2020-06-02
Diano retta alla Consulta e sciolgano il Consiglio
«I magistrati per dettato costituzionale debbono essere imparziali e indipendenti, e tali valori vanno tutelati non solo con specifico riferimento al concreto esercizio delle funzioni giurisdizionali, ma anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento, al fine di evitare che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza e imparzialità nell'adempimento del loro compito. (...)(...) I principi anzidetti sono quindi volti a tutelare anche la considerazione di cui il magistrato deve godere presso l'opinione pubblica; assicurano al contempo, quella dignità dell'intero ordine giudiziario. Che la norma denunciata qualifica prestigio e che si concreta nella fiducia dei cittadini verso la funzione giudiziaria e nella credibilità di essa». La frase che ho appena riportato fra virgolette non è mia e nemmeno di Matteo Salvini o di Silvio Berlusconi. E tuttavia si attaglia perfettamente alla situazione attuale, con la magistratura scossa dai messaggi che pm e giudici si scambiavano alle spalle dei processi. A ricordare che per le toghe esiste una regola deontologica che va osservata in ogni comportamento è stata la Corte costituzionale, in una sentenza che risale a quasi 40 anni fa. Un pronunciamento con cui i giudici della legge stabilivano che esiste un limite al diritto dei magistrati di manifestare il proprio pensiero, perché è vero che la Costituzione garantisce libertà di espressione a ogni cittadino, ma nel caso di chi amministra la giustizia non è senza limiti. In pratica, secondo la Consulta, per meritarsi la tutela costituzionale che ne garantisce autonomia e indipendenza, il magistrato deve attenersi a questi principi anche in ogni comportamento.Ora, la faccenda vi sembrerà materia da seminario di studi giuridici invece, visto ciò che quotidianamente riportiamo sulle pagine del nostro giornale, così non è, perché a leggere quanto si scambiano via sms i rappresentanti delle toghe si capisce che non solo il loro comportamento non è imparziale, ma che l'equidistanza richiesta da chi rivendica autonomia e indipendenza è solo una finzione. Nei giorni scorsi abbiamo riportato i messaggi fra i capi delle correnti e il vicepresidente del Csm. In essi si capiva che Giovanni Legnini, l'uomo che il Pd mise alla guida del parlamentino dei giudici, sollecitava le toghe a schierarsi contro Salvini nel momento in cui questi, da ministro dell'Interno, era finito al centro di un'inchiesta giudiziaria per avere chiuso i porti. Legnini si è difeso dicendo di non essere uscito dai binari assegnatigli dal mandato: «Era mio dovere istituzionale, prima di assumere qualsiasi posizione, consultarmi con i componenti del Consiglio. Pertanto chiesi ai rappresentanti dei gruppi di esprimere la loro posizione». Peccato che Legnini abbia sentito il bisogno di ascoltare solo i rappresentanti togati e non quelli nominati dal Parlamento, segno evidente di un tentativo - peraltro riuscito - di schierare la magistratura contro un ministro e leader politico, proprio ciò che, come scrisse la Consulta, se si volesse difendere l'autonomia e l'indipendenza della magistratura non si dovrebbe fare.L'osservazione vale anche per le nuove intercettazioni che pubblichiamo oggi. Da esse esce un quadro di persone che amministrano la giustizia non nel puro rispetto della legge, ma sulla base della convenienza personale e politica. Sindacalisti con la toga che non si occupano di far funzionare meglio i tribunali e di fare in modo che la prescrizione non diventi un modo di farla franca, ma si danno da fare per non disturbare questo o quello, quando quello è un presidente o un ex presidente del Consiglio.Tutto ciò spiega perché insistiamo a chiedere un rinnovo completo del Csm, da farsi ora e non fra un anno. L'attuale consiglio è troppo dominato dalle correnti e non basterebbe che durante il voto delle diverse pratiche che sarà chiamato a esaminare, alcuni esponenti coinvolti nelle intercettazioni si astenessero. Fino a ieri i capi delle correnti negoziavano fra loro nomine e iniziative dal chiaro profilo politico e questo toglie legittimità e legittimazione all'organismo, che non può decidere sanzioni o decisioni ignorando i rapporti che hanno legato molti suoi esponenti. È inutile fingere di non vedere gli intrecci intessuti e gli scambi realizzati all'ombra di Palazzo dei Marescialli. Oggi è il 2 giugno, festa della Repubblica, e la magistratura, che è un ordine della Repubblica, dovrebbe ricordare che se si pretende autonomia e indipendenza bisogna anche che siano applicate le disposizioni della Corte costituzionale. L'imparzialità va osservata in ogni comportamento, perché i primi a dover difendere il prestigio presso l'opinione pubblica sono gli stessi magistrati. Un prestigio che si rappresenta anche dimettendosi per dare il via a un ricambio.