2023-12-19
Gli «avvocati» del porporato perdonano tutte le operazioni da squali della finanza
In soccorso al monsignore arrivano Ernesto Galli della Loggia, Lucetta Scaraffia e molti altri. Petrolio, immobili di lusso e Obolo di San Pietro passano in secondo piano: è colpa del Papa re.Era questo periodo dell’anno di 12 anni fa quando l’allora sostituto per gli Affari generali del Vaticano, monsignor Angelo Becciu, riceveva a Roma il benefattore della Nunziatura di Luanda, Antonio Mosquito. Un trader e tuttofare angolano che il monsignore sardo aveva conosciuto durante i suoi otto anni in Africa. Mosquito propone un progetto di estrazione petrolifera da circa 200 milioni. «Falcon oil», questo il nome del dossier, viene addirittura sottoposto al segretario di Stato, Tarcisio Bertone, e a scendere al responsabile amministrativo Alberto Perlasca. La cosa è grossa e così rischiosa - dal punto di vista finanziario - che per il tramite del finanziere legato a Credit Suisse, Enrico Crasso, e già consulente della segretario di Stat,o viene introdotto come consulente l’altro protagonista del maxiprocesso appena concluso. È il finanziere londinese, Raffaele Mincione, di fronte al rischio di mandare in Angola 200 milioni di euro presi dalle donazioni per i poveri propone un altro grande investimento: il palazzo di Sloane Avenue. Da qui nasce un intreccio complicatissimo da dipanare che, nonostante le rigidità della giustizia vaticana - che dalla sua non ha la tradizione anglosassone - fa emergere un dato incontestabile. Quei soldi per i poveri sono stati gestiti nel modo più aggressivo, poco immaginabile per fondi di privati, assurdo se li si collega alla Chiesa. Nel quinquennio analizzato dal processo, il gruppo di consulenti coinvolti ha preso oltre 100 milioni di commissioni. Una cifra enorme e del tutto fuori dalle prassi dei mercati finanziari. Il celebre Mosquito, la cui proposta è stata sviscerata nella diciassettesima udienza del processo, a un certo punto decide di finanziare per una cifra vicina al milione e mezzo un birrificio in Sardegna. Guarda caso del fratello di Becciu. In questa vicenda i funzionari civili della segreteria sono stati condannati per autoriciclaggio e molti dei reati sono stati cancellati l’altro giorno per mancanza di prove. Per anni si sono seguite le tracce di quell’enorme massa di commissioni. Conti in giro per il mondo. Ipotesi di varia natura e teorie che hanno portato gli inquirenti persino nella Repubblica Dominicana, uno dei luoghi con il segreto bancario più solido del globo. Insomma, si può entrare nel dettaglio e spaccare il capello. La sentenza, come tutte le sentenze, avrà i suoi coni d’ombra. Ma la difesa a spada tratta di monsignor Becciu rischia di essere una difesa di un sistema legato al potere e ai soldi e slegato del tutto ai valori fondanti della Chiesa. È vero, papa Francesco ha preso la palla al balzo e ha riformato le strutture e i dicasteri. Ha imposto che l’immobile di lusso venisse rilevato e poi venduto. Facendo confluire i pacchetti di investimenti dentro l’Apsa, chiudendo il cerchio già avviato con lo Ior, la banca vaticana. L’ha fatto con virulenza e brandendo lo spadone? Sì. Poteva farlo in altro modo? Certamente. Ma non è questo il punto. È possibile che la condanna a oltre cinque anni a Becciu porti pezzi di Paese Italia ad attaccare Bergoglio in modo strano e trasversale. Prima - quasi preventivamente - tocca a Ernesto Galli della Loggia che dalle colonne del Corriere della Sera punta il dito sul «rifiuto nel governo della Chiesa della democrazia e dello Stato di diritto, dato le nomine a propria immagine nel collegio cardinalizio; e», prosegue l’editorialista, «l’atteggiamento assunto nel caso Becciu, condannato senza processo con la sospensione dell’habeas corpus, che della stagione liberale era uno dei principi fondanti». Ancor più dura è Lucetta Scaraffia sulla Stampa di ieri. Pure la storica e giornalista, al di là delle sue rimostranze personali, tira fuori l’accusa del Papa re. Prosegue puntando il dito su dossier delicati, sui quali c’è da parte nostra profonda condivisione. La politica estera, i rapporti con la Cina, l’apertura all’ambientalismo umanizzante. Solo che tutto rischia di perdere senso se diventa una difesa a priori dei condannati. Alla fine in quegli anni si era creato un sistema valido per un hedge fund. Nulla a che vedere con la gestione del buon padre di famiglia. Ribadiamo: erano i soldi dell’Obolo di San Pietro, non milioni messi sul tavolo da raider finanziari spregiudicati. Se si omettono del tutto i fatti, alla maggior parte dei lettori e ai fedeli della Chiesa verrà il dubbio che non si dibatta di principi e valori e di idee millenarie, ma che si voglia di nuovo tirare fuori discordie che portano ai solito due peccati. Il denaro e il potere. Nulla che ci scandalizzi. Ma le cose meritano di essere chiamate con il loro nome.
La Battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571 di Andries Van Eertvelt, dipinto del 1640 (Getty Images)
(Totaleu)
Lo ha dichiarato l'eurodeputato di Fratelli d'Italia in un intervento durante la sessione plenaria del Parlamento europeo di Strasburgo.