2022-04-12
Diplomazia in salita. Lavrov contro l’Ue: «Vuole sopprimerci»
Il cancelliere austriaco da Vladimir Putin: «È stato un incontro duro». Il ministro russo esclude il cessate il fuoco prima di un accordo.La macchina diplomatica sulla crisi ucraina si è rimessa in moto, sebbene la strada appaia notevolmente i n salita. A testimoniare questa situazione è stato il viaggio effettuato ieri a Mosca dal cancelliere austriaco, Karl Nehammer, per incontrare il presidente russo, Vladimir Putin. È stata la prima volta che un leader europeo si è recato in Russia, da quando ha avuto inizio l’invasione dell’Ucraina. «Non è stato un incontro amichevole», ha affermato il cancelliere austriaco, che ha anche definito il colloquio «molto duro e franco». Nehammer ha detto al leader russo che le sanzioni contro Mosca «saranno ulteriormente inasprite finché in Ucraina le persone continueranno a morire». Nel corso del vertice, il cancelliere ha anche dichiarato «che la guerra deve cessare, perché in guerra ci sono solo sconfitti da entrambe le parti». Nehammer ha infine invocato la «necessità di un’inchiesta internazionale» sul massacro di Bucha. Insomma, si è trattato di un incontro particolarmente teso. In questo quadro, va tuttavia anche tenuto presente che la visita di Nehammer aveva ricevuto la benedizione del cancelliere tedesco, Olaf Scholz, ma che aveva al contempo causato delle turbolenze in seno al panorama politico austriaco. I Verdi, che governano attualmente a Vienna in coalizione con il Partito popolare di Nehammer, avevano infatti criticato il viaggio in Russia del cancelliere austriaco. Tutto ciò, senza trascurare che lo stesso Nehammer aveva di recente preso le distanze dalla «diplomazia telefonica» (tanto cara a Emmanuel Macron). Infine, sabato scorso, il cancelliere aveva avuto un incontro a Kiev con Volodymyr Zelensky e, nell’occasione, il presidente ucraino si era detto aperto a una soluzione diplomatica. Tutto questo per dire che non è al momento chiaro se lo sforzo diplomatico del leader austriaco sia completamente naufragato o se, al contrario, possa forse essersi registrato qualche (piccolo) spiraglio sotterraneo. Del resto, qualche timida apertura si intravede nella diplomazia vaticana: è infatti possibile che il 14 giugno Papa Francesco incontri a Gerusalemme il patriarca di Mosca, Kirill. Nel frattempo, la delegazione diplomatica dell’Ue ha fatto ritorno ieri a Kiev, mentre la Croazia ha espulso 24 diplomatici russi. Proseguono intanto le fibrillazioni politiche e militari. Ieri il governo di Kiev ha detto di aspettarsi a breve un’offensiva russa nell’Ucraina orientale. «Il nemico ha quasi finito di prepararsi per un assalto a est, l’attacco inizierà presto», ha dichiarato il ministero della Difesa ucraino. Di un imminente attacco russo nell’est ha parlato ieri anche Nehammer. Dall’altra parte, non sono mancati attriti tra Mosca e Bruxelles. Il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha criticato l’Alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri, Josep Borrell, che, invocando l’invio di più armi a Kiev, aveva detto: «Questa guerra sarà vinta sul campo». «Le dichiarazioni del capo della politica estera dell’Ue, Josep Borrell, riguardo all’Ucraina cambiano significativamente le regole del gioco», ha affermato Lavrov. «Quando il capo della diplomazia di un Paese dice che uno specifico conflitto può essere risolto solo con mezzi militari, significa che o ha accumulato qualcosa di personale o ha sbagliato a parlare o ha parlato d’impulso», ha aggiunto, per poi definire l’Ue una «testa di ponte volta a sopprimere la Russia». Lo stesso Lavrov ha inoltre escluso cessazioni delle operazioni belliche prima di un accordo di pace. Sempre ieri si sono registrate delle tensioni tra Nato e Cina. Pechino si è infatti lamentata di essere stata definita una «sfida sistemica» per le democrazie dall’Alleanza atlantica, accusando quest’ultima di «diffondere osservazioni false e provocatorie». Che il Partito comunista cinese manifesti comportamenti minacciosi, non è tuttavia una tesi esattamente infondata. Basti pensare allo smantellamento della democrazia a Hong Kong o alla repressione degli uiguri nello Xinjiang. La Repubblica popolare punta inoltre a far leva sulla crisi ucraina, per distogliere l’attenzione americana dall’Indo-Pacifico, indebolire le relazioni transatlantiche e rendere Mosca sempre più succube del Dragone. Non solo: durante lo scorso fine settimana, la Cina ha consegnato alla Serbia sistemi missilistici terra-aria HQ-22. Una mossa, questa, che va letta come un monito minaccioso alla Nato nel complicato contesto della crisi ucraina: ricordiamo del resto che Belgrado intrattiene stretti legami sia con Mosca sia con la Cina. Quella Cina che si sta avvicinando a un’India sempre più filorussa, in un asse che Joe Biden non ha la forza di disarticolare. Il presidente americano ha avuto ieri un colloquio con Narendra Modi, in cui -secondo la Cnn- «non ha chiesto espressamente al leader indiano di schierarsi [contro Mosca, ndr], né ha ricevuto un fermo impegno da Modi a ritirare gli acquisti di energia dalla Russia». L’irresolutezza, la passività e i cortocircuiti stanno rendendo Biden sempre più isolato. E per l’Occidente è un problema, perché Pechino guadagna intanto pericolosamente terreno.