
Sui giornali il campione è costantemente accostato all'Altissimo. Un po' troppo, visto che fuori dal campo ne fece di tutti i colori.Dio? Proprio Dio? Davvero? Non Dio del pallone (che è già tanto). Non Dio del calcio. Non Dio degli stadi. No, proprio Dio. L'Eterno. L'Onnipotente. Il Creatore. Ma vi sembra normale leggere nell'articolessa principale di Repubblica, nuovo vangelo di papa Bergoglio, che «Maradona non era un santo» (troppo poco) «ma era un dio» (tout court)? Vi sembra normale girare pagina e trovare Roberto Saviano che, diventando all'improvviso clemente con i peccati di camorra, sostiene che Diego era «veramente Dio» e, perciò, ora che è morto «ci accorgiamo che Dio era mortale»? Vi sembra normale che persino il presidente francese Emmanuel Macron, dimenticando all'improvviso la sbandierata laicité, dichiari: «C'era un re Pelé, ora c'è un Dio, Diego»? Vi sembra normale che il titolo del Corriere del Mezzogiorno sia «D10s è morto»? E quello del Domani: «Maradona, un Dio a Napoli»? A me no. Non sembra normale. Scusatemi, questa volta sono proprio fuori dal coro, ma continuo a pensare che sarebbe meglio non nominare il nome di Dio invano. Lo dicono i comandamenti, che sono opera della mano del Supremo più di un gol all'Inghilterra, fino a prova contraria. Per altro oserei sperare che il Dio in cui credo sia leggermente diverso da Maradona. E che per lo meno, con rispetto parlando, non si faccia di cocaina, non sia alcolizzato (al massimo un po' di vin santo durante la messa) e non si diverta ad andare a puttane. Vi sembra una terribile offesa a Napoli e alla sua voglia di riscatto se dico che Maradona è stato un fuoriclasse, un campione, il più grande di tutti, magari anche un simbolo se volete, ma che confondere lui e il Padreterno è e resta una bestemmia? Quel giocatore ha regalato sogni. Ha saputo farsi amare. Ma ha faticato a essere un uomo onesto. Figurarsi se può essere Dio. Eppure tutto vale nello tsunami di retorica che ci ha travolti dal momento in cui è stata annunciata la morte del campione argentino. Abbiamo scoperto che Maradona, oltre naturalmente a essere Dio, era anche alternativamente Picasso, Caravaggio, Picasso e Caravaggio insieme, Mozart, Beethoven, Che Guevara, Jorge Luis Borges, Simon Bolivar, Evita Peron, napoleonico e kennediano (insieme), Mohammed Alì, il Neo di Matrix, l'elettricista di Eraldo Pecci e un taumaturgo. Uno e trino, onnipresente, onnisciente. Ogni cosa la faceva da padreterno qual era, fosse anche solo cucinare la pasta, come raccontano i compagni di squadra che rispuntano fuori come funghi. Tutti amicissimi. Tutti intimi. E tutti emozionati. Santo Maradona. E santi pure i suoi spaghetti. Che già nel momento di essere cucinati non erano cibo. Erano immediatamente reliquia.E in campo? Beh, lo sanno tutti: Maradona era una specie di Don Bosco in braghette corte, san Domenico Savio in versione mezzala. Non sudava: traspirava incenso. Non parlava: salmodiava. «Non ha mai offeso un avversario», assicura per dire Ciro Ferrara. «Mai un'intemperanza, mai un fallo di reazione», certifica Gigi Garanzini. Dimenticando forse alcuni episodi memorabili, come quello del 5 maggio 1984 quando colui che non ha mai offeso un avversario mandò un avversario all'ospedale tirandogli un calcione nello stomaco a gioco fermo. Gli spezzò alcune costole e scatenò una rissa da far west in cui si distinse per come menava fendenti. Però, ecco, erano fendenti che non offendevano. Quasi carezze. Una benedizione impartita da un aspirante dio a un aspirante protomartire. E quando urlò «figli di p.» a quelli che lo fischiavano durante la finale dei mondiali in Italia? Non erano insulti, ovvio. Perché lui non ha mai offeso nessuno. Mai. Era una liturgia che noi, poveretti, non avevamo ancora capito. Del resto chi è che può comprendere Dio? Lui «negli anni Ottanta era già nel futuro» (La Stampa). E perciò con lui «si chiude finalmente il Novecento». Capito? Ha oltrepassato la soglia del tempo e ha allungato il secolo breve fino a oggi, in barba al calendario. È stato contemporaneamente passato, presente e futuro. Ovviamente eterno. Lui, infatti, non era un uomo. E non era nemmeno un calciatore. Era, direttamente, il calcio. Niente meno. E adesso infatti, con la sua morte, «è finito il calcio»., come titolano in tanti. Le prossime partite? Non esistono. Ronaldo e Messi? Probabilmente fanno i ballerini. Il calcio è finito, stop. L'unico sport che rimane è il salto triplo dell'iperbole. Il tuffo sincronizzato nella retorica. E guai a voi se provate a dire che Maradona è «il più grande». Gente come Maurizio de Giovanni (Corriere del Mezzogiorno) s'indigna: «Se dite così lasciate pensare che esista un metro di paragone. Lui non era il più grande. Lui era in una categoria a parte. Che gli altri si disputino pure la miseria di una graduatoria umana e terrestre». Lui non era né umano né terrestre. Lui era semplicemente Dio. Dal Te Deum al Te Diegum, osanna nell'alto dei dribbling.In effetti di Maradona si ricordano innumerevoli miracoli: quando moltiplicava gli stipendi dei giocatori, per esempio, o quando appariva contemporaneamente in più campetti di periferia a rotolarsi nel fango con i bambini, o quando spiegava a Wojtyla come si deve fare il Papa o quando frequentava i camorristi per fare festini a base di cocaina. Tutti eventi stupefacenti, si capisce. Soprattutto l'ultimo, che però nelle agiografie a reti unificate viene minimizzato. Del resto uno che sa essere insieme napoleonico e kennediano, Che Guevara e Picasso, Mozart e Simon Bolivar, uno soprattutto che sa aggiustare il televisore di Eraldo Pecci, chi se ne importa se poi è tossicodipendente in combutta con i peggio criminali della città? Infatti per onorarlo degnamente a Napoli hanno pensato bene di violare tutte le regole del coprifuoco, calpestando distanziamenti e zona rossa. Nessuno, però, si è indignato. Ovvio: la Messa di Natale si può sacrificare, la Messa di Diego no. Anche San Paolo appare ormai un nome indegno per lo stadio: verrà cambiato in San Maradona. «È stato un fuoriclasse», ha scritto Luciano Moggi. Ma non un fuoriclasse sul campo. Non un fuoriclasse del pallone. Non un fuoriclasse per la sua capacità di interpretare la voglia di riscatto di una città e di un popolo. No. «È stato un fuoriclasse come uomo». In effetti, come non averci pensato prima? In fondo tutti noi sogniamo che i nostri figli prendano a modello fuoriclasse così.
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