro semestre di presidenza, e i belgi, che gli sono subentrati: «Purtroppo», ha scritto la presidenza belga, non è stata raggiunta la maggioranza qualificata necessaria. Riteniamo che questa direttiva, che vuole essere un importante passo avanti per questa forza lavoro, abbia fatto molta strada». «Ora valuteremo», ha concluso, «i prossimi passi». L’affossamento della direttiva, a livello politico, guasta i piani dei socialisti europei, che avevano puntato sulla sua approvazione per portarla come un grande successo in campagna elettorale. Come è noto, i maggiori sponsor del provvedimento sono tre esponenti del Pse: il Commissario Ue al Lavoro, il lussemburghese Nicolas Schmit, la ministra del lavoro spagnola Yolanda Diaz e l'eurodeputata dem Elisabetta Gualmini. Non a caso Schmit e la Gualmini sono stati i primi a commentare: «È profondamente deludente», ha scritto Schmit, «che gli Stati membri dell’Ue non siano riusciti a votare oggi la direttiva sul lavoro su piattaforma». Mentre Gualmini se l’è presa con «quattro governi che hanno voltato le spalle a 30 milioni di lavoratori tra i più vulnerabili e sfruttati al mondo» e ha parlato di «decisione incomprensibile». Nei giorni successivi all’accordo formalizzato nel Trilogo, si era levata la protesta di più di un settore interessato dalla direttiva contro la propria volontà. Il primo era stato quello dei tassisti, la cui associazione di categoria europea «taxis 4 smart mobility» aveva chiesto di mantenere una «netta distinzione tra taxi e piattaforme esclusivamente digitali, poiché i taxi sono altamente regolamentati». Poi, anche gli Ncc italiani, coordinati da Anitrav, avevano chiesto al governo Meloni di non votare la direttiva e a spendersi per far tornare le istituzioni Ue sui propri passi. Alla protesta si erano poi unite anche alcune associazioni delle grandi aziende della vendita diretta, tra cui Univendita.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.