2023-04-24
Di Maio abolisce la sua povertà
Luigi Di Maio (Imagoeconomica)
L’ex M5s inviato speciale dell’Unione per il Golfo (12.000 euro al mese). L’eredità di Draghi e Mattarella imbarazza la maggioranza. Ma è l’ultimo campione di una specialità della sinistra e dei suoi alleati: più gli elettori li puniscono, più arrivano poltrone e potere.Più perdono e più si incollano alla poltrona. L’ultimo ad aver fatto uso dell’Attack è Luigi Di Maio, indimenticato ministro del Lavoro nel governo Conte. Di posti per i disoccupati non ci risulta che ne abbia mai trovati, né pare sia stato in grado di risolvere le crisi aziendali quando era alla guida del Mise, ministero per lo Sviluppo economico. Tuttavia, sei mesi dopo essere stato mandato a casa dagli elettori, per sé ha trovato un incarico di lusso: inviato speciale della Ue per il Golfo. Per un anno, per lo meno fino a che i vertici dell’Unione saranno rinnovati, girerà il mondo, in particolare i Paesi del Medioriente, dove non pare fosse particolarmente popolare. Ma il requisito che ha portato alla scelta dell’ex capo politico grillino non è il tasso di gradimento o di notorietà, semmai quello di fedeltà. E da questo punto di vista, Di Maio ha punti da vendere. In pochi anni si è fatto conoscere da quelli che contano e che possono decidere, tanto da guadagnare un premio alla carriera. A essergli grati sono in tanti, da Sergio Mattarella a Ursula von der Leyen, passando per Mario Draghi. Per tutti è stato una garanzia, perché con lui al ministero degli Esteri non ci sono stati problemi ad assecondare i desideri di Bruxelles e nemmeno a far passare le richieste dei nostri alleati. Dunque, anche se inviso alla maggior parte dei Paesi del Golfo, a causa di alcune gaffe e anche del blocco della vendita degli armamenti, Di Maio sarà l’alto rappresentante europeo per quell’area.Dunque, per almeno un anno o più, l’ex ministro ha risolto i suoi problemi primari. E probabilmente anche quelli secondari. In attesa delle prossime elezioni europee, quelle con cui Giorgia Meloni spera di fare il ribaltone, spostando l’asse delle decisioni da un esecutivo di centrosinistra a uno più moderato, Di Maio avrà modo di guardarsi intorno decidendo il proprio futuro. Ovviamente, la maggioranza di centrodestra non ha preso bene questa nomina. E dalla Lega a Forza Italia si è levata più di una voce di protesta, perché la designazione dell’ex capopopolo grillino è parsa una provocazione in netto contrasto con il nuovo governo. Cosa che corrisponde al vero. Tuttavia, Di Maio non è il solo a essersi accasato nelle istituzioni europee o nelle aziende pubbliche nonostante la batosta elettorale. È sufficiente avvolgere il nastro, riandando con la memoria agli anni passati, per renderci conto che questa è la regola. Più perdono e più si incollano alla poltrona, facendo incetta di incarichi politici. Prima di Di Maio, ci riuscì Paolo Gentiloni, che spazzato via da Palazzo Chigi rientrò dalla finestra della Commissione europea, nominato commissario Ue all’Economia. Un premier sconfitto in patria che viene premiato all’estero dovrebbe far pensare e magari dovrebbe indurre anche a un passo indietro. Ma Er Moviola (questo il soprannome dell’ex presidente del Consiglio che solo la sconfitta di Matteo Renzi elevò a capo del governo) non è tipo da arretramento, ma semmai da avanzamento. E infatti, sebbene avesse perso le elezioni, non esitò ad accettare l’incarico.Del resto, sono in tanti gli esponenti politici che sconfitti nell’urna hanno vinto alla lotteria trovando incarichi alternativi in aziende controllate dallo Stato o in altre istituzioni. Lo stesso Mattarella ne è un esempio. Una volta rimasto fuori dal Parlamento, nel 2011 riuscì a farsi eleggere giudice costituzionale e da lì a ricominciare una carriera politica, fino a diventare presidente della Repubblica. Romano Prodi, battuto come premier da una maggioranza che gli fece lo sgambetto, ricicciò come presidente della Commissione europea. Se questi sono due dei più significativi esempi di incarichi con porte girevoli che hanno permesso a uomini politici di recitare più parti in commedia, altri non meno importanti possono essere reperiti guardando alle aziende pubbliche. Fatto fuori da Renzi, che gli preferì Gentiloni come ministro degli Esteri, Lapo Pistelli, di cui il Rottamatore fiorentino era stato portaborse, si accasò all’Eni, garantendosi uno stipendio. Non molto diversa la scelta di Marco Minniti, che una volta lasciato il ministero dell’Interno, causa sconfitta elettorale, si è riciclato come presidente di una fondazione finanziata dal gruppo pubblico Leonardo. E l’ex segretario «traghettatore» del Pd, Maurizio Martina? Dritto alla Fao come vicedirettore, su proposta di... Di Maio. Un altro D’Alema boy (Minniti faceva parte dei Lothar di Palazzo Chigi, quando al governo c’era l’ex segretario dei Ds) è Nicola Latorre, anch’egli esponente del Pd, che perso il seggio ora è direttore delle industrie della Difesa. Sì, una volta mandati a casa dagli elettori, a sinistra si trasformano tutti o quasi in manager o in rappresentanti delle più alte istituzioni, forse perché il giudizio poi non è più affidato al voto. Sta di fatto, che in enti o in aziende pubbliche, la caratteristica che accomuna i compagni è la sistematica occupazione del potere. Che sia in Parlamento o altrove, una volta agguantata la poltrona non la mollano, fedeli al vecchio motto andreottiano per cui il potere logora solo chi non ce l’ha. In effetti, a pensarci bene, da Mattarella a Prodi, passando per Di Maio, sempre di democristiani stiamo parlando. E anche i Minniti e i Latorre, che pure dc non erano, a forza di frequentare il Palazzo, un po’ navigatori nel ventre della Balena bianca lo sono diventati.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)