2021-11-28
Il mega business dietro Omicron
Ursula Von der Leyen (Ansa)
Panico per una variante ancora misteriosa. Eppure Ursula Von der Leyen si aspetta già che Pfizer & C «aggiornino» i vaccini. Le case si dicono pronte. Risultato: il valore di mercato sale di 50 miliardi. È già partita la grande gara per i profitti futuri su sieri e terapie.Non sappiamo ancora quali siano le caratteristiche epidemiologiche della nuova variante Omicron, né la sua capacità di indurre malattia più o meno grave, né se e quanto sia in grado di aggirare la barriera vaccinale. Ma il mercato è già andato nel panico. I timori che la Omicron possa alimentare epidemie in molti Paesi e mettere sotto pressione i sistemi sanitari, eludere potenzialmente i vaccini e complicare gli sforzi per riaprire economie e frontiere hanno scatenato un'ondata di avversione al rischio nelle sedute di venerdì. L'indice S&P 500 è sceso del 2,4% mentre in Europa lo Stoxx 600 è sceso del 3,7% segnando il suo più grande calo da giugno 2020 e Piazza Affari ha ceduto oltre il 4%. Il petrolio è crollato di oltre il 10%, scendendo sotto i 70 dollari al barile a New York per la prima volta dalla fine di settembre. Della nuova variante sappiamo ancora molto poco. Eppure qualcuno, cavalcando l'allarme Omicron, ha già guadagnato parecchio. A cominciare da chi ha shortato, ovvero scommesso al ribasso sul prezzo di un'azione. Sui forum di trader c'è chi stappa lo champagne guardando al prevedibile rimbalzo di alcuni titoli domani, quando riapriranno le Borse. Ma brinda anche il comparto dei fondi che in portafoglio hanno titoli legati al Pharma. Quelli di Moderna sono saliti di oltre il 20% a Wall Street (partiva da 273,4 dollari con una capitalizzazione di circa 110 miliardi e a chiuso a 329,6 dollari con una market cap di 133, quindi ha aumentato il valore di 23 miliardi), seguiti a ruota dalle azioni BionTech (+15,5%, 10 miliardi in più in termini di market cap) e da quelle di Pfizer (+6%) che sono passate da 50,8 dollari a 54 dollari aggiungendo 17 miliardi di dollari al suo valore di mercato e portando la capitalizzazione in un giorno da 286 a 303 miliardi di dollari. Se si sommano i guadagni di venerdì, quindi, i tre colossi insieme al momento valgono 50 miliardi in più. Va poi considerato un altro tipo di effetto che l'allarme Omicron avrà sul business dei colossi farmaceutici produttori di vaccini. In termini non borsistici ma di strategia. È infatti già partita la gara tra big a chi trova prima lo scudo. Pfizer e Biontech fanno sapere che stanno già studiando Omicron e contano di avere i primi risultati «al più tardi entro due settimane». Non solo: «nel caso emerga una variante che sfugga al vaccino saranno in grado di sviluppare e produrre un immunizzante su misura in circa 100 giorni, previa approvazione normativa». Moderna ha annunciato di avere tre linee di difesa che avanzano in parallelo: «Un booster con una dose più alta di mRna-1273. Poi, stiamo studiando in fase clinica due candidati booster multivalenti che anticipano mutazioni come quelle emerse nella Omicron e i dati sono attesi per la prossima settimana. Inoltre stiamo procedendo con un candidato booster specifico», ha detto Stèphane Bancel, Ceo dell'azienda Usa. Occhio poi ai nuovi concorrenti pronti a scendere in pista. Come Novavax, il cui vaccino contiene una versione effettiva della proteina Spike del virus che non può causare malattie ma può attivare il sistema immunitario. L'azienda americana ha affermato di aver iniziato a sviluppare una proteina Spike basata specificamente sulla sequenza genetica nota della variante scoperta in Sudafrica. «Il lavoro iniziale richiederà alcune settimane», ha detto un portavoce dell'azienda (che venerdì ha guadagnato quasi il 9% in Borsa). Intanto, la sfida tra big si giocherà anche su un altro campo, quello dei cosiddetti treatment. Ovvero le terapie che funzionano in un approccio integrato con il vaccino (e non sono quindi un'alternativa a esso). Lo scorso primo settembre Albert Bourla, ad di Pfizer, ha cinguettato su Twitter che «il successo contro il Covid probabilmente richiederà sia vaccini che trattamenti», per poi annunciare il nuovo antivirale orale progettato per combattere il virus in adulti non ospedalizzati e a basso rischio. Che farà concorrenza alla pillola lanciata da Merck. Una volta rafforzato l'arsenale contro il Covid, però, vanno considerate altre variabili: come il costo dei nuovi booster anti varianti (già a febbraio, in un incontro con Merrill Lynch il direttore finanziario di Pfizer aveva parlato di 150-170 dollari riferendosi al prezzo «target» della singola dose di vaccino). Ma anche le dinamiche geopolitiche che incidono sugli acquisti che nel caso dell'Europa potrebbero essere non più centralizzati, come nel primo round della campagna vaccinale. «I contratti dell'Unione europea con i produttori affermano che i vaccini devono essere adattati immediatamente alle nuove varianti man mano che emergono», ha detto venerdì la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Con chi si schiererà Bruxelles nella prossima sfida tra produttori? Verranno, come è successo già al primo giro, «spinte» Pfizer e l'alleata tedesca Biontech? Vedremo. Di certo, l'allarme Omicron è inoltre scattato mentre con l'addio di Angela Merkel, la Cdu è ancora forte a Bruxelles contro il cosiddetto governo «semaforo» di Olaf Scholz. Quanto all'Italia, ha già speso 2,3 miliardi per 121,5 milioni di dosi di vaccino prodotto da Pfizer-Biontech a 19,50 euro a dose. Ovvero il 13,5% di quel nuovo contratto da 900 milioni di dosi firmato dalla Commissione Ue a inizio maggio per avere garantite le forniture a partire da gennaio 2022. E la cifra può anche raddoppiare considerando la parte pro quota degli altri 900 milioni di dosi già opzionate da Bruxelles da qui al 2023. L'essere legati troppo a una sola azienda può esporci al rischio di esserne dipendenti per i prossimi anni, sia in termini di forniture sia di gestione dei richiami. Presto arriveranno sul mercato nuovi vaccini, persino più evoluti, e nuove terapie. Avremo i soldi per comprarli?
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)