2022-06-22
Di Maio divorzia dal M5s di Giuseppi e in Aula battezza la sua Italietta viva
Luigi Di Maio e Giuseppe Conte (Ansa)
II ministro fonda un gruppo con sottosegretari e peones. Si salva il governo e alle politiche resterà pure l’alleanza con l’avvocato.Luigi Di Maio dice addio al M5s, fonda un gruppo parlamentare tutto suo, Insieme per il futuro, strappa una cinquantina di parlamentari tra deputati (circa 40) e senatori (una dozzina) a Giuseppe Conte e si prepara ad affrontare le politiche del 2023 guardando al centro, anzi al centro-sinistra, con trattino d’ordinanza, come ci riferiscono diversi suoi fedelissimi. I gruppi pentastellati, dunque, subiscono una drastica cura dimagrante: alla Camera passano da 155 a circa 115 componenti, al Senato da 72 a più o meno 60. Se pensate che alle elezioni del 2018 furono eletti per il M5s 225 deputati e 111 senatori, avete la dimensione del naufragio di quella esperienza politica. Alla Camera il gruppo non avrà problemi a essere costituito; al Senato occorre l’ospitalità di un simbolo che si sia presentato alle elezioni, altrimenti gli scissionisti finiranno nel misto. Con Di Maio dicono addio a Conte alcuni esponenti di primo piano del M5s: il volto più noto è quello del viceministro dell’Economia, Laura Castelli. Tra gli altri componenti dell’esecutivo che aderiranno al nuovo gruppo ci sono, salvo ripensamenti dell’ultimo minuto, i sottosegretari Pierpaolo Sileri (Salute), Anna Macina (Giustizia), Danila Nesci (Sud) e Manlio Di Stefano (Esteri). Volto noto è anche l’ex ministro Vincenzo Spadafora, più o meno conosciuti Carla Ruocco e Francesco D’Uva. Il resto, sono peones alla ricerca di una ricandidatura: impresa difficile, per non dire impossibile considerato il taglio dei parlamentari. A quanto apprende La Verità da fonti molto bene informate, la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso e convinto Di Maio a dire addio al M5s sono stati gli attacchi di Roberto Fico. L’altro ieri il presidente della Camera ci è andato giù pesante, dicendo di «non riuscire a comprendere il fatto che il ministro degli Esteri Di Maio attacchi su delle posizioni rispetto alla Nato e all’Europa che nel Movimento non ci sono. Subiamo una cosa che è mistificatrice e non corrisponde alla realtà». Essendo andata in stampa prima delle 21.15, La Verità non ha potuto seguire la conferenza stampa serale di Di Maio. La sua scissione, comunque, non produrrà effetti sul governo: i gigginiani restano (figuriamoci) in maggioranza, così come imbullonati alle poltrone restano i veterani e reduci del M5s bonsai di Conte, che ieri ancora una volta, sulla guerra in Ucraina, si è rimangiato i proclami propagandistici e si è omologato alle volontà di Mario Draghi. Fonti a lui vicine dicono alla Verità che l’avvocato è «sereno, tranquillo. Ci aspettavamo questa mossa». In ottica rielezione, Giuseppi si è tolto un pensiero, anzi, se ne è tolti 50: la cosa più divertente è che, stando alle indiscrezioni che abbiamo raccolto, i due contendenti si ritroveranno alleati alle prossime elezioni. «Non faremo un partito di Di Maio», dice alla Verità uno dei parlamentari più vicini al ministro degli Esteri, «ma guardiamo al centro, anzi al centro-sinistra, e dialoghiamo con Beppe Sala». Conte e Di Maio quindi potrebbero ritrovarsi tra un anno o poco meno a fare campagna elettorale insieme: il che dimostra che siamo di fronte a una manovra di palazzo che a molti ricorda quella di Matteo Renzi, uscito dal Pd per fondare Italia viva, mentre ad altri fa venire in mente la madre di tutte le scissioni parlamentari: quella che vide, nel 2010, Gianfranco Fini dire addio al Pdl e a Silvio Berlusconi per fondare Futuro e libertà, che ricorda il nome dei nuovi gruppi del ministro degli Esteri, un nome che, tra i contiani, viene velenosamente trasformato in «Insieme per il futuro di Di Maio». Ad accelerare l’addio dell’ex capo politico del M5s e dei suoi, anche la sensazione che Conte abbia intenzione di lasciare il governo per posizionarsi su un appoggio esterno che gli lascerebbe le mani più libere in campagna elettorale. Giuseppi sembra ormai il commissario liquidatore di quella che, comunque la si pensi, è stata una esperienza politica destinata a entrare nei libri di storia, quel M5s nato dalle urla di Beppe Grillo e dalle visioni di Gianroberto Casaleggio, un (non) partito capace di conquistare il 33% dei voti appena quattro anni fa e ora ridotto, secondo tutti i sondaggi, a poco più di un terzo dei consensi a livello nazionale, e praticamente sparito alle elezioni amministrative. «Della nuova scissione del M5s», randella Alessandro Di Battista, «(ricordo che ne avvenne già una dopo l’ok al governo Draghi) e della nascita del nuovo gruppo non mi importa nulla. Ho lasciato il Movimento esclusivamente per questioni politiche quando venne presa la decisione scellerata (e suicida) di entrare nel governo dell’assembramento. Ciò che avviene oggi è soprattutto frutto di quei giorni». «Sono altri che creano problemi al governo, non noi», si affretta a sottolineare il ministro dell’Agricoltura, Stefano Patuanelli, rimasto con Conte. Carlo Calenda esclude ogni alleanza al centro con Di Maio: «Per chi non è mai sceso a patti con i 5 stelle», twitta il leader di Azione, «non ci ha mai fatto un governo politico, rinunciando anche a cariche e ruoli, ha sempre messo in guardia il Paese sulla loro inconsistenza, oggi è una bella giornata. La dissoluzione del nulla. Giriamo pagina». «Oggi», sottolinea Matteo Renzi, «finisce la storia del Movimento 5 stelle. È stata una esperienza politica che abbiamo combattuto perché secondo noi faceva male al Paese. Non parliamone più. Torniamo alle cose serie, torniamo alla politica». Laconico Draghi: a chi gli chiede se sia preoccupato per la scissione del M5s, risponde: «No».